L’importanza della prescrizione
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio Tamburrano.
La querelle “prescrizione” è tornata nuovamente ad occupare le pagine di quotidiani e riviste di settore: con la vicenda Taricco la questione si riteneva definitivamente chiusa, ma il motivo scatenante di questo attuale “ritorno in auge” sono le affermazioni del ministro Bonafede sulla riforma della prescrizione nei processi penali. Al tavolo dello “spazzacorrotti”, quale efficiente strumento di contrasto al fenomeno corruttivo, nei progetti dell’attuale legislatore vi è l’intenzione di intervenire sull’istituto giuridico della prescrizione nei processi penali con la convinzione che una sua riforma “radicale” possa definitivamente eradicare l’impunità di specifiche condotte (il riferimento costante è, infatti, ai crimini dei “colletti bianchi”) nel sistema-giustizia italiano.
Si tratta, chiaramente, di uno specchio per le allodole, l’ennesimo slogan propagandistico “acchiappavoti” che in sostanza nulla muta, anzi, addirittura, acuisce le falle del sistema penale italiano. Secondo una tradizione risalente al diritto romano, la figura della prescrizione del reato si traduce nella rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva, in considerazione del tempo trascorso dalla commissione di un crimine senza giungere ad alcun accertamento di responsabilità, con conseguente attenuarsi dell’interesse punitivo statuale in virtù dell’affievolito ricordo sociale di quanto perpetrato. Dunque, la prescrizione si pone come fondamentale strumento, di matrice liberale, a garanzia dell’individuo contro lo strapotere statuale: indebolire questo strumento, o addirittura eliminarlo completamente, vorrebbe dire sottoporrebbe il singolo individuo, il comune privato cittadino, ad un supplizio ingiustificato, tornando indietro, in termini di sviluppi di civiltà giuridica, al processo inquisitorio, o con più inventiva, crearne uno nuovo, il processo “persecutorio”.