9
Lug
2009

Shabbat bancario e domenica del banchiere

Ci ho pensato a lungo, prima di dirlo. Poi ho capito meglio. Ma non mi è piaciuta lo stesso, la proposta lanciata dal ministro dell’Economia all’Assemblea dell’ABI. Di abbattimento fiscale degli interessi passivi sulle perdite e sofferenze, da parte bancaria si parla riservatamente da tempo. Non sono mancate energiche prese di posizione pubbliche, non solo di Faissola ma di top banker come Passera. Se il governo ritiene, faccia pure. Basta però che il risultato non sia paradossale: già oggi le grandi banche pagano un tax rate reale inferiore anche di 30 o 40 punti a quello della piccola impresa italiana. Il colmo sarebbe abbassargli ulteriormente le tasse perché gli impieghi soffrono della cattiva condizione dei prenditori, mentre non lo si fa a questi ultimi che incassano in prima persona coi loro dipendenti i colpi della crisi.

Mi pare poi del tutto macchinoso subordinare lo sgravio fiscale a una remissione degli interessi praticata dalle banche ai prenditori. Chi la amministra e secondo quali criteri, questa perdonanza a tempo? La imponiamo per legge, se le banche non si adeguano? La disponiamo per avviso comune governo-Abi, ma con che base coercitiva?  E’ volontaria e dipende dai paternoster e dalle avemaria che l’imprenditore si impegna a recitare per espiazione? Capisco che a Confindustria la proposta sia piaciuta subito: tutto va bene, pur che l’impresa abbia più ossigeno e meno richieste di rientro. Ma la misura biblica ha l’aria di una gran drittata: premia le banche e non gli altri soggetti, le sottopone a inevitabili discrezionalità nel valutare dall’esterno a chi sospendere il pagamento interessi e a chi no, e infine solleva il governo dal dover adottare  meccanismi più strutturali e di mercato, come quel Fondo Italia di cui vi ho scritto sul nostro blog. E che a Tremonti non piace, perché gli “sporca” le prospettive di recupero gettito tramite scudo fiscale.

9
Lug
2009

Trenitalia Cargo: la concorrenza falsata e la sicurezza ferroviaria

La sicurezza nel trasporto ferroviario è tornata prepotentemente in prima pagina in seguito alla gravissima tragedia di Viareggio. Le vittime sono salite a 23 persone, mentre altre continuano a lottare per la sopravvivenza in diversi ospedali italiani.
Spesso si è confuso il problema della sicurezza con la liberalizzazione del mercato ferroviario; il trasporto merci su ferro è stato liberalizzato in Europa da alcuni anni, ma è sbagliato collegare l’apertura del mercato con il fatto che l’incidente sia capitato ad un’azienda concorrente di Trenitalia Cargo.
Il problema relativo alla sicurezza non è dunque legato alla liberalizzazione come dimostrano i casi inglesi e svedesi, i più liberalizzati e al contempo i più sicuri. Sui binari di questi due Stati, viaggiano in concorrenza diversi operatori ferroviari e l’unica conseguenza rilevata è stata quella di una maggiore efficienza nel settore.
In Italia esiste un grave problema relativo alla concorrenza; se nel settore merci è riscontrabile una qualche competizione, soprattutto nel segmento internazionale, nel trasporto passeggeri continua ad esserci un solo monopolista, Trenitalia. Questa azienda è pubblica, poiché è interamente controllata dal Ministero dell’Economia, tramite la Holding Ferrovie dello Stato e controlla anche Trenitalia Cargo.
Ci sono due problemi legati alla sicurezza che hanno tuttavia una certa rilevanza anche il tema della concorrenza; in primo luogo quello relativo all’Agenzia per la sicurezza ferroviaria. Questa è stata creata pochi anni fa, separando il controllo della sicurezza da Ferrovie dello Stato. Questa separazione ha avuto una lunga gestazione, poiché dopo alcuni anni, l’organico di tale Agenzia non è ancora al completo. Read More

8
Lug
2009

L’indipendenza dei regolatori in Germania

Mi ricollego a quanto scritto da Carlo Stagnaro sul nostro paese per fare un considerazione riguardante la Germania. Come detto, i regolatori possono servire, ma  per funzionare devono essere indipendenti. Se vengono tirati per la giacchetta dalle consorterie politiche, la loro stessa utilità viene meno. In Germania il problema si pone da tempo in tema di controllo dei mercati finanziari e delle banche. Due sono le istituzioni competenti: Bundesbank e BaFin. Al di là del fatto che la ripartizione dei compiti è poco chiara, la lacuna maggiore è l’autonomia della seconda, legata anima ‘e core al Ministero delle Finanze. Se a ciò si aggiunge che più di un terzo del sistema bancario tedesco è in mano pubblica, immaginatevi i conflitti di interesse che ne possono scaturire. Per chi conosce il tedesco, consiglio vivamente di leggere questa ricerca dell’istituto economico di Colonia sulla vigilanza bancaria tedesca e non  nei tempi della crisi.

8
Lug
2009

Enciclica. Is the Pope a liberal?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Pasquale Annichino:

Alberto Mingardi invita tutti i “Chicagoans” a riflettere sul significato dell’ultima enciclica di Benedetto XVI. Condivido la sua analisi in merito al trattamento dedicato al documento dalla stampa italiana.
Il dibattito americano potrebbe forse fornire qualche spunto in più rispetto a quello italiano che vede, come spesso accade, i tifosi schierati, le bandiere spiegate e le mani applaudire a comando o in base al soffiar del vento.
David Gibson su Politicsdaily applicando le categorie della politica al documento sostiene che Benedetto XVI sia un liberal e addirittura afferma: “No U.S. candidate could get elected on an economic platform like that”. Il conservatore Rick Garnett, pur criticando Gibson, afferma che: “No doubt, the Pope’s views on many questions regarding the organization and regulation of the economy put him well to the “left” of the American political center”, precisando poi che è necessario valutare anche le posizioni sulle tematiche etiche per avere un approccio complessivo rispetto alle questioni affrontate nell’enciclica.
Su America Magazine Austen Ivereigh ipotizza un’influenza del pensiero dell’economia di comunione e del pensiero di Chiara Lubich, mentre George Weigel, sulla corazzata conservatrice rispondente al nome di National Review, offre una interessante ricostruzione che critica i passaggi che sarebbero stati influenzati dalle idee del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace. La ricostruzione di Weigel secondo Ivereigh serve  “(to) allow conservatives to ignore the encyclical’s key messages while remaining faithful to papal teaching”.
Se è condivisibile quanto scrive il New York Times, ovvero che risulta difficile inquadrare il pensiero di Benedetto XVI nelle categorie “liberal” e “conservative”, non si può non rilevare come bandiere spiegate e cori da stadio siano presenti anche oltre oceano.
Come suggerisce Garnett:  “It seems, so far, that too many are cherry-picking quotes that provide rhetorical support for their preferred policy goals, or that seem to score points for “their side” in the political / culture wars”.
Forse meglio la precauzione suggerita da Mingardi: torniamo alla fonte.

8
Lug
2009

Un paese a proprietà privata limitata

Arte, bloccato traffico illegale a Venezia“. Messa così, la notizia farebbe pensare a qualcosa di terribilmente pericoloso. E allora, uno si aspetterebbe di leggere di quadri e opere d’arte trafugate dai più importanti musei del mondo, fatte circolare con stratagemmi furbi e insospettabili. Poi, però, si va a leggere la notizia di agenzia e si scopre che non c’è nessun Arsenio Lupin che si è intrufolato nel Louvre, ha sottratto la Gioconda e, per uno strano caso del destino (o perchè un novello Zenigata la sa più lunga di qualsiasi genio del crimine), è stato arrestato a Venezia con la refurtiva.
I fatti, in realtà, sono i seguenti. I carabinieri avrebbero bloccato la vendita all’asta di 18 dipinti di proprietà della Fondazione di Venezia. Perchè? Perchè si sono dimenticati di comunicare la cosa alla Soprintendenza di riferimento e di ricevere la licenza necessaria. A sua discolpa, la Fondazione ha dichiarato: “Si tratta di opere minori che servivano per recuperare risorse importanti. È stata una nostra leggerezza”. Read More

8
Lug
2009

Enciclica. Qualche prima reazione

Mentre il G 8 si consuma fra trite dichiarazioni di principio e baruffe politiciste, sarebbe interessante che su questo blog discutessimo un poco della nuova enciclica papale. Non mi sembra che i giornali le abbiano fatto un grande servizio, fra commenti superficiali e bandiere piantate da questo o quell’opinion maker cattolico. Meglio andare alla fonte, e leggerla qui.
Un paio di considerazioni senza troppe pretese, della serie mi è piaciuto/ non mi è piaciuto (ovviamente, ciò che cerco io in un’enciclica, e me ne rendo ben conto, è un po’ diverso da ciò che può essere importante “metterci” per il Papa, e trovarci per un fedele).
Ho trovato molto interessante che Papa Ratzinger avvalori positivamente i processi di globalizzazione, il cui “criterio etico fondamentale” sta nell’ “unità della famiglia umana”. Rifiutando una visione “deterministica” dei processi di apertura dei mercati, il Papa sottolinea come essi offrano “la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto”. La legittimità della globalizzazione sembra essere meno intaccata dalla crisi di quanto fosse lecito temere.
Ho trovato preoccupante, ma prevedibile, ciò che Stefano Zamagni definisce “superare la dicotomia tra la sfera dell’economico e la sfera del sociale”. (*)
Si legge nell’enciclica che è “causa di gravi scompensi separare l’agire  economico da quello politico”. Il terzo settore è addirittura riconosciuto come dimostrazione del “significato polivalente” dell’imprenditorialità. E la “responsabilità sociale dell’impresa” è una formula ricorrente.
L’impressione è che la Chiesa cerchi un sorta di “zona franca” fra Stato e mercato, dove non entra la coercizione tipica del primo ma neanche il motivo del profitto. Questa è una visione un po’ artificiale della differenza fra “società civile” e “mercato” in cui si coglie la ricerca del profitto come un confine fra le due, e non invece ciò che li unisce, ovvero l’assenza di coercizione.

(*) Trovo molto curioso che Zamagni, considerato uno degli ispiratori di questa enciclica come della “Centesimus Annus”, sostenga che “Rerum novarum e Centesimus annus sono state encicliche che hanno parlato in difensiva”.

8
Lug
2009

Anghingò, ma che Alice è Calabrò

Anno dopo anno, il contributo di Corrado Calabrò alla forma espressiva delle Autorità indipendenti di settore è diventato veramente degno di nota. La presentazione del presidente dell’Autorità per le garanzie nella comunicazione è diventata sempre più lieve nei toni, filosofica nelle descrizioni, breve negli sviluppi, diplomatica nelle allusioni, aerea nei dati, smussata nei richiami. La riforma della Rai è “scetticamente inevasa”; da telefoni bianchi il titoletto “avanti c’è posto” al nuovo piano frequenze digitale;  sospeso tra Pirandello e Mozart   “…e quella che vorrebbe e non vorrebbe…”, il paragrafo dedicato alla critica in punta di piedi dei tg: con perle tipo “un telegiornale è il mondo che si parla” o “la tv è una finestra aperta sul pianeta”.  Però. 

Vado al dunque, l’unico della relazione. La proposta di una società veicolo mista pubblico-privata per le reti di Nuova Generazione. Ha almeno due gravi difetti, a mio modo di vedere. Il modello olandese da noi non funziona: perché in Olanda la tv via cavo c’era da anni, come complementare alla rete fissa telefonica, nonché alla tv analogica, nonché alle successiva iniziative wifi e banda larga locali. Secondo: da noi c’è solo Fastweb, per altro la rete in fibra più estesa in Europa, come attore di NGN. E allora, per costituire una società veicolo mista, l’Autorità dovrebbe volgere le tariffe sulle quali essa decide a premiare l’incentivo alla realizzazione di NGN, invece di continuare a premiare l’ex incumbent TI, con un occhio comprensivo ai suoi debiti e ai suoi azionisti bancari, e di escludere Fastweb dalla riallocazione per gara delle ex frequenze Ipse. Ma di questo, ovviamente, Alice-Calabrò tace. Anghingò, tre Corradi sul comò…

7
Lug
2009

Ferrovie: la concorrenza è necessaria

Lasciare in mano all’operatore pubblico il settore ferroviario forse non è la cosa migliore, viste le inefficienze che tale operatore ancora possiede. Mettere in concorrenza significa far vincere il migliore, colui che riesce a fare dei profitti e reinvestirli nell’azienda; al contempo i peggiori dovrebbe essere lasciati fallire, anche se si trattano di operatori pubblici e non fare come è successo per il caso Alitalia, dove per troppi anni il Ministero dell’Economia ha ricapitalizzato l’azienda e allungato l’agonia.
Di aziende ferroviarie private nel settore cargo che producono dei profitti esistono; tuttavia esse subiscono la concorrenza di Trenitalia Cargo, che continua ad operare con margini negativi per oltre il 20 per cento da diversi anni. I sussidi che riceve Trenitalia evidentemente aiutano a mantenere in vita un’azienda che continua ad essere in rosso da ormai troppi anni e che di conseguenza fa concorrenza sleale con i soldi che riceve dello Stato.
Nel trasporto passeggeri si potrebbe seguire l’esempio di diversi paesi europei, non certo quello francese che ogni anno riceve oltre 10 miliardi di euro dai contribuenti. Il modello svedese o inglese, vedono si una rete pubblica, ma gli operatori privati sono in concorrenza e chiedono sussidi molto bassi. Lo stesso modello potrebbe essere attuato in Italia, dove credo non ci sia una cultura necessaria, per una privatizzazione totale della rete. Read More