11
Ago
2009

L’occupazione americana e il frastuono statistico

Secondo i dati grezzi del Bureau of Labour Statistics (BLS), nel mese di luglio l’economia statunitense ha perso 1,33 milioni di posti di lavoro, un dato che dopo alcune correzioni statistiche si è ridimensionato ad una flessione del numero degli occupati non agricoli di 247.000 unità, cifra che ha fatto gridare al miracolo della stabilizzazione, dimenticando che quasi un quarto di milione di impieghi distrutti in un mese rappresenterebbe uno dei peggiori risultati delle fasi recessive americane dal 1948 ai giorni nostri, esclusa la Grande Recessione che stiamo attraversando. Un dato che induce a riflettere sulle tecniche di rettifica statistica applicate alle rilevazioni macroeconomiche.

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10
Ago
2009

Il guaio di Silvio, la santa diffidenza verso il big government

La levata di scudi generale odierna contro l’idea delle nuove gabbie salariali è giusta e sacrosanta: ma più che altro era scontata. Silvio Berlusconi, con la sua intervista al Mattino rilanciata oggi in interviste radiofoniche, su questo tema ha fatto il bis dell’errore di pochi giorni prima, quando il governo ha avuto la leggerezza di evocare la Cassa per il Mezzogiorno come precedente per l’annunciata nuova politica di sviluppo per il Sud.

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10
Ago
2009

L’ABI tedesca è più sincera, il profitto non fa primavera

Sempre a proposito di sincerità commendevole, nell’interpretare i dati e proporli al dibattito dell’opinione pubblica, due esempi freschi di giornata. Guardate qui: Andreas Schmitz, presidente della germanica Associazione Federale delle Banche, alla domanda se siamo in un credit crunch e se a suo giudizio ne esiste ancora comunque il rischio di aggravamento, onestamente ammette che si tratta di un grande pericolo assolutamente non sventato e dunque non si sente affatto di escluderlo, perché sarebbe del tutto irrealistico. Viene da sorridere, allineando questa semplice risposta di buon senso alla cortina fumogena pervicacemente diffusa da 10 mesi a questa parte da parte dei vertici e degli iscritti all’ABI italiana.

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10
Ago
2009

E lo chiamano federalismo ferroviario

Grandi novità per il trasporto su ferro in Lombardia. Una società pubblica che nascerà  dalla fusione dei due rami di azienda di Trenitalia e di Ferrovie Nord Milano che già oggi gestiscono il trasporto locale cui verrà affidata, senza gara, a partire dal 2010, la produzione dei servizi per un periodo di sei anni, rinnovabili per altri sei. Ma, soprattutto, soldi, tanti soldi in più. Dagli attuali 265 milioni di trasferimenti pubblici all’anno si passerà a 400 milioni, con un incremento pari al 50%: 135 milioni in più (110 milioni dalla Regione e 25 milioni, per tre anni, dal Governo) cui si deve aggiungere la quota parte dei 960 milioni per il rinnovo del materiale rotabile stanziati sempre dal Governo che sarà destinata alla Lombardia. Eppure, si dice, la fusione delle due società è giustificata dalla possibilità di conseguire maggiore efficienza.

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10
Ago
2009

Più deficit pubblico, meno investimenti e crescita

Due giorni fa Comstock Partners Inc. ha rilasciato un report utilissimo.  Dà una precisa misura quantitativa del cosiddetto deleveraging in corso nell’economia americana, del massiccio fenomeno di sostituzione tra debito pubblico e debito privato che sta avvenendo grazie al picco di spesa pubblica in deficit, e consente  perciò di sviluppare molte osservazioni critiche intorno a ciò che ci attende nel prossimo futuro e nel medio periodo. I dati degli USA non riguardano infatti solo gli americani. Checché si dica e si pensi da parte dei nuovi sostenitori del decoupling dei cicli, senza consumi americani l’offerta di prodotti e servizi del resto del mondo o non ha gli sbocchi ai quali era abituata in passato con conseguenze di produzione stagnante, oppure deve volgersi ai consumi interni – come sta provando a fare la Cina alimentando l’export di mezza Asia verso di lei, ma con grossissimi problemi di tenuta del sistema finanziario e bancario domestico nel medio periodo. Per questo vale la pena di dare un’occhiata al report di Comstock: la cosa riguarda anche noi, secondo Paese manifatturiero ed esportatore dell’Ue.

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9
Ago
2009

Mercati efficienti: nunc et semper Lucas pro nobis

Per chi se lo fosse perso o non avesse abitudine settimanale all’Economist, segnalo il magistrale intervento di Bob Lucas sul corrente numero. È un maestro per noi di Chicago (nell’infinitamente piccolo: anche mio), dunque non lo chioso ma mi limito a  diffonderlo. Imparando, come sempre. Tratta l’Economist come merita, cioè a pesci in faccia, per il suo report sulla dismal science in cui echeggiavano toni che erano quasi italiani, in merito alla solita storia sugli economisti inutili visto che non hanno saputo prevedere la crisi. Tante volte abbiamo anche nel nostro piccolo polemizzato sull’argomento, smentendo innanzitutto proprio la balla relativa alla presunta assenza di allarmi precedenti. Proprio chi non si riconosce in politiche monetarie lasche, aveva più volte inutilmente levato la voce rispetto alla formula Greenspan + high yields = systemic risk.  Ma l’intervento di Lucas è apprezzabile innanzitutto perché sbaracca con il giusto disprezzo chi vorrebbe invece accostare l’origine della crisi alla teoria dell’efficienza cognitiva dei mercati, uno dei maggiori contributi venuti alla finanza moderna dalla scuola di Chicago. E’ stato Eugene Fama- allievo del genialissimo Benoit Mandelbrot – in un famosissimo articolo pubblicato nel 1969 sull’International Economic Review dal titolo The Adjustment of Stock Prices to New Information, a porre le basi della cosiddetta EMH, Efficient Market Hypothesis. La sua teoria comprende tre diversi sub modelli di efficienza – debole, semi forte e forte – nella riflessione dei prezzi degli asset alle informazioni note, ed è accompagnata  dalla dimostrazione che l’efficienza di mercato non può essere respinta senza confutare insieme una qualunque ipotesi di modello di equilibrio del mercato. L’EMH non ha MAI voluto significare che i prezzi siano in sé intrinsecamente “razionali” se all’aggettivo si attribuisce il significato di evitare instabilità, e tanto meno eticament “giusti”: comporta solo che essi esprimano e scontino i dati e gli andamenti noti.  I behavioristi da una quindicina d’anni hanno attaccato duramente la EMH in nome del bias infomativo e cognitivo. E questo ci sta, in un mondo di informazioni finanziarie assolutamente “troppo” asimmetriche come quello in cui viviamo. Ma l’attacco dell’Economist  sapeva invece di mera burletta keynesiana alla finanza intrinsecamente instabile, per questo meritava di essere bastonato. La conclusione di Lucas, su questo, al momento è per me pressoché de-fi-ni-ti-va (anche se non bisognerebbe mai dirlo, in alcuna scienza umana): «The main lesson we should take away from the EMH for policymaking purposes is the futility of trying to deal with crises and recessions by finding central bankers and regulators who can identify and puncture bubbles. If these people exist, we will not be able to afford them». Lucas ora e sempre, per quello che mi riguarda.

9
Ago
2009

Missed news: la crisi ci è già costata 12 trilioni $

Il FMI ha aggiornato la propria valutazione dei costi della crisi, in termini di mero stanziamento di risorse pubbliche aggiuntive per i programmi d’emergenza a sostegno del settore finanziario, della domanda e dell’offerta. A fine giugno 2009, la cifra ammonta a 11,95 trilioni di dollari, praticamente qualcosa più di 2 mila dollari a testa per ogni abitante del pianeta Terra. I media italiani non hanno praticamente dato alcuna eco al report, è più importante dire ogni giorno che la ripresa sta arrivando, anzi è già arrivata. Sono i Paesi Ocse ad aver dovuto allargare di brutto i cordoni della spesa pubblica, ben 10,2 trilioni di dollari si devono solo a loro. Dalle tabelle annesse all’aggiornamento della stima del FMI emerge che il Paese che sta peggio di tutti è il Regno Unito, che ha dovuto mobilitare risorse  pari a un  mostruoso 82% del proprio Pil, di cui il 20% è già stato speso. Ciò comporterà un deficit pubblico per i Paesi del G20 superiore al 10% del Pil nel 2009, con le peggiori posizioni detenute dagli Usa con il 13,5% di deficit sul Gdp, UK a quota 11,6%, Giappone al 10,3%. Che cosa tale massiccia sostituzione di debito pubblico per debito privato comporti a cominciare dagli Usa sul resto dell’economia planetaria, nel prossimo post. Qui mette conto solo rilevare come i media italiani restino nella media su una posizione di totale indifferenza, quando si tratta di monitorare le dimensioni del massiccio accumulo di debito pubblico e deficit spending in atto nei Paesi avanzati. Ignorarlo e minimizzarlo, è di solito la miglior premessa per non parlare delle sue conseguenze: terribili per il contribuente attuale, e in prospettiva per quelli futuri, per molti anni a venire.

8
Ago
2009

Sturzo: la risposta impossibile

Intervenendo al Senato l’8 giugno 1955, Luigi Sturzo dice:

Nessuno dei miei contraddittori ha saputo dare una risposta alla mia insistente domanda: ‘Se l’Eni non vuole, non sa o non può affrontare la ricerca petrolifera nella Valle Padana, perché impedire che ditte private, nostrane o forestiere, impieghino per tali ricerche, a proprio rischio e pericolo, i propri capitali?’.

Non è una domanda retorica, e non è retorica l’insistenza del vecchio prete sull’incapacità dei suoi interlocutori e avversari – la maggior parte, suoi colleghi di partito – di fornirgli una risposta. Perché in quella domanda, e in tutto ciò che vi è sotteso, sta la parabola politica dell’Italia del dopoguerra. Una parabola che conobbe un’inclinazione particolarmente forte proprio nel settore energetico, a dispetto delle intenzioni e speranze originali. Enrico Mattei fu chiamato all’Agip col compito di liquidarla; e morì avendo creato una “piovra”, come la chiamava Sturzo, che ancora oggi coi suoi tentacoli previene il libero dispiegarsi della concorrenza. Nel giro di pochi anni, anche il settore elettrico venne monopolizzato, e quel fiorire di libera intrapresa che l’Italia aveva conosciuto appassì rapidamente.

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8
Ago
2009

The quotable Sturzo

Per ricordare Luigi Sturzo, nel cinquantesimo anniversario della sua scomparsa (8 agosto 1959), di seguito qualche citazione sturziana. Risalgono tutte agli anni Cinquanta, con le partecipazioni statali che decollavano in epoca repubblicana. Alla battaglia, perdente ma non sconfitto, don Sturzo non si sottrasse. Dobbiamo essergliene grati.

  • “La mia difesa della libera iniziativa è basata sulla convinzione scientifica che l’economia di Stato non è solo anti-economica, ma comprime la libertà e per giunta riesce meno utile, o più dannosa secondo i casi, al benessere sociale”.
  • “Non sono un binomio statalismo e libertà, sono una antitesi: dove arriva lo statalismo cessa la libertà, dove arriva la libertà cade lo statalismo”. Read More