23
Giu
2009

Too big to fail, legnate a Londra e Usa

Il dibattito tra regolatori bancari e finanziari sta decollando nel mondo anglosassone, mentre langue da noi. Un tema domina tutti, quello che in Italia sinora è stato solo sfiorato una volta da Massimo Mucchetti sul Corriere. Come comportarsi d’ora in avanti con le banche “troppo grosse per fallire”? A Londra, il governatore della Bank of England Mervyn King ha espresso un’opinione drastica: se una banca è tropo grossa per fallire, allora è troppo grande per operare. Tradotto: bisogna mettere vincoli alla crescita degli istituti, scoraggiando l’assunzione di dimensioni eccessive, tali da innalzare il rischio d’istituto a rischio sistemico. Oggi il capo della Financial Services Authority, Lord Turner, ha respinto come dirigista e vincolista la tesi della BoE, adottando lo schema-Mucchetti di requisiti di capitale prudenziale crescenti all’aumento degli attivi, e soprattutto del propriety trading, l’attività dalla cui esplosione si ingeneravano il più dei profitti piazzando prodotti sintetici con responsabilità patrimoniale estranea al recinto dell’emittente come del trader bancario stesso. Una sorta di “tassa sulla crescita”, l’ha definita Lord Turner. Negli Stati Uniti, il confronto non è meno vibrante. Nell’Europa continentale, silenzio assoluto.

Larry Summers, l’ispiratore capo del nuovo schema regolatorio obamiano di cui già ci siamo occupati, ha detto esplicitamente che “non se ne parla neanche, di spostare all’indietro le lancette dell’orologio”. Nessun limite alla crescita dunque, né esplicito né in termini di disincentivo con ratios patrimoniali più stringenti. Allineato e coperto Frederic Mishkin, ex governor della Fed sino al 2008, secondo il quale “chi pensa a far rientrare il genio nella lampada non sa neanche di che cosa sta parlando”.  Paul Volcker, colui che mise briglie all’inflazione e stoppò il deficit spending alzando i tassi senza troppo dar retta agli strilli dei politici, è invece a favore di disincentivi all’ecesso di trading, in grado di snaturare la banca commerciale. “Se questo significasse spingere a  minori profitti e più basso rendimento dell’equity ci sto”, ha detto, “perché la banca commerciale ha una sua natura e un suo equilibrio, guai a dimenticarsene, come abbiamo visto”. E Sheila Bair, alla testa di quella Federal Deposit Insurance Corporation che molti volevano abrogare per passarne i poteri alla Fed, ha brutalmente detto che il problema d’ora in poi è rendere chiaro di fatto agli azionisti bancari che ci rimetteranno sempre e comunque, quand’anche lo Stato dovesse reintervenire per evitare crisi sistemiche da eccesso di rischio malcalcolato da grandi banche.

Il New York Times si interroga oggi se non sia il caso di riscoprire uno dei più grandi giuristi d’impresa della storia americana, Louis Brandeis che nel  1914, con il suo “Other People’s Money — and How the Bankers Use It”, fece compiere il passo decisivo alla creazione della Fed. Resta il fatto che Brandeis parlava del rischio delle banche troppo grosse, accomunandolo a quello delle grandi imprese ferroviarie e siderurgiche, in termini di cartelli tropo potenti per la concorrenza sul mercato interno e rispetto alle capacità regolatorie di una politica sempre più debole.  Tutt’altra cosa è la misura del Value at Risk come criterio dimensionale per una banca, come per qualunque altro intermediario finanziario: qui non si parla di antitrust, ma di rapporto tra trading, lending e capitale. Torno a dire che il silenzio, nell’Europa continentale che pure ha visto salvataggi di Stato di grandissime banche transfrontaliere, non potrebbe essere più agghiacciante, al confronto.

23
Giu
2009

Cina e commercio, Obama come Tremonti

Oggi l’Amministrazione americana ha presentato una argomentata protesta ufficiale contro la Cina in sede Wto, scavalcando in durezza l’Unione europea che sulla stessa materia aveva sinora tenuto un profilo formalmente più basso. Qui la nota ufficiale del governo Usa, e l’elenco delle restrizioni in termini di quote all’import export dichiarate dal governo cinese, in spregio al Trattato e agli impegni espliciti assunti nel firmarlo. Si tratta, dome vedrete, soprattutto di minerali essenziali nel settore metallurgico, macchinari e costruzioni, la base del rapido ed energico shift dall’export alla domanda interna deliberato dal governo cinese tre mesi fa, per impedire che il calo vorticoso dell’export cinese abbassasse oltremodo la crescita del Pil. La guerra per disancorare il peg tra dollaro e reminmbi si fa dura, al di là del merito del commercio unfair sul quale un anno fa Tremonti teneva lezione, sbertucciato allora dai più… Il problema è che, rispetto ad allora, la gara protezionista ha fatto proseliti a decine. In Italia, però, i politici non se ne occupano più. È rimasta solo Confindustria, a levare la voce quasi ogni giorno sul tema.

23
Giu
2009

Mettete della benzina nelle vostre cantine

I quotidiani degli ultimi giorni hanno dato ampio rilievo (qui una rassegna stampa) alla “previsione” del Codacons, secondo cui quest’estate il costo di un litro di benzina potrebbe raggiungere 1,5 euro. La “sparata” mi ha molto stupito, perché anticipare i prezzi della benzina richiede una serie di ipotesi sugli andamenti futuri dei mercati internazionali del petrolio grezzo e dei prodotti, sui margini di compagnie e gestori degli impianti, sul comportamento della domanda e, in ultima analisi, sul futuro dell’economia nei prossimi mesi. Tutti abbiamo le nostre idee, di cui parliamo al bar con gli amici, ma da lì a scambiare un terno al lotto per una previsione ce ne passa. Così, sono andato sul sito del Codacons per capire quali ipotesi e quale metodologia stessero alle spalle di una cifra tanto preoccupante, per le tasche degli automobilisti. Tutto quello che ho potuto trovare è questo comunicato. Cito testualmente le parole di Carlo Rienzi, capo dell’organizzazione cosiddetta dei consumatori:

Di questo passo prevediamo che i listini della benzina raggiungano 1,5 euro al litro entro il mese di agosto, grazie al famoso gioco della doppia velocità messo in atto dai petrolieri. Una simile circostanza rappresenterebbe una sciagura per le famiglie, con una maggiore spesa di 10 euro solo per il pieno rispetto ai listini attuali, e ripercussioni indirette (energia, trasporti, prezzi prodotti trasportati, eccetera) per complessivi 300 euro a famiglia solo nel secondo semestre 2009. Finora il governo non ha fatto nulla per punire le speculazioni sui prezzi dei carburanti, e non crediamo abbia intenzione di intervenire a tutela delle famiglie. Non ci resta che sperare nell’intervento dell’Antitrust o della magistratura per evitare che le nostre previsioni diventino una triste realtà.

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23
Giu
2009

Seminario Mises 09

Utilizziamo questo blog per un piccolo spot. Anche quest’anno l’IBL organizza il suo “Seminario Mises”, evento che accompagna il nostro istituto sin dai primordi. E’ un convegno che ci è molto caro, per le sue caratteristiche: esso garantisce uno spazio di discussione per lavori di giovani studiosi, affiancati da discussant un po’ più in là negli anni e nella carriera. Non è una “Summer University” per avvicinarsi al liberalismo classico, come ve ne sono di eccellenti negli Usa (penso agli eventi organizzati da Mises e FEE) ed in Europa (l’Università d’estate di Aix e i seminario di IES). Non è neppure un incontro destinato a cospiratori e compagni d’arme, come la Resource Bank che quest’anno si tiene ad Aix. E’ invece un incontro che vorrebbe mettere in comunicazione persone della stessa fascia di età, interessate agli stessi temi, che possono sfruttarlo come occasione per conoscersi fra di loro o per venire in contatto con qualche studioso che può riuscirgli diversamente utile.
Negli scorsi anni, il Seminario è cresciuto molto ma non senza difetti:
– la qualità dei paper, selezionati sulla base di un abstract, è stata molto disomogenea (abbiamo avuto paper notevoli, e qualche fetecchia);
– una delle ricchezze del seminario, a mio modo di vedere, era l’essere ospitale anche con persone di altre scuole di pensiero (abbiamo avuto anche un marxista!), ma ciò ha lasciato perplessi molti partecipanti e rischiato di fare confusione, specie fra i più giovani con idee non chiarissime;
– gli “utenti” provenienti da altri Paesi e sussidiati da IBL (ovvero dalle imprese che hanno avuto la lungimiranza e la bontà di sostenere questa iniziativa) non sono mancati, ma gli italiani “paganti” (poco: la fee d’ammissione è sempre bassina) sì, un po’ intimoriti dall’inglese, un po’ restii ad investire non solo denari ma anche due giorni di tempo.
Quest’anno, anche per una ragione di contenimento di costi, abbiamo cercato di ovviare a questi problemi. Sulla qualità dei paper, per ora non possiamo ancora pronunciarci perché li abbiamo di nuovo selezionati tramite un abstract: ma parrebbero più omogenei, e ci sono almeno un paio di nomi di studiosi sì giovani ma già affermati. I discussant sono tipi tosti, liberisticamente parlando, come Tom Palmer e Pascal Salin. Qui il programma.
Il tema è interessante , come “premiare” la creatività imprenditoriale, ma la lezione d’apertura è di Kevin Dowd su che cosa avremmo dovuto imparare dalla crisi, e il seminario si concluderà con una tavola rotonda sul futuro delle idee di mercato. Tempo una manciata di giorni, e sarà possibile iscriversi on line.
Se avete già partecipato ad uno di questi seminari, sarà l’occasione per rivedersi fra amici e fare un sospiro di sollievo: le idee di mercato se la passano male, ma attraggono ancora facce giovani e pulite. Se non siete mai venuti, fateci un pensiero. L’ambiente è gradevole, le discussioni sono interessanti, s’impara sempre qualcosa.

22
Giu
2009

Fisco ed innovazione

Ho assistito oggi al ricco evento con cui Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici ed Economia Reale hanno presentato il Primo rapporto sul sistema della fiscalità del settore servizi innovativi e tecnologici. Il rapporto è il frutto di un lavoro meritorio, che punta certamente a rappresentare le esigenze di un settore significativo della nostra economia, ma suggerisce allo stesso tempo dei ragionamenti di più largo respiro sul rapporto tra prelievo tributario, da un lato, ed innovazione e crescita economica, dall’altro.

A questo proposito, mi piace appuntare per i lettori di Chicago Blog la riflessione introduttiva di Pietro Guindani – supervisore del rapporto -, dedicata agli «otto principi del fisco che vorremmo»:

  1. il fisco non può essere socio di maggioranza;
  2. il fisco non può penalizzare l’innovazione;
  3. il fisco deve incoraggiare l’accumulazione di capitale, a cominciare da quello immateriale;
  4. il fisco deve sostenere il superamento della crisi economica;
  5. il fisco non deve distorcere la concorrenza;
  6. il fisco deve incentivare la digitalizzazione;
  7. il fisco dev’essere semplice ed equo;
  8. il fisco dev’essere prevedibile.

Mi pare si possa convenire sul fatto che l’accoglimento di tali prescrizioni – peraltro felicemente assonanti con gli otto principi della moralità interna del diritto di Lon Fuller – rappresenterebbe una felice opzione di civiltà tributaria e, di per sé, un’innovazione considerevole.

22
Giu
2009

Garton Ash ha torto, i socialisti sbagliano

Ma siamo davvero tutti “condannati” alla socialdemocrazia? Non lo credo affatto. Lo storico oxoniano Timothy Garton Ash sbagliava a firmare appelli sull’Iraq insieme ad Habermas e Derrida, sbaglia oggi sullo Spiegel a descrivere un’Europa e un mondo intero in cui, in realtà, non ci sarebbe alternativa a essere socialdemocratici, e tutti i degni di salvezza sono in realtà solo socialdemocratici, a prescindere dal nome e dal colore che si danno. Qui le sue tesi. Oltretutto, se si va dritti al cuore della questione economico-finanziaria, identificare nei massicci aiuti di Stato e nell’energico quantitative easing praticato da Fed e BoE – meno dalla BCE – la via obbligata alla socialdemocratizzazione obbligata della politica economica è tecnicamente sbagliato, a mio modo di vedere. Mentre hanno ragione i critici di entrambe le politiche – quelle economiche e monetarie – di formazione friedmaniana, come Tim Congdon del FMI.

Posso comprendere l’entusiasmo di Garton Ash innanzi a un Obama che viene giudicato come un socialdemocratico europeo, e su questo in effetti concordo. Ma che in Europa i conservatori di Cameron siano in realtà socialisti, e che la stessa cosa valga in Germania per Cdu e Csu, credo sia un errore assoluto. Non ho molta considerazione per i green tories di Cameron, la cui svolta affonda le radici in anni ormai alle nostre spalle, quando il problema dei conservatori era riuscire a identificare finalmente un leader che durasse più di 18 mesi, e che apparisse credibile di fronte alle politiche mercatiste di Tony Blair. Dire che sono laburisti al più vorrebbe dire tornare appunto a Blair, che oggi non avrebbe certo praticato la svolta statalista del socialista per davvero da sempre, Gordon Brown. Non mi risulta, per altro, che Cameron sia filoeuropeista, anzi alle europee ha fatto campagna proponendo un referendum sul trattato di Lisbona anche nel Regno Unito. Quanto alla Germania, resto convinto che le nazionalizzazioni e i salvataggi di Stato con la Spd al potere sarebbero stati assai maggiori. Quanto all’Italia, la natura “sociale” – ex democristiana e socialista, in altre parole – del PdL è sicuramente molto forte. Che sia la stessa minestra di Visco e Prodi, però, non  mi pare proprio.

Più interessanti le critiche al quantitative easing, che in Italia non trovano alcuna eco.  I friedmaniani non criticano affatto i massicci acquisti di asset praticati dalle banche centrali anglosassoni, poiché attuano le critiche alla Fed degli anni Trenta argomentate nella famosa storia della politica monetaria americana scritta appunto da Milton Friedman e Anna Schwarz.  Criticano il fatto che essi non vengano praticati magari anche più massicciamente, ma in presenza di una politica economica fatta di decisi tagli alle tasse e alla spesa pubblica. Perché solo questa potrebbe fronteggiare al meglio il terribile output gap che continua a gravare sulle economie avanzate. Oggi esso è pari a più di 7 punti percentuali negli Usa. La revisione al ribasso della crescita rilasciata oggi dalla World Bank si basa su una stima dell’utilizzo del potenziale economico da minimo storico, pari al 68% negli Usa e al 60% nel mondo. E dichiara che, in tali condizioni, il rischio deflazione da crisi dei salari e occupati resta all’ordine del giorno. Tanto è vero che per questo il quantitative easing non morde: il moltiplicatore monetario è sceso in aprile a 0,893, rispetto alla media storica pari a 1,6 nell’ultimo decennio: il che significa che per il momento non c’è proprio verso di velocizzare la moneta nell’economia reale, neanche con le politiche monetarie innovative che non impensieriscono affatto i conservatori, perché non sono affatto socialiste.  Sono le politiche economiche socialiste – alta spesa, alte tasse – oggi più che mai il peggior nemico.  Non averlo capito ha portato il Giappone a languire per 12 anni. E noi, in testa come siamo alla pressione fiscale e contributiva sul lavoro e quarti in Europa per quella sulle imprese, lo capiremo mai?

22
Giu
2009

Settore Auto: quegli aiuti inutili

La settimana scorsa si è tenuto un importante vertice tra Fiat e il Governo; l’incontro ha messo in evidenza la strategia del gruppo torinese, che è quella di focalizzarsi sempre più sul mercato internazionale.
Questa è una necessità dovuta sia ad un mercato dell’automotive sempre più globalizzato che allo scarso appeal del nostro Paese come paese produttore di autovetture.
La Fiat ha esplicitato tale strategia non solamente con l’acquisizione del 20 per cento della proprietà di Chrysler e il tentativo di fusione con Opel, ma con una delocalizzazione, negli ultimi anni, della produzione verso paesi con un migliore ambiente atto agli investimenti.
Il gruppo guidato da Sergio Marchionne mette in evidenza due punti chiave del settore automobilistico italiano. Read More

20
Giu
2009

Carburanti troppo cari? Ditelo ai politici

Dopo Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sicilia ed Emilia Romagna, adesso è il turno della Liguria: la giunta regionale ha appena approvato un provvedimento secondo cui ogni nuovo impianto di distribuzione dei carburanti dovrà essere attrezzato anche per almeno uno tra Gpl, metano e idrogeno. Ufficialmente si tratta di una norma concepita per la salvaguardia dell’ambiente eccetera eccetera, ma il sostrato protezionista è chiarissimo. Si tratta della (efficace) risposta della lobby dei benzinai alla manovra liberalizzatrice iniziata dalle “lenzuolate” di Pierluigi Bersani e proseguita l’anno scorso nel collegato alla Finanziaria 2009, chez Claudio Scajola e Giulio Tremonti. La logica della normativa nazionale è quella di rimuovere i maggiori ostacoli al dispiegarsi di una reale competizione nella distribuzione in rete dei carburanti per autotrazione, che a oggi determinano una rete di distribuzione tra le più inefficienti in Europa (i dati fanno letteralmente impallidire). Imponendo l’installazione di Gpl o metano, le regioni di fatto creano una barriere all’ingresso di proporzioni enormi, che non riguarda solo la faccenda dei costi, ma investe una serie di requisiti urbanistici e di sicurezza (banalmente, l’estensione della superficie necessaria è molto maggiore, restringendo il numero degli spazi idonei). Della questione si era occupata, qualche mese fa, la stessa Autorità Antitrust, che in una segnalazione alle Camere e al governo aveva denunciato l’ondata di provvedimenti protezionistici sul tema. L’approccio di Antonio Catricalà e dei suoi è semplice e lineare: trattandosi di norme discriminatorie, che impongono ai nuovi entranti oneri a cui gli incumbent possono decidere se conformarsi oppure no, esse agiscono in direzione anticoncorrenziale. Se le regioni ritengono utile o importante promuovere la diffusione dei carburanti cosiddetti eco-compatibili, possono farlo incentivando l’adeguamento dei punti di rifornimento, siano essi nuovi o vecchi. Si dice che l’albero si riconosce dai frutti: i frutti delle regioni sono ammalati di protezionismo.

20
Giu
2009

Supervisione Ue, Lecce framework: Bce e globalstandardisti non convincono

L’Amministrazione americana ha proposto un deludente modello di riforma della supervisione dell’intermediazione finanziaria, che non semplifica quasi nulla e accentra solo qualche potere alla Fed – in questo accontentando le grandi banche delle quali Larry Summers è sempre stato ambasciatore – ma soprattutto estende il potere d’inframmettenza della politica estendendo a ogni soggetto finanziario l’eventuale decisione del segretario al Tesoro di procedure commissariali e concorsuali ad hoc. Il Consiglio Europeo a sua volta ha adottato delle conclusioni in materia di vigilanza finanziaria macrosistemica e microprudenziale, modificando le proposte del rapporto de Larosière a sua volta successivo ai lavori, anni addietro, della commissione Lamfalussy. La Bce resta delusa nelle sue richieste di accentrare il più possibile vigilanza macro e micro, come argomenta oggi sul Sole 24 ore Lorenzo Bini Smaghi. Né gli Usa né l’Europa attenderanno dunque il G20 di Pittsburgh in autunno – anche se i tempi delle rispettive decisioni formali sono ancora lunghi – per adottare nuovi princìpi e regole in materia di supervisione dei soggetti e dei mercati finanziari. A che cosa serve allora il cosiddetto Lecce Framework, le cui 78 pagine di materiale preparatorio, definito la settimana scorsa dai ministri finanziari del G8 coordinati da Tremonti, sono ancora ignote?

Credo che si debbano mettere alcuni punti fermi, su tale materia molto complessa. Poiché investe le regole dell’intermediazione finanziaria e dunque ha ricadute nelle attività finanziarie di ogni tipo d’impresa, a seconda di come davvero si adotteranno nuove regole e quali saranno, si disegnerà un orizzonte destinato a contrassegnare per qualche decennio l’ambito stesso di esercizio, funzionalità, efficienza ed efficacia dei mercati. Per chi la pensa come noi, è tempo di battaglia ideale. Controcorrente. Perché gli omologatori globalstandardisti vogliono gettare nel cestino evidenze positive fondamentali, attribuendo loro colpe che non hanno, nell’intento di esercitare controlli centralizzati. Non è materia per soli addetti ai lavori, se si ripassa un po’ di letteratura si scopre che alla base c’è l’idea stessa di Stato, mercato e legge. Per dei cultori di Bruno Leoni, un  must. Read More