Lavoro autonomo: tutelare tutti, tutelare meno
Ieri, il Senato ha approvato il cosiddetto “Jobs Act del lavoro autonomo”, una legge che contiene diverse misure di tutela dei lavoratori autonomi e delle partite IVA. La norma introduce forme di tutela in diversi ambiti. Innanzitutto, vincola i committenti al pagamento entro 60 giorni, che diventano 30 dall’emissione della fattura se la scadenza non viene prevista. Viene poi esteso il diritto al congedo parentale, all’indennità di maternità, a prestazioni sociali aggiuntive, e alla non estinzione del rapporto di lavoro in caso di gravidanza, malattia e infortunio. Infine, viene prevista la dotazione di sportelli per il lavoro autonomo presso i centri per l’impiego e la deducibilità delle spese per formazione e aggiornamento professionale.
Il proposito di fondo, diciamolo subito, è sacrosanto, perché mette finalmente la parola fine all’intollerabile discriminazione che il lavoro autonomo ha sempre subito rispetto a quello dipendente. Il diavolo, però, si nasconde nei dettagli. Due, per la precisione: uno di metodo, uno di merito.
Quello di metodo. Se l’obiettivo – sacrosanto, come detto – è assegnare gli stessi diritti a chiunque ‘lavori’, qualunque sia la forma contrattuale con cui lo faccia, la strada scelta è iniqua e inefficace. Iniqua, perché esclude tutti coloro che, volenti o nolenti, non sono subordinati e neanche autonomi, e che oggi, senza più i voucher o altre forme contrattuali flessibili, si ritrovano ad essere i veri perdenti del mercato del lavoro. Non è una svista: la ratio di lungo termine dell’azione del governo in carica e di quello precedente è il contrasto al precariato. E di qui l’inefficacia, perché il tentativo di eliminarlo ope legis lascia il tempo che trova: il modo migliore di favorire il lavoro nero è proprio l’azzeramento di alternative a contratti tradizionali tanto tutelanti quanto costosi per imprese e lavoratori.
Una strada alternativa ci sarebbe: prendere ispirazione dal lavoro di Marco Biagi e finalmente ricondurre tutta la legislazione sul lavoro a uno Statuto dei lavori che superi la distinzione tra autonomi e subordinati e che, soprattutto, ricomprenda anche la sempre più vasta ‘terra di mezzo’ tra i due poli, per offrire a chiunque lavori le stesse tutele e le stesse garanzie, lasciando il resto alla libera contrattazione tra le parti.
C’è un secondo elemento, di merito, che smorza la portata positiva della legge, ed è la delega al governo, contenuta nel provvedimento, per aumentare l’aliquota contributiva dello 0.5%. I lavoratori autonomi, purtroppo, continuano ad essere utilizzate dai governi che si succedono per finanziare diritti acquisiti e pensioni retributive con un quarto di quanto guadagnano, pur nella consapevolezza che le loro, di pensioni, non saranno nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che oggi devono pagare. E ciò nonostante tutti i dati dimostrino come autonomi e partite IVA siano proprio le categorie di lavoratori che più hanno sofferto la crisi e si trovano oggi sotto la soglia di povertà (25% rispetto al 14% dei lavoratori dipendenti, secondo la CGIA di Mestre). Tanto che, ad essere maliziosi, si direbbe che è il prezzo da pagare per avere più tutele.
Twitter: @glmannheimer