Fiat-Chrysler, chapeau all’avvocato Lauria
Il Wall Street Journal oggi – leggete qui – ha fatto scoppiare una bella bombetta sul caso Fiat-Chrysler, pubblicando il fitto scambio di mail tra manager della Chrysler, consulenti della stessa e funzionari della car-task force dell’Amministrazione Usa. Nel carteggio si avanzano reiterati e seri dubbi sulla sostenibilità finanziaria del matrimonio da parte di Fiat, di lamenta che la casa torinese elude le richieste di chiarimenti, si rilancia l’ipotesi di abbinare Chrysler a GM. Ma, alla fine, la prima fila della Chrysler si piega e batte i tacchi alla politica, che ha scelto essa, molto più di Bob Nardelli, che Fiat è il meglio.
Non è una rivelazione. Era chiaro che le cose erano andate esattamente così. Anche se, naturalmente, è tutt’altra cosa poter leggere le mail originarie degli scambi d’opinione, i loro toni sopra le righe, le perplessità affannosamente senza risposta della prima linea di Chrysler man mano che si avvicina la deadline posta dall’Amministrazione per il chapter 11. Vediamo domani come la stampa italiana tratterà la faccenda. Personalmente, su qualunque giornale scrivessi o facessi scrivere altri, avrei predisposto un bell’editoriale dal titolo “pari e patta”: chi lamenta – anch’io – l’improprio ruolo esercitato dalla politica tedesca per escludere Fiat da Opel, ricordi bene che è la politica americana ad aver scelto la casa torinese per Chrysler, e che l’ha fatto a mo’ di monito verso GM, più grande e ancora da “ammansire”, all’epoca.
Qui, aggiungo solo due cose. Ottimo il WSJ, come al solito. Ma letteralmente giù il cappello di fronte alla giustizia americana, alla Corte del Southern District di New York che ha ammesso tali mail quali prove documentali, e soprattutto all’immenso avvocato Thomas Lauria, che nel procedimento si oppone alla soluzione escogitata dalla politica a nome del calpestato diritto di alcuni fondi d’investimento e fondi pensione. Lauria è riuscito a procurarsi le mail – alcune di pochissimi giorni fa – in nome dalla full disclosure che il debitore deve al creditore, e le ha spiattellate nel fascicolo. Ha tempo fino alle 16 di lunedì ora di New York per presentare appello alla Corte Suprema. Dalle aziende e dalle banche italiane non esce un fiato, quando s’incappa nei guai, nemmeno a distanza di anni. Figuriamoci le mail “apicali” a distanza di una settimana dalle decisioni assunte. Viva la differenza… sempre che Obama non “europeizzi” gli Usa anche in questo.