Servizi di pubblica utilità
Stefano Quintarelli liveblogga la Relazione annuale del presidente dell’Agcom al Parlamento.
Stefano Quintarelli liveblogga la Relazione annuale del presidente dell’Agcom al Parlamento.
Dario Franceschini, segretario uscente del Partito Democratico e candidato alla segreteria del maggiore partito dell’opposizione, affida al Sole 24 Ore una serie di riflessioni sul tema della green economy. Franceschini scrive una serie di vuote cose retoriche e qualche sciocchezza, ma sembra una regola universale quella secondo cui ogni politico che si occupi di ambiente abbia diritto alla sua “fair share” di cazzate. Sono però piacevolmente stupito dal seguente passaggio:
Dobbiamo avviare una riforma fiscale che, con gradualità ma anche determinazione, alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese, e sposti il peso sullo spreco di materie prime e sulle produzioni più inquinanti.
Non sono sicuro che Franceschini intenda veramente quello che scrive, o che ne colga integralmente le conseguenze. In pratica, quello di cui egli parla è la “revenue-neutral carbon tax”, una proposta condivisa da molti economisti mainstream e di cui, per quel che ne so, in Italia ci siamo occupati solo noi dell’IBL (PDF).
Ve lo avevo anticipato qualche giorno fa qui sul blog, annunciando però che ero tenuto a un obbligo di riservatezza. Oggi il riserbo può venire in parte meno. Perché il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, intervenendo alle assemblee delle Unioni di Torino in mattinata e di Padova nel pomeriggio, ha svelato di che si tratta. Non è entrata nei particolari, dunque non lo farò neanche io. In questo caso, infatti, sul vanto del giornalista-economista per l’idea che ha avuto devono prevalere senso della misura e dell’opportunità. E’ molto più utile che l’idea possa provare ad andare concretamente in porto, rispetto alla sua paternità intellettuale. Per questo ho deciso di affidarla riservatamente a Confindustria, perché essa possa valutarla e affinarla, e soprattutto metterla con la sua autorevolezza al centro di un confronto serio con il governo prima, con il sistema bancario poi. Posso dunque solo dirvi in generale, che cosa sarebbe il Fondo Italia.
La notizia ha fatto capolino sui media tedeschi nei giorni scorsi. E la trovata è così ingegnosa da aver fatto imbufalire il gran fustigatore della mobilità di capitali, noto ai più come Peer Steinbrück, Ministro delle Finanze teutonico. In tempi di vacche magre, Vienna ha infatti coniato monetine d’argento da 1,50 euro ciascuna. Il boom dei “Silber–Philarmoniker”- così si chiamano questi spiccioli d’eccezione coniati a partire dal 2008 dalla Repubblica federale austriaca- non è certo da imputare ad una passione improvvisa di qualche numismatico, ma è piuttosto funzionale a tutelare il risparmio e gli investimenti dei cittadini, austriaci e non.
Secondo quanto riportato dal settimanale Der Spiegel, numerosi cittadini tedeschi con conti corrente aperti in Austria, starebbero facendo la spola da Berlino a Vienna per convertire i propri fondi neri in “argento” e ritornarsene poi a casa indisturbati, magari spernacchiando in allegria gli ufficiali doganali, rimasti del tutto impotenti dinanzi a questo traffico. Chi passa il confine tedesco, infatti, può portare con sé senza dover pagare tasse al massimo 10.000 euro, che corrispondono a circa 6000 Philarmoniker. Peccato, però, che il valore di mercato di questo gruzzolo di monetine tocchi i 110.000. Il trucco, riportano sempre i media tedeschi, funziona però solo con l’Austria e non con gli altri paradisi fiscali dello spazio germanofono.
L’iniziativa, che sta avendo comunque un grosso successo (circa 8 milioni di monete sono stati coniati finora), ha raggiunto le prime pagine dei giornali proprio nella settimana in cui il Bundestag ha approvato una stretta sui loopholes, ossia le scappatoie per depositare il proprio denaro all’estero. Ogni anno in Germania circa 100 miliardi di euro vengono evasi. Di qui gli oneri di informazione più stringenti sulle transazioni internazionali e i controlli a tappeto sui conti-corrente previsti dalla nuova legge, contro la quale solo l’FDP (partito liberale) ha votato contro.
Su Affari e finanza di Repubblica, Massimo Giannini attacca duramente la scarsa cultura dell’indipendenza dei regolatori che, secondo lui, caratterizza questo governo. A corredo del suo intervento (che non trovo online), sta un ampio servizio sulle surreali dimissioni di Lamberto Cardia, capo della Consob, di cui su Chicago si era occupato anche Oscar Giannino. Forse Giannini esagera nella critica al governo, ma c’è del vero nelle sue parole, che del resto prendono le mosse dal provvedimento con cui l’esecutivo ha respinto le dimissioni di Cardia, che recita testualmente:
[Il Consiglio dei Ministri] ha confermato la propria piena fiducia al Presidente Cardia, esprimendo apprezzamento per il suo operato, in particolare per il suo atteggiamento di rispetto istituzionale verso il Legislatore.
Linda Lanzillotta da ministro per gli affari regionali nel secondo governo Prodi aveva cercato con grande determinazione di introdurre elementi di concorrenza nei servizi pubblici locali. Di cio’, e di molte altre sue battaglie, le va riconosciuto ampio merito. Un suo intervento odierno sul “Sole 24 Ore” torna sul tema convergendo “su un diverso approccio” alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, patrocinato dall’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato.
Per Lanzillotta,
Se, infatti, come e’ ormai dimostrato, l’ostacolo ricorrente e’ rappresentato dalla sistematica resistenza opposta al processo di liberalizzazione dagli enti locali proprietari delle aziende, allora bisogna prendere atto che lo schema classico “liberalizzare prima, privatizzare (eventualmente) dopo” in questo caso non funziona. Bisogna quindi rovesciare l’ottica e affrontare in via prioritaria il tema della proprieta’ delle aziende che gestiscono i servizi pubblici locali.
L’ex ministro giustamente sottolinea come “proprieta’ e regolazione” vadano separati, e quindi in qualche maniera da’ priorita’ alla privatizzazione per “liberare” le imprese dalla politica. Per riallineare l’interesse dei decisori locali con quello dei consumatori (loro elettori), bisogna fare in modo che le aziende pubbliche escano dal “giro” degli appannaggi clientelari. Cio’ che convince meno, e su cui varrebbe la pena discutere, e’ la soluzione proposta da Lanzillotta (e prima di lei da Catricala’) rispetto al processo di privatizzazione. Scrive infatti:
Mentre non sarebbe neppure proponibile un trasferimento di beni di eccezionale valenza sociale e ambientale, quali sono appunto i servizi pubblici locali, ad investitori speculativi o orientati ad una pura logica di mercato, diverso sarebbe l’approccio delle Fondazioni bancarie, soggetti strutturalmente legati al territorio.
Insomma, Lanzillotta dice: solo privatizzando prima di liberalizzare, si separano le aziende dalla politica, creando le condizioni per la liberalizzazione, cioe’ per esporle alla concorrenza. Ma dice anche: privatizziamo affidandole ad attori, le Fondazioni di origine bancaria, i cui vertici sono di norma scelti dalle istituzioni locali. Solo che cosi’ il controllo politico non si annullerebbe certo, semmai diventerebbe un controllo “di secondo livello”, mediato da investitori che saranno certo “azionisti privati istituzionali con forte responsabilita’ sociale” ma che definirli “distinti e reciprocamente autonomi rispetto ai decisori politici sia nazionale che locali” pare un po’ eccessivo.
Ricordatevene bene, perché oggi torna utile: Keynes non amava affatto il capitalismo, bocciava il comunismo, ma sul socialismo era molto possibilista. Il King’s College di Cambridge pubblicherà tra poco nuovi inediti di John Maynard Keynes, e la lettura di un’anticipazione di alcuni testi curata da Roger Backhouse dell’Università di Birmingham mi ha fatto proprio bene. Di questi tempi in cui tutti o quasi si riscoprono keynesiani, rileggere le parole originali del divinizzato aiuta a tenere gli occhi bene aperti.