Germania: modello in crisi?
Ormai da tempo si rimprovera alla Germania di essere stata troppo cauta e prudente nello slacciare i cordoni della borsa, senza aver approfittato della crisi per espandere il deficit a sostegno dei consumi. Critiche di questo tipo, rivolte non da ultimo anche dal premio Nobel Paul Krugman, si inseriscono nel più ampio dibattito sul cosiddetto Modell Deutschland. Da una decina d’anni la Repubblica federale sembra infatti aver trovato il proprio Sonderweg nell’export, mentre la sua domanda interna ha continuato inesorabilmente a stagnare. Molti economisti individuano nel meccanicismo della teoria dell’equivalenza ricardiana la spiegazione razionale a consumi tanto asfittici.
“I tedeschi non sono convinti che riduzioni di imposte o trasferimenti sociali più elevati aiutino più di tanto i consumi. È un fatto che i consumi privati si sono ridotti proprio quando la Germania aveva un deficit superiore al 3 per cento. Il fatto di trovarsi sotto procedura europea ha stimolato il risparmio cautelativo” (Antonio Pollio Salimbeni)
Può essere che ciò sia in parte vero. Nulla va apoditticamente escluso. In realtà non si deve dimenticare che corposi tagli di tasse in Germania non si vedono da decenni, che ad aver soffocato la pulsione all’acquisto ci ha pensato anche l’aumento dell’IVA dal 16 al 19% voluto dalla grande coalizione ad inizio legislatura e che il determinismo del moltiplicatore del reddito fa gola a chi vuole risposte semplici ed immediate da propinare agli elettori… In ultimo qualche dato. La Germania non rientrerà sotto quota 3% del rapporto deficit/Pil prima del 2014 (questo, secondo le stime più ottimistiche del Finanzministerium). Quella del pareggio di bilancio è insomma la più grande promessa mancata dell’esecutivo rosso-nero. Il Ministro delle Finanze Steinbrück, un Visco in salsa teutonica, si è prima reso responsabile di un considerevole aumento delle imposte e poi, messo alle strette, ha dovuto mollare gli ormeggi, sacrificando il mantra del “Pareggiamo i conti!” a pacchetti congiunturali da miliardi di euro. Senza dimenticare che in questi anni, la spesa pubblica tedesca non è mai calata. Si mettano a confronto i dati del 2005 con quelli del 2009. La Germania è stata il paese del tassa e spendi. E oggi può vantare anche un altro primato: il più alto debito pubblico dal dopoguerra. Che fare? La ricetta che alcuni economisti liberal sembrano proporre è: rilanciare la domanda interna a suon di stimoli evitando il “paradosso del risparmio”, prelevare i soldi dalle tasche dei ricchi e nel frattempo costringere ad abbandonare la via delle delocalizzazioni “selvagge e predatorie”. L’idea non è nuova. Sta nel programma di Die Linke.