6
Lug
2009

Monete d’argento per fregare Steinbrück

La notizia ha fatto capolino sui media tedeschi nei giorni scorsi. E la trovata è così ingegnosa da aver  fatto imbufalire il gran fustigatore della mobilità di capitali, noto ai più come Peer Steinbrück, Ministro delle Finanze  teutonico. In tempi di vacche magre, Vienna ha infatti coniato monetine d’argento da 1,50 euro ciascuna. Il boom dei “SilberPhilarmoniker”- così si chiamano questi spiccioli d’eccezione coniati a partire dal 2008 dalla Repubblica federale austriaca- non è certo da imputare ad una passione improvvisa di qualche numismatico, ma è piuttosto funzionale a tutelare il risparmio e gli investimenti dei cittadini, austriaci e non.
Secondo quanto riportato dal settimanale Der Spiegel, numerosi cittadini tedeschi con conti corrente aperti in Austria, starebbero facendo la spola da Berlino a Vienna per convertire i propri fondi neri in “argento” e ritornarsene poi a casa indisturbati, magari spernacchiando in allegria gli ufficiali doganali, rimasti del tutto impotenti dinanzi a questo traffico. Chi passa il confine tedesco, infatti, può portare con sé senza dover pagare tasse al massimo 10.000 euro, che corrispondono a circa 6000 Philarmoniker. Peccato, però, che il valore di mercato di questo gruzzolo di monetine tocchi i 110.000. Il trucco, riportano sempre i media tedeschi, funziona però solo con l’Austria e non con gli altri paradisi fiscali dello spazio germanofono.
L’iniziativa, che sta avendo comunque un grosso successo (circa 8 milioni di monete sono stati coniati finora), ha raggiunto le prime pagine dei giornali proprio nella settimana in cui il Bundestag ha approvato una stretta sui loopholes, ossia le scappatoie per depositare il proprio denaro all’estero. Ogni anno in Germania circa 100 miliardi di euro vengono evasi. Di qui gli oneri di informazione più stringenti sulle transazioni internazionali e i controlli a tappeto sui conti-corrente previsti dalla nuova legge, contro la quale solo l’FDP (partito liberale) ha votato contro.

6
Lug
2009

L’indipendenza dei regolatori serve, nonostante tutto

Su Affari e finanza di Repubblica, Massimo Giannini attacca duramente la scarsa cultura dell’indipendenza dei regolatori che, secondo lui, caratterizza questo governo. A corredo del suo intervento (che non trovo online), sta un ampio servizio sulle surreali dimissioni di Lamberto Cardia, capo della Consob, di cui su Chicago si era occupato anche Oscar Giannino. Forse Giannini esagera nella critica al governo, ma c’è del vero nelle sue parole, che del resto prendono le mosse dal provvedimento con cui l’esecutivo ha respinto le dimissioni di Cardia, che recita testualmente:

[Il Consiglio dei Ministri] ha confermato la propria piena fiducia al Presidente Cardia, esprimendo apprezzamento per il suo operato, in particolare per il suo atteggiamento di rispetto istituzionale verso il Legislatore.

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5
Lug
2009

Servizi locali. Privatizzare senza privati?

Linda Lanzillotta da ministro per gli affari regionali nel secondo governo Prodi aveva cercato con grande determinazione di introdurre elementi di concorrenza nei servizi pubblici locali. Di cio’, e di molte altre sue battaglie, le va riconosciuto ampio merito. Un suo intervento odierno sul “Sole 24 Ore” torna sul tema convergendo “su un diverso approccio” alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, patrocinato dall’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato.
Per Lanzillotta,

Se, infatti, come e’ ormai dimostrato, l’ostacolo ricorrente e’ rappresentato dalla sistematica resistenza opposta al processo di liberalizzazione dagli enti locali proprietari delle aziende, allora bisogna prendere atto che lo schema classico “liberalizzare prima, privatizzare (eventualmente) dopo” in questo caso non funziona. Bisogna quindi rovesciare l’ottica e affrontare in via prioritaria il tema della proprieta’ delle aziende che gestiscono i servizi pubblici locali.

L’ex ministro giustamente sottolinea come “proprieta’ e regolazione” vadano separati, e quindi in qualche maniera da’ priorita’ alla privatizzazione per “liberare” le imprese dalla politica. Per riallineare l’interesse dei decisori locali con quello dei consumatori (loro elettori), bisogna fare in modo che le aziende pubbliche escano dal “giro” degli appannaggi clientelari. Cio’ che convince meno, e su cui varrebbe la pena discutere, e’ la soluzione proposta da Lanzillotta (e prima di lei da Catricala’) rispetto al processo di privatizzazione. Scrive infatti:

Mentre non sarebbe neppure proponibile un trasferimento di beni di eccezionale valenza sociale e ambientale, quali sono appunto i servizi pubblici locali, ad investitori speculativi o orientati ad una pura logica di mercato, diverso sarebbe l’approccio delle Fondazioni bancarie, soggetti strutturalmente legati al territorio.

Insomma, Lanzillotta dice: solo privatizzando prima di liberalizzare, si separano le aziende dalla politica, creando le condizioni per la liberalizzazione, cioe’ per esporle alla concorrenza. Ma dice anche: privatizziamo affidandole ad attori, le Fondazioni di origine bancaria, i cui vertici sono di norma scelti dalle istituzioni locali. Solo che cosi’ il controllo politico non si annullerebbe certo, semmai diventerebbe un controllo “di secondo livello”, mediato da investitori che saranno certo “azionisti privati istituzionali con forte responsabilita’ sociale” ma che definirli “distinti e reciprocamente autonomi rispetto ai decisori politici sia nazionale che locali” pare un po’ eccessivo.

4
Lug
2009

Keynes, l’anticapitalista

Ricordatevene bene, perché oggi torna utile: Keynes non amava affatto il capitalismo, bocciava il comunismo, ma sul socialismo era molto possibilista. Il King’s College di Cambridge pubblicherà tra poco nuovi inediti di John Maynard Keynes, e la lettura di un’anticipazione di alcuni testi curata da Roger Backhouse dell’Università di Birmingham mi ha fatto proprio bene. Di questi tempi in cui tutti o quasi si riscoprono keynesiani, rileggere le parole originali del divinizzato aiuta a tenere gli occhi bene aperti.

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4
Lug
2009

Ronde e demagogia

Tutto questo accanimento sulle ronde fa proprio un po’ sorridere. Non mi voglio dilungare. Giorgio Topa, su NfA, attacca sommariamente il provvedimento varato dal governo in tipico stile, si parva licet, “zagrebelskiano”. Ci preme ricordare a lorsignori che l’arresto in flagranza da parte di singoli cittadini è già oggi previsto dal codice di procedura penale. Si veda l’articolo 383, rubricato “facoltà di arresto da parte dei privati”. Insomma, intorno a questa polemica,  circola molta demagogia. Al paragone con le organizzazioni criminali citate, rispondo con questo bel paper di Piero Vernaglione, che traccia una linea netta tra che cosa è mercato e che cosa è sfruttamento. Per il resto mi limito a soggiungere che la possibilità che associazioni volontarie presidino liberamente il territorio non aveva effettivamente bisogno di una legge ad hoc. Dovrebbe essere garantito dalla Costituzione. E non mi riferisco a quella americana. Buon 4 luglio…

Update 5/07/09: Ci fa piacere constatare che anche Alberto Lusiani su NfA dichiari apertamente la sua non-ostilità alla “trovata” leghista.

3
Lug
2009

Quel diavolo di Passera

Vi stavo ammannendo un’articolessa su Keynes eterno nemico del capitalismo, figlio di notturne riletture di articoli del divinizzato che mi han fatto andare per traverso un ottimo Jadot dell’81, e correre dai medici. Ma poi le agenzie mi han fatto sussultare. Ah no, il diavolo è molto più vicino. E come sempre occorre inchinarsi alle sue astuzie, quando fa guizzare a mo’ di coda di frac la sua appendice forcuta.  Perdonate il colore, ma è cosa da Cinquecento del Machiavelli, quella andata in onda oggi sul grande palcoscenico dei poteri bancari italiani. Mi aveva colpito che, del tutto fuor d’opera rispetto al convegno in cui annunciava 5 miliardi 5 di impieghi destinati alla piccola impresa italiana, stamane l’ad di Banca Intesa Corrado Passera avesse speso parole mielate verso il nuovo patto di sindacato “leggero” sottoscritto in Intesa da Generali e Credit Agricole, dopo che quello “pesante” di metà aprile era stato bocciato dall’Antitrust.  A Passera, inevitabilmente, quel patto non può piacere: neither heavy, nor light, nor ultralight. E infatti l’ad aveva anche aggiunto un “i nostri azionisti non creeranno mai problemi alla banca…”, a metà tra l’avvertimento a stare al posto proprio e l’esplicita diffida.

Senonché nessuno aveva dato peso all’ultima righetta: aspettiamo ora che dirà l’Antitrust, aveva concluso Passera.  Naturalmente, quel gran diavolo di Passera sapeva perfettamente già stamane che l’Antritrust, a mercati appena chiusi, stasera avrebbe scomunicato anche il nuovo patto “leggero”. Oggi Passera gli ha fatto marameo, alla Mediobanca geronziana che voleva stringere un pochino le viti a Intesa in vista della partita futura in Generali. Ma riderà bene chi riderà ultimo. Passi per gli schiaffi che Passera ha menato nelle nomine a Corriere, Sole e Stampa. Ma qui la cosa diventa più seria. E chissà che al diavolo alla fine riesca la pentola, ma salti il coperchio.

3
Lug
2009

Quesiti in attesa di risposta/ D’Alema, i voti, e la televisione.

Riceviamo e pubblichiamo da Franco Debenedetti questo quesito in attesa di risposta:

“In Italia vale la regola: chi è al governo perde le elezioni” L’ha detto Massino D’Alema alla presentazione di ieri. Ma poco prima aveva detto che il problema italiano è il  dominio di Berlusconi sulle televisioni, un’anomalia che riguarda la democrazia stessa. Come conciliare le due affermazioni?