31
Lug
2009

Speranze dagli USA, non da Keynes

Due giorni fa l’aveva detto, il presidente Obama, che la recessione sta finendo, e oggi il dato rilasciato dal BEA sul GDP americano nel secondo trimestre sembra dargli pienamente ragione. A me però viene da pensare alla vecchia canzone dei Righeira, pazzi torinesi: “l’estate sta finendo e un anno se ne va/ sto diventando grande lo sai che non mi va”. Vi spiegherò perché. C’è Keynes di mezzo, ancora una volta. O meglio, la sua vulgata. ma per non apparire pazzi lunatici, bisogna spiegarsi bene.

Read More

31
Lug
2009

Benzina: in tutto il mondo è cartello?

Parrebbe di sì, a leggere quanto riferiva un paio di giorni fa il Moscow Times. L’Antitrust russo sta affilando le armi contro il presunto cartello composto dai colossi petroliferi privati, semiprivati e affini: Rosneft, Lukoil, Tnk-Bp e Gazpromneft, accusati di cospirare per mantenere artificialmente alti i prezzi dei carburanti.  L’accusa si concentra sulla apparente lentezza con cui essi si sono adeguati al calo delle quotazioni del greggio. La cosa divertente, almeno per noi che leggiamo da qui, è che il litro di benzina a Mosca costa l’astronomica cifra, si fa per dire, di 23 rubli, pari a circa 52 centesimi di euro, ossia meno della sola accisa sulla benzina (56,4 centesimi) e poco più di quella sul gasolio (42,3 centesimi) in Italia.

Read More

31
Lug
2009

Più traffico e meno smog

“I primi sei mesi del 2009 dal punto di vista ambientale sono stati i migliori in assoluto nella storia di Milano. E’ evidentissimo che da quando c’è Ecopass ci sono stati significativi miglioramenti anche se la strada da fare è ancora lunga e non bisogna abbassare la guardia’’. Non sarebbe quindi “neanche pensabile razionalmente chiudere un provvedimento efficace che se venisse meno porterebbe ad avere più smog e più traffico”. Queste le parole con le quali l’assessore all’ambiente di Milano, Edoardo Croci, prende le difese del pedaggio ecologico per entrare nel centro di Milano. Le argomentazioni dell’assessore sono però quanto mai deboli. E’ vero che a Milano le concentrazioni di polveri non sono mai state così basse come ora. Ma questo risultato ha pochissimo a che spartire con l’Ecopass, la cui rilevanza in termini di riduzione di emissioni complessive nell’area metropolitana è del tutto marginale. Lo avevamo scritto prima che il provvedimento venisse adottato e lo ha confermato di recente uno studio apparso sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione” secondo il quale Ecopass “non è in grado di produrre variazioni apprezzabili nei livelli d’inquinamento”. E, infatti, non vi è alcuna dichiarazione dell’Assessore, nella quale i “significativi miglioramenti” vengano quantificati. Né si può trovare risposta a tale interrogativo nell’ultimo rapporto redatto a cura dell’Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio di Milano. A riprova della irrilevanza di Ecopass sotto il profilo ambientale, vi è il fatto che la concentrazione di polveri sottili è ai minimi storici non solo a Milano ma in tutta la Lombardia e, più in generale, in Italia ed in Europa. Questo risultato è stato conseguito non grazie, ma nonostante il sostanziale fallimento di tutte le politiche volte alla riduzione del traffico automobilistico messe in atto negli ultimi vent’anni. La progressiva riduzione dei livelli di inquinamento è pressoché interamente da ricondursi al miglioramento tecnologico che ha determinato una significativa (questa sì,per davvero) riduzione delle emissioni unitarie delle auto. Tale evoluzione ha reso via via più inefficaci le politiche di riequilibrio modale. Per ottenere gli stessi risultati che, vent’anni fa. un suo predecessore poteva conseguire riducendo il traffico di 10mila veicoli al giorno, oggi Croci e, come lui, tutti gli altri assessori italiani, dovrebbe togliere dalla strada almeno 100mila. Il costo marginale della riduzione dell’inquinamento è, dunque, in rapida ascesa mentre i benefici sono invariati rispetto al passato. E’ forse giunto il momento di chiedersi “razionalmente” se non sia giunto il momento di fermarsi.

31
Lug
2009

La scorciatoia della bolla

Nella blogosfera economica (e non solo) è scoppiato uno degli innumerevoli casi di polarizzazione del dibattito. Per alcuni, la ripresa è in corso e sarà vibrante (diciamo a forma di V); no, ribattono i pessimisti/realisti, sarà a forma di L, quindi lenta e dolorosa, soprattutto per l’occupazione. L’ultima sfida tra i due schieramenti vede in campo due pesi massimi dell’industria finanziaria anglosassone e globale. Da un lato Bill Gross, patron di Pacific Investment Management Co. (per gli amici, PIMCO), il più grande asset manager obbligazionario del mondo, oltre che il più influente dalle parti del Tesoro statunitense. Nominalmente posseduta dai tedeschi di Allianz, PIMCO è il regno incontrastato dello stesso Gross e del co-chief investment officer Mohamed El-Erian, che gestiscono oltre 750 miliardi di dollari di assets con 1200 dipendenti.

Read More

30
Lug
2009

Fus: il governo fa marcia indietro?

Nella giornata di ieri, Berlusconi ha promesso lo stanziamento di ulteriori 60 milioni per rimpolpare la quota totale del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) per il 2009. Ancora però non si conoscono i tempi e le modalità. Il mondo dello spettacolo spera ancora che ci sia la possibilità di inserire questi soldi nel decreto anti-crisi (ora giunto al Senato). Più realisticamente, le vie saranno altre. Ad ogni modo, anche la politica non desiste. Quattro mozioni sono state presentate (due dall’opposizione e due dalla maggioranza) per impegnare il governo a dare maggiori risorse allo spettacolo. Se da parte dell’opposizione si chiede un cospicuo incremento, la maggioranza mette l’accento sulle necessarie riforme che devono rivoltare come un calzino il settore.  Read More

29
Lug
2009

TBTF: Fitch fa i conti ai nuovi mostri

Mentre noi qui chiacchieriamo coi nostri post intorno alle generalità della questione TBTF – gli intermediari finanziari che non possono essere lasciati fallire e che vanno salvati coi denari dei contribuenti, nonché come impedire che si arrivi a tale situazione – Fitch ha rilasciato ai suoi clienti uno spettacolare report in cui fa i conti in tasca all’intero mercato americano dei derivati, a data giugno 2009. È un’ottima base di partenza, per capire le dimensioni intatte del problema, a due anni esatti dall’inizio della crisi finanziaria. Il 99,7% dell’intero ammontare di attività e passività “derivatizzate” è interamente concentrato tra gli intermediari finanziari, ma solo cinque di loro ne totalizzano l’80%. Se ci chiediamo chi siano davvero i TBTF, a prescindere dalle grandi banche di deposito, è di loro che stiamo parlando. Le Big Five sembravano sparite, nella settimana dopo il 15 settembre 2008 che iniziò con il fallimento di Lehman Brothers, e che vide l’estinzione delle banche d’investimento, mangiate da banche di deposito o trasformate esse stesse in banche commerciali. Invece ci sono ancora. Eccome se ci sono! Cinque aziende, nei cui libri il valore nozionale dei derivati pesa per la bellezza di 280 mila miliardi di dollari! E’ una stima che fa apparire datata e troppo contenuta quella che a dicembre 2008 era stata fatta dalla BRI di Basilea, secondo la quale l’intero mercato dei derivato Over the Counter era intorno ai circa 600 mila miliardi di dollari, con un valore di mercato lordo (somma di assets e liabilities “derivatizzata” a valori di libro) intorno ai 34mila miliardi di dollari. Vale la pena di leggere in dettaglio.

Read More

29
Lug
2009

Il repubblicano Zingales e’ un “restauratore”?

Oscar Giannino ha gia’ scritto qui del fatto che Luigi Zingales e’ ormai riconosciuto come uno degli “astri” che possono rischiarare il cammino in salita del partito repubblicano in America. Oggi ne scrive anche Zingales stesso sul Sole, in un articolo per nulla compiaciuto ma anzi interessante e ricco di stimoli. Come tutto, ovviamente discutibule.
Riassumendo brevissimamente: Zingales suggerisce ai repubblicani di essere piu’ rigorosi, rispetto alla finanza pubblica, anche accettando un inasprimento fiscale come contropartita per mantenere aperti i circuiti dello scambio internazionale. Nel contempo, suggerisce loro di essere meno pro-business e piu’ pro-market, con argomenti molto diversi (stare dalla parte degli azionisti piu’ che dei manager, non difendere le grosse banche, ma anche accettare un Antitrust piu’ muscolare). Read More

29
Lug
2009

Bisin e i sussidi tedeschi

Con un po’ di stupore leggiamo in un altrimenti assai condivisibile editoriale su La Stampa di Alberto Bisin che i sussidi versati dai Länder della ex-Germania ovest a quelli della ex-Germania est dopo la riunificazione del 1990 sarebbero stati ben spesi e finalizzati ad investimenti per lo sviluppo. Prescindendo qui da un giudizio dettagliato sulle modalità alquanto discutibili con cui avvenne la Wiedervereinigung (ci basti ricordare il cambio uno ad uno e gli effetti che ciò provocò sui salari e sulla competitività delle aziende orientali), sarebbe sufficiente seguire il dibattito politico tedesco per accorgersi che le valanghe di miliardi fluite da Ovest ad Est in questi quindici anni non hanno affatto  catalizzato una chiara ripresa economica delle zone facenti capo alla ex-DDR. Al primo programma di trasferimenti (Solidarpakt I) varato nel 1995, si è infatti sostituito nel 2004 un nuovo ingente piano di aiuti (Solidarpakt II) per quasi 160 miliardi, che rimarrà in vigore sino al 2019. Tali fiumi di denaro hanno per molti versi avuto come effetto quello di deresponsabilizzare le classi politiche locali: il Land di Berlino, ad esempio, è prossimo alla bancarotta e da anni usufruisce dei generosi contributi del Solidarpakt II usandoli in maniera scriteriata. Solo il Land della Sassonia, secondo uno studio dell’Università di Dresda, avrebbe usato in maniera corretta i sussidi. Un pozzo senza fondo insomma che anziché promuovere la crescita ha alimentato le clientele locali e la dipendenza cronica dalla spesa pubblica. Ancora nel 2006 il Ministero delle Finanze tedesco lamentava infatti che enormi quantità di risorse erano andate sprecate per l’assunzione di diverse migliaia di funzionari pubblici.
Il tutto senza dimenticare il Solidaritätzuschlag (Soli), balzello aggiuntivo posto sulla testa di tutti i tedeschi che dovrebbe finanziare il Solidarpakt, ma che in buona misura finisce anche nelle casse dello Stato. Per l’abolizione immediata del Soli sono assai poche le voci del mondo politico tedesche fattesi sentire negli ultimi tempi. Tra queste quelle di alcuni parlamentari dell’FDP e della CDU.

Qui il link ad un breve post sul tema dell’istituto economico di Colonia