27
Lug
2009

Bernanke bis? Un urrah per Anna Schwartz

Reduce da un numero improbabile di ore per andare e tornare da un dibattito che dovevo fare alla Versiliana, solo per colpa delle immonde code autostradali arrivo in ritardo per proporvi di unirci in un ideale urrah ad Anna Schwartz, autrice con Milton Friedman della fondamentale storia monetaria degli Usa da cui tutti hanno imparato “la” vera lezione della Grande Depressione. Il suo editoriale di oggi sul NYT su Ben Bernanke, personalmente lo condivido dalla prima all’ultima parola, insieme all’auspicio di un successore diverso: ma perderemo, temo.

26
Lug
2009

La ballata della crisi

All’Istituto Bruno Leoni per un seminario, Arnold Kling ha iniziato il suo intervento con una buffa quanto istruttiva “canzoncina”. Ai versi sarebbe abbinato qualche passo di danza, ma per vostra fortuna mi limito ad incollare qua sotto le parole. Non è stato solo un modo divertente per cominciare un discorso. E’ una canzoncina molto istruttiva:

The financial crisis will produce a battle
And that is, “What will be the narrative?”
They will tell you that the failure was all moral
But I say it was mostly cognitive

The loans a bank regrets are what I call bad bets.
They made a bigger mess with leverage to excess.
And when they spread their woes they fell like dominoes.
They spoiled each others’ fun with new-style banking runs.

What made it all go wrong?
Just listen to my song.

Capital regulations were sure arbitraged
Bank protection against risk was just a mirage
With securitization, requirements did fall.
With a SIV a bank needed no equity at all.

Capital regulations were unsafe and unsound.
Their perverse implications brought the whole system down.

24
Lug
2009

TBTF: limiti alla crescita bancaria e politica monetaria

Non riesce a persuadermi, l’argomento sollevato da Mario Seminerio nel suo post di stamane, citando l’intervento del presidente della Fed di Dallas Richard Fischer. Mi riferisco al problema posto all’efficacia della politica monetaria da banche e intermediari finanziari TBTF – too big to fail; ormai come insegna l’esempio AIG o delle finanziarie delle case automobilistiche non sono solo le banche a rientrare nella definizione, bensì ogni intermediario finanziario le cui dimensioni e interrelazioni su rischio di controparte possano essere valutati macrosistemicamente imprescindibili, per evitare reazioni  a catena.  Per scoraggiare l’assunzione di dimensioni monstre, bisogna assumere politiche antitrust ostili alle fusioni? Oppure ratios di capitale variabili al crescere degli asset patrimoniali, pre dichiarati ma inevitabilmente a discrezione del regolatore?  O ancora, adottare una disciplina più onerosa delle riserve obbligatorie degli intermediari e dei relativi repos presso le banche centrali? Non mi sfuggono i limiti del gigantismo, ma non ne sono convinto. Un paper molto utile, per quanto di autore a me non molto caro, rafforza ulteriormente i miei dubbi.

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24
Lug
2009

Troppo grandi per non far fallire la politica monetaria

In un discorso tenuto ieri al Fixed Income Forum in California il presidente della Federal Reserve di Dallas, Richard Fischer, ha affrontato il tema dei problemi creati da banche giganti che hanno acquisito altre banche giganti durante la crisi finanziaria. Per Fischer (e per il buon senso, aggiungeremmo), le acquisizioni indotte dalla crisi finiscono col consolidare e concentrare attivi e potere finanzario nelle mani di alcune grandi organizzazioni, conducendo in ultima istanza a riduzione della competizione e ad un settore finanziario meno efficiente e diversificato.

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23
Lug
2009

Le pillole di Obama, il salasso del Tesoro

L’intervista televisiva di Obama di ieri sera si è risolta nel primo vero grande flop dacché il nuovo presidente ha vinto le elezioni. Non ho trovato un solo commentatore indipendente rispettabile, simpatizzi per i democratici o sia incallito repubblicano, che oggi negli USA non abbia riservato espressioni miste tra l’incredulità e la stroncatura, alle banali storielline con le quali il presidente ha tentato di vincere i tanti dubbi sulla sua riforma sanitaria – da oltre 1,1 bn% di costi aggiuntivi, per metà da nuove tasse sui “ricchi”- spiegando che i chirurghi devono piantarla di fare tonsillectomie solo per guadagnare i rimborsi, e che tra una pillola blu che costa il doppio, e una rossa che costa la metà ma ha lo stesso effetto, è venuto il momento di preferire quella rossa. Così continuando, la riforma sanitaria si candida a essere honeymoon’s grave per Obama come fu per Clinton.  Il miglior commento è questo stupefacente grafico che documenta la “fame” del Tesoro Usa nella sola prossima settimana: la bellezza di 229 miliardi di dollari richiesti a tambur battente dal debito pubblico. Ripeto: in una settimana. Hai voglia a pillole, è peggio di un salasso.

23
Lug
2009

Decreto anticrisi: ABI batte governo 1-0

Non ci voleva molto a capirlo, infatti ve l’avevo scritto sin dal primo giorno, che “obbligare” le banche alla moratoria dei crediti in un testo di legge si prestava inevitabilmente a profili di totale illegittimità. Oggi, nell’accettare le forbici impugnate dal presidente della Camera Fini sul maxiemendamento al decreto, testo sul quale il governo aveva neanche 48 ore fa espresso il suo placet in Commissione, Tremonti è stato costretto a riconoscere che, “in particolare per quanto riguarda le banche, il testo della Commissione sarà cancellato perché in contrasto con gli standard internazionali e le norme europee, fermo restando che dal punto di vista politico, l’intento espresso dai parlamentari viene assorbito dalla scelta di operare con un avviso comune per una forte moratoria del sistema bancario nei rapporti finanziari”. Sai che risate, i banchieri… lo sanno tutti, che a prescindere dagli avvisi dati da Faissola, in questi giorni alcuni primari ad di grandi istituti bancari avevano fatto presente a Gianni Letta che con quel testo il governo avrebbe sbattuto la testa contro un muro. Fini ha prestato ascolto, e formalmente ha fatto più che bene a farlo. Perché quanto più si intende assumere misure incisive, in materia di banca e credito, tanto più la politica deve stare attentissima alle forme. Se vuole evitare autogol che rafforzano solo e proprio coloro che si vorrebbe mettere in riga.

23
Lug
2009

L’auto che va? 4 lettere, “F” la prima, ma si chiama… Ford

I resoconti del secondo trimestre Fiat sono in linea con la tradizione del giornalismo italiano, quando si tratta di Torino. “Per Fiat un grande trimestre”, era il titolo del Sole citando Marchionne, che però NON l’ha detto in sede d’illustrazione dei risultati. La caduta di Iveco e CNH resta a doppia cifra sui mercati, l’auto tiene in utile grazie al solo Brasile, perché il resto cioè l’Europa dove la quota Fiat è in crescita, si deve integralmente – come per tutti gli altri costruttori continentali – all’effetto degli incentivi governativi.  Non a caso Marchionne li ha chiesti già sin d’ora per tutto il 2010. E sarà così, c’è da scommetterci: cioè a spese del contribuente europeo si continuerà a rinviare la scelta del ridimensionamento dei volumi produttivi, il vero grande problema visto che quella dell’auto è una crisi da sovraccapacità produttiva pre esistsnte a quella della domanda.  Fiat continua a tagliare tutto il tagliabile in termini di spese discrezionali – si parla di contenimenti nell’ordine del 20% per l’anno in corso –  cioè investe ancor meno di quanto facesse rispetto ai suoi concorrenti. E oggi ha puntualmente annunciato l’emissione di un bond triennale da quotare in Irlanda, per rendere meno onerosa la gestione finanziaria dei 5,5 bn di euro di interessi e prestiti in scadenza di qui a 14 mesi: coi ratings attuali di Fiat, l’emissione renderà come un junk bonds, intorno al 9,8% lordo se faccio bene i conti! Gli obiettivi per il 2009 sono confermati, con un utile netto di 100 milioni per il gruppo. Ma per concentrarsi sull’operazione Chrysler e sull’obiettivo degli oltre 5 milioni di veicoli annuali, più che mai oggi occorrerebbe lo “spacchettamento” dell’auto dal gruppo, con verifica separata per esempio quanto a CNH se abbia ancora senso tenerla oppure utilizzarla in una grande aggregazione con altri giganti del settore. L’auto che va, di quattro lettere e che inizia per “F”, oggi è la …Ford. Vedi i risultati annunciati: i 2,3 bn$ di profitti nel secondo quarter sono dovuti a ristrutturazione finanziaria del debito, ma comunque sono un risultato migliore di ben 11 bn rispetto al secondo quarter 08, il peggiore dell’intera storia della Ford. L’unico gigante Usa ad aver evitato la ristrutturazione fallimentare è quello che aveva iniziato ben prima, a rivedere la propria gestione e i propri costi. Non  a caso, tra i risultati Ford e il terzo mese consecutivo di ripresa delle vendite di case occupate in Usa, oggi il Dow Jones ha risuperato per la prima volta da gennaio i 9 mila punti.

P.S. Nel frattempo si è chiuso il price-booking del bond, con un rendimento tra 9,25 e 9,5%. Non mi sbagliavo che di uno 0,3%…

22
Lug
2009

Abolire i regolatori – di David Potter

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera, inviata da David Potter (già Chairman e CEO di Guinness Mahon &Co Ltd) a Financial World.

E’ il momento di ripensare completamente la regolazione.
Non c’è dubbio che negli ultimi venticinque anni le attività di regolazione siano cresciute sostanzialmente nel Regno Unito e in tutti gli altri maggiori centri finanziari.
La prima domanda è: a cosa è servito? Provate a chiedere a un regolatore la lista dei suoi successi. La lista sarà breve e poco eccitante: qualche trader multato, qualche sanzione a banche o compagnie d’assicurazione per errori amministrativi di relativamente poca importanza, eccetera.
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22
Lug
2009

Liberalizzazioni: lo stato della professione legale – di Pasquale Annichino

Riceviamo da Pasquale Annicchino e volentieri pubblichiamo

La lodevole iniziativa del gruppo “Io non voglio il posto fisso, voglio guadagnare” coordinata dall’instancabile Piercamillo Falasca (fellow dell’Istituto Bruno Leoni e vice-presidente di Libertiamo) offre una preziosa opportunità di riflessione sul grado di apertura del mercato delle libere professioni in Italia. Ad essere oggetto di discussione è soprattutto la professione legale.
Occorre però un attimo di franchezza prima di procedere: l’iniziativa, per quanto da apprezzare e sostenere, è destinata a finire nel vuoto. Nessuno prenderà sul serio quel disegno di legge. Che Piercamillo non se la prenda. Esiste un ampio consenso bipartisan a supporto delle posizioni corporative del Consiglio nazionale forense (CNF). L’esercizio non sarà comunque inutile.
E’ da anni che il tema delle liberalizzazioni delle professioni è oggetto di discussione. Gli argomenti sono ormai tutti sul piatto. Costi e benefici. Rischi ed opportunità. La sintesi della tavola rotonda che la Italian Society of Law and Economics organizzò alla LUISS nel 2007 ne offre una preziosa ricognizione. Non è un caso se Guido Alpa, presidente del CNF, regolarmente invitato a quella conferenza decise di non presentarsi. I suoi argomenti sono indifendibili.
Ho collaborato per un paio di anni con l’ANPA (ora Unione Giovani Avvocati Italiani), l’intervista al presidente dell’associazione Gaetano Romano, pubblicata oggi da Libertiamo sintetizza, se ce ne fosse ancora bisogno, la ragionevolezza di una battaglia da non abbandonare.
A meno che non si voglia ammettere che in questo Paese le professioni liberali non hanno ragion d’esistere. Cerchiamo l’introvabile?