Il proibizionismo salva la vita?
Qualche anno fa, personaggi non marginali della coalizione oggi al governo ripeteva (evidentemente, senza aver ben metabolizzato il concetto) che le tasse per venire pagate debbono essere “pagabili”. Silvio Berlusconi fissò al 33% l’asticella del “massimo tributo esigibile” dal contribuente prima di violare norme di “diritto naturale” (il riferimento, per quanto impreciso e abborracciato, era a una tradizione di pensiero che ben conosciamo: il 33% era e resta misterioso). Una goffa difesa dell’evasione, strizzando l’occhio agli elettori?
Lasciando perdere gli eventuali calcoli elettorali, a me sembrava e sembra semplice buon senso. La variazione sul tema, forse ancora più importante, è che le leggi per essere obbedite debbono essere obbedibili. Quando si legge che secondo le nuove norme sulla sicurezza stradale “chi ha preso la patente da meno di tre anni e chi guida per lavoro non potranno bere neanche un goccio prima di mettersi al volante” viene il dubbio di avere a che fare con norme semplicemente inobbedibili.
La sicurezza stradale è cosa importantissima. Ma il proibizionismo alcolico (sorprendentemente di moda di questi tempi) sortirà risultati? L’alterazione delle percezioni di chi guida è un nemico della sicurezza, non c’è dubbio. Però colpevolizzare la bottiglia piuttosto che il guidatore può paradossalmente indurre un allentamemento della responsabilità personale. E suggerire che basti essere sobrio, per non essere una minaccia per sé e per gli altri.