21
Lug
2009

Il proibizionismo salva la vita?

Qualche anno fa, personaggi non marginali della coalizione oggi al governo ripeteva (evidentemente, senza aver ben metabolizzato il concetto) che le tasse per venire pagate debbono essere “pagabili”. Silvio Berlusconi fissò al 33% l’asticella del “massimo tributo esigibile” dal contribuente prima di violare norme di “diritto naturale” (il riferimento, per quanto impreciso e abborracciato, era a una tradizione di pensiero che ben conosciamo: il 33% era e resta misterioso). Una goffa difesa dell’evasione, strizzando l’occhio agli elettori?
Lasciando perdere gli eventuali calcoli elettorali, a me sembrava e sembra semplice buon senso. La variazione sul tema, forse ancora più importante, è che le leggi per essere obbedite debbono essere obbedibili. Quando si legge che secondo le nuove norme sulla sicurezza stradale “chi ha preso la patente da meno di tre anni e chi guida per lavoro non potranno bere neanche un goccio prima di mettersi al volante” viene il dubbio di avere a che fare con norme semplicemente inobbedibili.
La sicurezza stradale è cosa importantissima. Ma il proibizionismo alcolico (sorprendentemente di moda di questi tempi) sortirà risultati? L’alterazione delle percezioni di chi guida è un nemico della sicurezza, non c’è dubbio. Però colpevolizzare la bottiglia piuttosto che il guidatore può paradossalmente indurre un allentamemento della responsabilità personale. E suggerire che basti essere sobrio, per non essere una minaccia per sé e per gli altri.

21
Lug
2009

What is greed? Uncle Milton on stage

Piuttosto che commentare le audizioni in corso sul Dpef, vi invito a consolarvi riascoltando le parole scritte sul marmo del tempo da Milton Friedman, che a distanza di 30 anni si applicano perfettamente alla crisi in corso. The free man will ask neither what his country can do for him nor what he can do for his country. Da proiettare nelle scuole e … nelle aule parlamentari

http://freemarketmojo.wordpress.com/2009/07/20/what-is-greed/

20
Lug
2009

Autorità di regolazione: la politica attacca, da noi e negli States

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, nel girare al Parlamento la relazione annuale del presidente Consob Lamberto Cardia, ha sottolineato con una propria nota la necessità  di interventi improcrastinabili «sull’attuale assetto istituzionale italiano che, rispetto agli altri Paesi membri dell’Unione europea, si caratterizza per un numero elevato di autorità indipendenti, tra cui sono ripartite le funzioni regolamentari di vigilanza». Secondo Tremonti il dibattito che è «di importanza cruciale». Il sistema basato sulla frammentazione delle autorità nazionali è ormai «irrealistico» perchè gli intermediari sono «sempre più internazionali» e i mercati «sempre più integrati». Abbiamo deciso di chiedervi con un sondaggio come la pensate. Io sono dell’idea che occorra stare oggi più che mai molto attenti. L’aria di “rivincita” da parte della politica non mi persuade per niente, e più volte ho già scritto come la penso intorno alle cattive prove offerte recentemente da vertici di Autorità di regolazione indipendenti, dalla Consob all’Antitrust, che mi appaiono troppo pronti a compiacere la politica invece di tutelare l’indipendenza delle decisioni del proprio collegio. È un dibattito che ferve in tutto il mondo, sotto la morsa della crisi la politica mostra crescente insofferenza verso Authorities che, tante volte, non hanno dato buona prova di sé, mostrandosi spesso “prigioniere” dei soggetti regolati. Negli States, soprattutto, il confronto è molto più alla luce del sole che da noi.  Perché lì accademici e intellettuali reagiscono e dibattono. Da noi, tutto tace e i media o restano muti, o plaudono alle… “cardiate”.

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20
Lug
2009

El nucleare xe venexian?

Qualche giorno fa mi chiedevo: nucleare dove? Un indizio arriva oggi dal lungo articolo di Dario Di Vico sul Corriere Economia, che avvalora la tesi secondo cui almeno un impianto dovrebbe trovare sede in Veneto. All’indomani dell’approvazione del ddl Sviluppo, che per la prima volta apre la strada all’atomo, il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, era stato l’unico a dichiararsi disponibile a ospitare una centrale. Oltre a lui, solo Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia, aveva lasciato uno spiraglio aperto, subordinando però la sua disponibilità all’esito positivo di un referendum popolare. Di Vico ricostruisce il dibattito veneto, sottolineando le perplessità già manifestate da esponenti di primo piano della Lega, pronti a cavalcare le opposizioni popolari (nonostante il partito sia ufficialmente favorevole al nucleare). Opposizioni non trascurabili, se bisogna dar retta al sondaggio condotto dalla Fondazione Nord Est e ricordato dallo stesso Di Vico: il 52,2 per cento dei cittadini sarebbe contrario, mentre solo il 7,2 per cento sarebbe favorevole a prescindere e un più incoraggiante, ma complicato, 32,2 per cento lo sarebbe “a patto di avere certezze sulla sua salute”.

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20
Lug
2009

Conseguenze inintenzionali del populismo

Da almeno dieci anni la politica del governo USA sulle case è follemente populista: dare a tutti una casa a qualsiasi costo, che sia economico, come rischiare di distruggere il sistema finanziario, o psicologico, come scrivere slogan propagandistici ridicoli come in “Closing the gap. A guide to equal opportunity lending”, il manifesto del populismo immobiliare USA, pubblicato con la complicità della Federal Reserve di Boston.

Nonostante ciò, se i privilegi legali delle due government sponsored enterprises, Fannie Mae e Freddie Mac, o gli sgravi fiscali sui profitti immobiliari, o il supporto monetario diretto al mercato immobiliare degli ultimi due anni di crisi hanno avuto effetti devastanti sull’economia americana, soprattutto sulla sua stabilità finanziaria, potrebbe venire il dubbio che comunque qualche effetto sociale positivo ci sia pur stato.

Il boom partito alla metà degli anni ’90 ha provocato un aumento della proprietà immobiliare tra gli americani: se prima il 64% degli americani aveva una casa di proprietà, poco prima della crisi era salito al 69.0%. Ammesso (e non concesso, data la mobilità lavorativa degli americani) che questo sia un fatto di per sé positivo, c’è da dire che la crisi ha già fatto scendere questo tasso al 67.3% (2009Q1), e considerando che gli interventi del Tesoro e della Fed hanno rallentato il naturale aggiustamento dell’economia, i fondamentali economici sono sicuramente ben peggiori di quanto i numeri facciano pensare.

Non sono un fan delle analisi costi-benefici, perché sono necessariamente value-ridden e tendono sempre a dimenticare qualcosa (il mondo è complesso e l’informazione scarseggia). In ogni caso, un aumento del 5% (ora 3%) dell’homeownership è costato moltissimo: la creazione di un sistema finanziario instabile, un indebitamento estero da repubblica delle banane, il dirottamento dei pochi fondi disponibili dall’industria verso servizi finanziari dal dubbio valore reale e verso un settore immobiliare evidentemente ipertrofico da anni (con conseguente depauperamento del settore secondario, o sua esportazione all’estero), un aumento incredibile dell’indebitamento dei privati, e un’improvvisa – anche se prevedibilissima – contrazione dello stato patrimoniale degli americani, che si erge minacciosa come una spada di Damocle sul futuro dei baby boomers pensionandi.

I dati sono dell’US Census Bureau. Viene da chiedersi, in pratica, se l’unico effetto positivo del boom immobiliare indotto dai governi USA non sia che un fenomeno temporaneo, visto che presto o tardi i debiti andranno pagati, e quindi qualcuno perderà la casa acquistata rovinandosi finanziariamente, e a costo di enormi distorsioni macroeconomiche.

18
Lug
2009

A scanso di equivoci: la stampa italiana fa peggio

Non vorrei ingenerare equivoci. Il mio di ieri non era affatto l’attacco di rito alla stampa della perfida Albione che ce l’ha con Silvio e con noi italiani dipinti come eterni lazzaroni (vedi il Guardian di oggi). Era mero stupore nel vedere che su un argomento economico – le tasse – l’Economist toppava di brutto. Ma la stampa italiana fa irrimediabilmente di peggio, ogni giorno. Due esempi tratti dai quotidiani di oggi. La scelta della Stampa di dedicare l’editoriale di apertura a quel vecchio trombone impagliato di Paul Samuelson:  con tutto rispetto per il premio Nobel , in America non verrebbe in mente a nessuno di dare un simile rilievo a chi da anni ha smesso di fare altro se non pura politica: basti vedere che cosa scrive oggi, che son stati i repubblicani cattivi a scatenare la finanza derivata – mentre la Glass-Steagall Act l’ha abrogata Larry Summers sotto Clinton – e per fortuna che invece oggi c’è oggi il “talentuoso” Geithner con quell’angelo di salvezza che sarebbe Obama. Quanto al merito economico dell’iperkeynesiano, è assolutamente scontato: serve più deficit, molto più deficit, tutto e subito, naturalmente. Avendo una certa esperienza di direttori di giornali generalisti, so che spesso l’idea di pubblicare un Nobel in quanto Nobel prevale su quel che il Nobel pensa e scrive. Nel caso di Calabresi, speravo che il tempo trascorso in America fosse servito a qualcosa. Probabilmente, mi illudevo.  Venendo al Corriere, oggi a pagina 21 le sei colonne riservate all’articolo “lo sceicco e il superbond da un miliardo di dollari restituito” è la classica riproposizione del pregiudizio ad personam. Ma come, in tempi in cui tutti invocano la trasparenza bancaria capita che un istituto avvisi automaticamente la Procura, quando un suo cliente inizia a “girare” titoli per un ammontare che eccede di  multipli la consistenza dei suoi conti,e invece il Corriere lo mette alla berlina, trattandolo da cretino che perde clienti e affari? Non è che per caso conta il fatto che la banca in questione sia la Mediolanum di Ennio Doris, con socio di minoranza Berlusconi, e di conseguenza scatti il riflesso condizionato di azionare il bastone? Temo di sì.

18
Lug
2009

Trenitalia: troppo pubblica e pochi cambiamenti (contabili)

Il settore ferroviario avrebbe bisogno di una seria riforma in quanto il trasporto via ferro attualmente è fonte di notevoli sprechi e di enormi spese per lo Stato Italiano. I punti di debolezza sono molteplici ed elencarli tutti richiederebbe un libro. Senza analizzare i provvedimenti degli ultimi mesi, che sono andati tutti contro la concorrenza (dal DDL Sviluppo alle leggi 2 e 33 del 2009), è bene poter vedere i primi dati dell’operatore monopolista del trasporto ferroviario italiano. Trenitalia S.p.A., controllata da Ferrovie dello Stato Holding, ha chiuso questo anno il conto economico con una perdita di soli 41 milioni di euro, contro i 402 milioni di euro di rosso del 2007. Questo dato potrebbe essere considerato positivamente, senza fare un’analisi completa del bilancio, ma è necessario ricordare che il bilancio dell’azienda incumbent del trasporto ferroviario italiano è totalmente dipendente dai sussidi e contributi pubblici. Quindi, prima di fare affermazioni frettolose è bene studiare a fondo il conto economico pubblicato da Trenitalia, analizzando in primo luogo i ricavi e successivamente i costi. Solo in questo modo è possibile trovare gli eventuali miglioramenti nella gestione dell’incumbent ferroviario. Analizzando a fondo il conto economico di Trenitalia infatti l’impressione che se ne ricava è totalmente differente dall’ultima riga del bilancio.

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17
Lug
2009

Low return on assets versus high yields push: come se ne esce?

Goldman Sachs e Jp Morgan escono con le loro trimestrali come le vere vincenti del credito americano post aiuti di Stato, e l’analisi dei loro risultati conferma che – grazie al fatto di essere state più prudenti nell’andare “corte” da metà 2007 a settembre 2008 sulle colossali nozionali di securities sintetiche che negli anni precedenti avevano loro fruttato utili stellari affettandole, reimpacchettandole e rivendendole in tutto il mondo – oggi possono meglio delle concorrenti assumersi di nuovo elevati rischi nel trading properties, massimizzando aiuti del Tesoro e oceanica liquidità.  M’interessa assai poco seguire i toni alla Grillo di Paul Krugman, nel commentare tale fenomeno. Serve di più una fredda analisi sistemica. Da dove nasce, la relazione asimmetrica tra basso return on assets e spinta verso high yields? Quali responsabilità implica per il regolatore? Se bisogna uscirne e cioè occorre attenuarla- e dico “se” –  come e che deve farlo al meglio? Le domande centrali sono queste, se vogliamo pensare a un’intermediazione finanziaria meno proclive a instabilità sistemica (il che non dovrebbe esimere noi europei dall’occuparci delle 30 banche continentali tra grandi e grandissime che attendono di essere ristrutturate dopo i salvataggi, come ha detto oggi Neelie Kroes per mascherare la sostanziale impotenza in materia della Commissione europea; né continuare a far finta di nulla di fronte all’accumulo tossico che resta nelle banche del Paese leader, la Germania, a fronte dell’aggravarsi della crisi bancaria nell’area baltica, vedi oggi i disastrosi risultati annunciati da Swedbank). Sono domande che ci riportano alla responsabilità del regolatore monetario, e a quella dei criteri di supervisione.  La risposta non “unisce” affatto: anzi, per chi la pensa come noi, divide e anche profondamente, dal mainstream che riecheggia oggi nei fori internazionali.

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17
Lug
2009

La fesseria dell’Economist di oggi

Sono d’accordo con quanto più volte scritto da Alberto Mingardi: l’Economist è una lettura che vale sempre la pena di fare. Ma quando parla dell’Italia di Berlusconi,  spesso siamo a fesserie sesquipedali. L’intervento odierno spiega il successo di Silvio al G8 e la delusione dei gossippari, rimasti sinora con un pugno di mosche in mano mentre si attendevano di matare il toro, con la bombastica tesi per la quale in realtà Silvio regna con il consenso perché gli italiani sono evasori fiscali incalliti, dunque si fidano di lui perché sanno che così avranno più possibilità di farla franca. La tesi si fonda su due paper elaborati da Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra. Peccato che si nasconda al lettore che si tratti notoriamente di  due studiose che innervavano con le loro puntute consulenze il viceministero retto da Vincenzo Visco, nella passata legislatura. E questo passi. Ma il punto è che quei papers si sono rivelati fallaci nella tesi. Sostenevano che il calo dell’Iva nel 2008 era superiore al calo dei consumi, e che dunque andava letto come più evasione. Le revisioni al ribasso del Pil e dei consumi relativi al 2008, avvenuto solo due mesi fa, hanno confermato che il calo dell’Iva al contrario correttamente “leggeva” il dato dell’economia reale, che le due studiose sottostimavano. Basta dare un’occhiata alle serie storiche Bankitalia sui coefficienti di elasticità tra calo del gettito delle diverse imposte e deteriorarsi della congiuntura, per fare giustizia di sciocchezze di questo genere, che derivano dalla lettura “politica” dei dati. Che l’Economist si riduca a questo è un segno che anche i migliori giornali non riescono a evitare di diventare prigionieri delle porprie tesi, rispetto alla realtà quando essa si mostra oggettivamente diversa.