22
Giu
2009

Garton Ash ha torto, i socialisti sbagliano

Ma siamo davvero tutti “condannati” alla socialdemocrazia? Non lo credo affatto. Lo storico oxoniano Timothy Garton Ash sbagliava a firmare appelli sull’Iraq insieme ad Habermas e Derrida, sbaglia oggi sullo Spiegel a descrivere un’Europa e un mondo intero in cui, in realtà, non ci sarebbe alternativa a essere socialdemocratici, e tutti i degni di salvezza sono in realtà solo socialdemocratici, a prescindere dal nome e dal colore che si danno. Qui le sue tesi. Oltretutto, se si va dritti al cuore della questione economico-finanziaria, identificare nei massicci aiuti di Stato e nell’energico quantitative easing praticato da Fed e BoE – meno dalla BCE – la via obbligata alla socialdemocratizzazione obbligata della politica economica è tecnicamente sbagliato, a mio modo di vedere. Mentre hanno ragione i critici di entrambe le politiche – quelle economiche e monetarie – di formazione friedmaniana, come Tim Congdon del FMI.

Posso comprendere l’entusiasmo di Garton Ash innanzi a un Obama che viene giudicato come un socialdemocratico europeo, e su questo in effetti concordo. Ma che in Europa i conservatori di Cameron siano in realtà socialisti, e che la stessa cosa valga in Germania per Cdu e Csu, credo sia un errore assoluto. Non ho molta considerazione per i green tories di Cameron, la cui svolta affonda le radici in anni ormai alle nostre spalle, quando il problema dei conservatori era riuscire a identificare finalmente un leader che durasse più di 18 mesi, e che apparisse credibile di fronte alle politiche mercatiste di Tony Blair. Dire che sono laburisti al più vorrebbe dire tornare appunto a Blair, che oggi non avrebbe certo praticato la svolta statalista del socialista per davvero da sempre, Gordon Brown. Non mi risulta, per altro, che Cameron sia filoeuropeista, anzi alle europee ha fatto campagna proponendo un referendum sul trattato di Lisbona anche nel Regno Unito. Quanto alla Germania, resto convinto che le nazionalizzazioni e i salvataggi di Stato con la Spd al potere sarebbero stati assai maggiori. Quanto all’Italia, la natura “sociale” – ex democristiana e socialista, in altre parole – del PdL è sicuramente molto forte. Che sia la stessa minestra di Visco e Prodi, però, non  mi pare proprio.

Più interessanti le critiche al quantitative easing, che in Italia non trovano alcuna eco.  I friedmaniani non criticano affatto i massicci acquisti di asset praticati dalle banche centrali anglosassoni, poiché attuano le critiche alla Fed degli anni Trenta argomentate nella famosa storia della politica monetaria americana scritta appunto da Milton Friedman e Anna Schwarz.  Criticano il fatto che essi non vengano praticati magari anche più massicciamente, ma in presenza di una politica economica fatta di decisi tagli alle tasse e alla spesa pubblica. Perché solo questa potrebbe fronteggiare al meglio il terribile output gap che continua a gravare sulle economie avanzate. Oggi esso è pari a più di 7 punti percentuali negli Usa. La revisione al ribasso della crescita rilasciata oggi dalla World Bank si basa su una stima dell’utilizzo del potenziale economico da minimo storico, pari al 68% negli Usa e al 60% nel mondo. E dichiara che, in tali condizioni, il rischio deflazione da crisi dei salari e occupati resta all’ordine del giorno. Tanto è vero che per questo il quantitative easing non morde: il moltiplicatore monetario è sceso in aprile a 0,893, rispetto alla media storica pari a 1,6 nell’ultimo decennio: il che significa che per il momento non c’è proprio verso di velocizzare la moneta nell’economia reale, neanche con le politiche monetarie innovative che non impensieriscono affatto i conservatori, perché non sono affatto socialiste.  Sono le politiche economiche socialiste – alta spesa, alte tasse – oggi più che mai il peggior nemico.  Non averlo capito ha portato il Giappone a languire per 12 anni. E noi, in testa come siamo alla pressione fiscale e contributiva sul lavoro e quarti in Europa per quella sulle imprese, lo capiremo mai?

22
Giu
2009

Settore Auto: quegli aiuti inutili

La settimana scorsa si è tenuto un importante vertice tra Fiat e il Governo; l’incontro ha messo in evidenza la strategia del gruppo torinese, che è quella di focalizzarsi sempre più sul mercato internazionale.
Questa è una necessità dovuta sia ad un mercato dell’automotive sempre più globalizzato che allo scarso appeal del nostro Paese come paese produttore di autovetture.
La Fiat ha esplicitato tale strategia non solamente con l’acquisizione del 20 per cento della proprietà di Chrysler e il tentativo di fusione con Opel, ma con una delocalizzazione, negli ultimi anni, della produzione verso paesi con un migliore ambiente atto agli investimenti.
Il gruppo guidato da Sergio Marchionne mette in evidenza due punti chiave del settore automobilistico italiano. Read More

20
Giu
2009

Carburanti troppo cari? Ditelo ai politici

Dopo Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia ed Emilia Romagna, adesso è il turno della Liguria: la giunta regionale ha appena approvato un provvedimento secondo cui ogni nuovo impianto di distribuzione dei carburanti dovrà essere attrezzato anche per almeno uno tra Gpl, metano e idrogeno. Ufficialmente si tratta di una norma concepita per la salvaguardia dell’ambiente eccetera eccetera, ma il sostrato protezionista è chiarissimo. Si tratta della (efficace) risposta della lobby dei benzinai alla manovra liberalizzatrice iniziata dalle “lenzuolate” di Pierluigi Bersani e proseguita l’anno scorso nel collegato alla Finanziaria 2009, chez Claudio Scajola e Giulio Tremonti. La logica della normativa nazionale è quella di rimuovere i maggiori ostacoli al dispiegarsi di una reale competizione nella distribuzione in rete dei carburanti per autotrazione, che a oggi determinano una rete di distribuzione tra le più inefficienti in Europa (i dati fanno letteralmente impallidire). Imponendo l’installazione di Gpl o metano, le regioni di fatto creano una barriere all’ingresso di proporzioni enormi, che non riguarda solo la faccenda dei costi, ma investe una serie di requisiti urbanistici e di sicurezza (banalmente, l’estensione della superficie necessaria è molto maggiore, restringendo il numero degli spazi idonei). Della questione si era occupata, qualche mese fa, la stessa Autorità Antitrust, che in una segnalazione alle Camere e al governo aveva denunciato l’ondata di provvedimenti protezionistici sul tema. L’approccio di Antonio Catricalà e dei suoi è semplice e lineare: trattandosi di norme discriminatorie, che impongono ai nuovi entranti oneri a cui gli incumbent possono decidere se conformarsi oppure no, esse agiscono in direzione anticoncorrenziale. Se le regioni ritengono utile o importante promuovere la diffusione dei carburanti cosiddetti eco-compatibili, possono farlo incentivando l’adeguamento dei punti di rifornimento, siano essi nuovi o vecchi. Si dice che l’albero si riconosce dai frutti: i frutti delle regioni sono ammalati di protezionismo.

20
Giu
2009

Supervisione Ue, Lecce framework: Bce e globalstandardisti non convincono

L’Amministrazione americana ha proposto un deludente modello di riforma della supervisione dell’intermediazione finanziaria, che non semplifica quasi nulla e accentra solo qualche potere alla Fed – in questo accontentando le grandi banche delle quali Larry Summers è sempre stato ambasciatore – ma soprattutto estende il potere d’inframmettenza della politica estendendo a ogni soggetto finanziario l’eventuale decisione del segretario al Tesoro di procedure commissariali e concorsuali ad hoc. Il Consiglio Europeo a sua volta ha adottato delle conclusioni in materia di vigilanza finanziaria macrosistemica e microprudenziale, modificando le proposte del rapporto de Larosière a sua volta successivo ai lavori, anni addietro, della commissione Lamfalussy. La Bce resta delusa nelle sue richieste di accentrare il più possibile vigilanza macro e micro, come argomenta oggi sul Sole 24 ore Lorenzo Bini Smaghi. Né gli Usa né l’Europa attenderanno dunque il G20 di Pittsburgh in autunno – anche se i tempi delle rispettive decisioni formali sono ancora lunghi – per adottare nuovi princìpi e regole in materia di supervisione dei soggetti e dei mercati finanziari. A che cosa serve allora il cosiddetto Lecce Framework, le cui 78 pagine di materiale preparatorio, definito la settimana scorsa dai ministri finanziari del G8 coordinati da Tremonti, sono ancora ignote?

Credo che si debbano mettere alcuni punti fermi, su tale materia molto complessa. Poiché investe le regole dell’intermediazione finanziaria e dunque ha ricadute nelle attività finanziarie di ogni tipo d’impresa, a seconda di come davvero si adotteranno nuove regole e quali saranno, si disegnerà un orizzonte destinato a contrassegnare per qualche decennio l’ambito stesso di esercizio, funzionalità, efficienza ed efficacia dei mercati. Per chi la pensa come noi, è tempo di battaglia ideale. Controcorrente. Perché gli omologatori globalstandardisti vogliono gettare nel cestino evidenze positive fondamentali, attribuendo loro colpe che non hanno, nell’intento di esercitare controlli centralizzati. Non è materia per soli addetti ai lavori, se si ripassa un po’ di letteratura si scopre che alla base c’è l’idea stessa di Stato, mercato e legge. Per dei cultori di Bruno Leoni, un  must. Read More

19
Giu
2009

Concorrenza bene, tasse male

Elettricità e gas in Italia sono più care che in Europa. Lo rivela un’indagine di Altroconsumo, i cui risultati sono stati anticipati oggi da Repubblica. L’aspetto interessante – e non scontato, vista la fonte – sta nel fatto che il “delta” di prezzo non viene ricondotto, come normalmente fanno le associazioni dei consumatori, alla cattiveria delle imprese, e neppure, come fanno molti esperti di energia, al destino cinico e baro che ci ha imposto un mix di generazione anomalo (quest’ultimo punto è reale, in verità, ma a mio avviso secondario). La principale ragione, secondo gli autori, e questo vale principalmente per il metano, sta nel carico fiscale, che “schiaccia” la quota di prezzo attribuibile alle dinamiche di mercato. A fronte di questo, e ciò vale soprattutto per l’elettrico, l’unico strumento reale di autodifesa dei consumatori sta nella pluralità di offerte rese possibili dalla liberalizzazione, ormai pienamente operativa a tutti i livelli seppure non senza criticità (come abbiamo evidenziato nell’Indice delle liberalizzazioni). Il problema, allora, sta nel fatto che non sempre i consumatori sono in possesso di tutte le informazioni necessarie a fare la scelta più conveniente, e spesso neppure sanno di poter effettuare questa scelta. Oltre a questo, è proprio la “strozzatura” fiscale a rendere apparentemente meno attraente la libertà di mercato, perché ha l’effetto di livellare (verso l’alto) i prezzi e ridurre l’entità percentuale dei risparmi sulla spesa annuale per luce e gas. Se il governo vuole andare incontro ai consumatori, in un momento di particolare difficoltà dovuta alla crisi, nell’indagine di Altroconsumo trova tutte le indicazioni necessarie a fare la cosa giusta.

18
Giu
2009

Berlusconi e la concorrenza. Un dibattito a Milano

Oggi alla Banca Popolare di Milano (grazie per l’ospitalità) abbiamo presentato “La guerra dei trent’anni” di Franco Debenedetti e Antonio Pilati, con Fedele Confalonieri, Ferruccio De Bortoli e Walter Veltroni. A inizio della presentazione, a mo’ di saluto, ho cercato di bofonchiare alcune cose che non si sono sentite, nel brusio generale. Poco male: le introduzioni di circostanza servono a dare agli ospiti il tempo di prendere posto. Primo commento impressionistico, sui protagonisti e non sui contenuti. Confalonieri e Veltroni sono persone molto civili. Nota di colore: Veltroni chiama tutti per nome e infiora le frasi con citazioni da scaffale dell’Universale Feltrinelli in sconto 15%. De Bortoli è sempre un signore ed ha moderato con perizia, ma alla presentazione i due che hanno davvero parlato del libro sono stati gli autori. Read More

18
Giu
2009

Non è il protezionismo che ci salverà dalla crisi economica

Riceviamo da Lorenzo Guggiari e volentieri pubblichiamo:

In questo periodo in cui i governi stanno approfittando della crisi globale per tornare a politiche protezioniste e neo-keynesiane una boccata d’ossigeno arriva dal Brasile. Per quanto possa sembrare strano la resistenza ad un provvedimento di chiaro stampo dirigista è arrivato proprio da quel ceto produttivo che nel resto del mondo continua a chiedere protezionismo e assistenzialismo.
Nonostante i fatti risalgano alla fine di gennaio vale la pena illustrare quanto è accaduto. Il governo brasiliano – preoccupato dal deficit della bilancia commerciale dopo otto anni di attivo – ha deciso di ampliare la licenza preventiva di importazione, estendendola a 17 settori che rappresentano circa il 60%-70% delle importazioni. Praticamente si tratta di una barriera informale alle importazioni dove viene valutata ogni singola richiesta prima di permettere l’entrata della merce nel paese. Da sempre Il Brasile applica questa licenza per alcuni prodotti ritenuti pericolosi o soggetti a misure di difesa contro il dumping commerciale e che rappresentano circa il 10% delle importazioni totali. Per il restante 90% gli importatori ottengono l’autorizzazione automaticamente attraverso internet.
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