Garton Ash ha torto, i socialisti sbagliano
Ma siamo davvero tutti “condannati” alla socialdemocrazia? Non lo credo affatto. Lo storico oxoniano Timothy Garton Ash sbagliava a firmare appelli sull’Iraq insieme ad Habermas e Derrida, sbaglia oggi sullo Spiegel a descrivere un’Europa e un mondo intero in cui, in realtà, non ci sarebbe alternativa a essere socialdemocratici, e tutti i degni di salvezza sono in realtà solo socialdemocratici, a prescindere dal nome e dal colore che si danno. Qui le sue tesi. Oltretutto, se si va dritti al cuore della questione economico-finanziaria, identificare nei massicci aiuti di Stato e nell’energico quantitative easing praticato da Fed e BoE – meno dalla BCE – la via obbligata alla socialdemocratizzazione obbligata della politica economica è tecnicamente sbagliato, a mio modo di vedere. Mentre hanno ragione i critici di entrambe le politiche – quelle economiche e monetarie – di formazione friedmaniana, come Tim Congdon del FMI.
Posso comprendere l’entusiasmo di Garton Ash innanzi a un Obama che viene giudicato come un socialdemocratico europeo, e su questo in effetti concordo. Ma che in Europa i conservatori di Cameron siano in realtà socialisti, e che la stessa cosa valga in Germania per Cdu e Csu, credo sia un errore assoluto. Non ho molta considerazione per i green tories di Cameron, la cui svolta affonda le radici in anni ormai alle nostre spalle, quando il problema dei conservatori era riuscire a identificare finalmente un leader che durasse più di 18 mesi, e che apparisse credibile di fronte alle politiche mercatiste di Tony Blair. Dire che sono laburisti al più vorrebbe dire tornare appunto a Blair, che oggi non avrebbe certo praticato la svolta statalista del socialista per davvero da sempre, Gordon Brown. Non mi risulta, per altro, che Cameron sia filoeuropeista, anzi alle europee ha fatto campagna proponendo un referendum sul trattato di Lisbona anche nel Regno Unito. Quanto alla Germania, resto convinto che le nazionalizzazioni e i salvataggi di Stato con la Spd al potere sarebbero stati assai maggiori. Quanto all’Italia, la natura “sociale” – ex democristiana e socialista, in altre parole – del PdL è sicuramente molto forte. Che sia la stessa minestra di Visco e Prodi, però, non mi pare proprio.
Più interessanti le critiche al quantitative easing, che in Italia non trovano alcuna eco. I friedmaniani non criticano affatto i massicci acquisti di asset praticati dalle banche centrali anglosassoni, poiché attuano le critiche alla Fed degli anni Trenta argomentate nella famosa storia della politica monetaria americana scritta appunto da Milton Friedman e Anna Schwarz. Criticano il fatto che essi non vengano praticati magari anche più massicciamente, ma in presenza di una politica economica fatta di decisi tagli alle tasse e alla spesa pubblica. Perché solo questa potrebbe fronteggiare al meglio il terribile output gap che continua a gravare sulle economie avanzate. Oggi esso è pari a più di 7 punti percentuali negli Usa. La revisione al ribasso della crescita rilasciata oggi dalla World Bank si basa su una stima dell’utilizzo del potenziale economico da minimo storico, pari al 68% negli Usa e al 60% nel mondo. E dichiara che, in tali condizioni, il rischio deflazione da crisi dei salari e occupati resta all’ordine del giorno. Tanto è vero che per questo il quantitative easing non morde: il moltiplicatore monetario è sceso in aprile a 0,893, rispetto alla media storica pari a 1,6 nell’ultimo decennio: il che significa che per il momento non c’è proprio verso di velocizzare la moneta nell’economia reale, neanche con le politiche monetarie innovative che non impensieriscono affatto i conservatori, perché non sono affatto socialiste. Sono le politiche economiche socialiste – alta spesa, alte tasse – oggi più che mai il peggior nemico. Non averlo capito ha portato il Giappone a languire per 12 anni. E noi, in testa come siamo alla pressione fiscale e contributiva sul lavoro e quarti in Europa per quella sulle imprese, lo capiremo mai?