27
Ago
2009

Petrolio, mistero senza fine bello

Oggi, centocinquant’anni fa, cominciava l’era del petrolio. Non nel senso che il greggio fu scoperto allora: era noto da molto, molto prima. E neppure nel senso che venne allora intuito qualche nuovo possibile utilizzo del petrolio. Se ne conoscevano. Il 27 agosto 1859, però, la banda di matti guidata dal Colonnello Drake trovata, alla profondità di ventuno metri nel sottosuolo di Titusville, Pennsylvania, l’ “olio di roccia” grazie a un metodo mai usato prima, a quello scopo: perforando con una trivella e poi risucchiandolo con una pompa a mano. Di quella lontana giornata, ci sono rimaste due eredità durature: il barile (di whisky), come unità di misura. E un nuovo modo di estrarre il petrolio, che ri rivelò più efficiente e poi, attraverso innumerevoli e importanti innovazioni, diventerà sofisticato come lo è oggi. Quei primi giorni dell’epopea petrolifera, li racconta Renato Calvanese in questo Rapporto per l’IBL; e qualcosa l’ho scritto anch’io sul Foglio. La letteratura su questi temi, in italiano almeno, non è sconfinata, ma comunque offre ottime e interessanti letture: da Il prezzo del petrolio di Massimo Nicolazzi a L’era del petrolio di Leonardo Maugeri, fino allo splendido Il petrolio. Una storia antica di Luciano Novelli e Mattia Sella e, per i più fortunati che ancora riescono a trovarne (o già ne possiedono) una copia, Il Premio di Daniel Yergin. Per mettere la scoperta di un secolo e mezzo fa in una prospettiva storica, la Storia dell’energia di Vaclav Smil. Per comprenderne le implicazioni economiche, l’Economia e politica del petrolio di Alberto Clò e The Genie out of the Bottle di Morris Adelman (ok, questo è in inglese, ma davvero merita). Poi c’è molto altro, ma questo è quello che davvero serve leggere e meditare per capire una cosa importante: aver scoperto il petrolio, e attorno a esso aver costruito la nostra civiltà, non è stato una sfiga o una condanna.

Il petrolio è stato, per l’umanità, non solo una importante fonte energetica: è stato lo strumento grazie a cui l’uomo si è saputo conquistare il diritto alla mobilità e, più profondamente, ha saputo dare un impulso decisivo alla rivoluzione industriale. E’ vero che l’industria è sopratutto carbone, ma il progresso è nel petrolio. Quindi, in un giorno come questo, c’è poco da dire e molto da pensare. Quel poco che si può dire, con Samuele Furfari, è: “grazie per tutto il benessere che hai offerto agli uomini in questi ultimi 150 anni”. E, aggiungo io, centocinquanta di questi giorni. Non è un augurio al petrolio. E’ una speranza per noi.

26
Ago
2009

Destra e sinistra: trova le differenze

La conferma per altri quattro anni (largamente in anticipo rispetto alla scadenza di dicembre) di Ben Bernanke alla guida della Fed dice molto della politica contemporanea e, in particolare, della forte continuità – su tante questioni – tra l’amministrazione repubblicana e quella democratica. Per Mark A. Calabria, da pochi mesi al Cato Institute e direttore degli studi sulla regolazione finanziaria per l’istituto libertario, questa decisione di Barack Obama ribadisce come Obanomics e Bushonomics siano spesso indistinguibili: e così possiamo dire, con le parole di Calabria, che Embracing Bushonomics, Obama Re-appoints Bernanke.

Salvataggi, espansione monetaria, deficit pubblico, progetti di nazionalizzazione e ulteriore regolamentazione: su troppi temi i democratici paiono confermare precedenti scelte compiute dall’amministrazione Bush e dagli uomini posti alla testa di importanti agenzie. Insomma, Washington e Roma non sono poi del tutto diverse.

26
Ago
2009

Lex autostradale

La rubrica Lex del Financial Times è sempre una delle letture più interessanti della giornata. Oggi Lex affronta la questione della privatizzazione delle autostrade in Gran Bretagna. Il problema più difficile da superare, dice, è convincere il pubblico: in effetti, non è facile spiegare alla gente che, da domani, dovranno pagare quello che fino a oggi hanno avuto gratis. A volte, però, è necessario. In questo caso, tuttavia, c’è una soluzione a portata di mano, che il Ft identifica correttamente: il patto che il governo britannico (e qualunque altro) potrebbe proporre ai contribuenti è uno scambio tra tariffe autostradali e pressione fiscale. Cioè, ridurre le imposte sui carburanti come compensazione per l’accresciuto aggravio alla mobilità. Si tratta dell’uovo di colombo: le due giustificazioni teoriche della tassazione dei carburanti sono che in questo modo vengono internalizzate le esternalità ambientali, e che il gettito serve per la manutenzione stradale et similia. Ma se le strade sono a pagamento, si ottiene lo stesso risultato in modo meno distorsivo e più equo. Speriamo che, almeno a Londra, qualcuno sappia cogliere un suggerimento tanto prezioso.

26
Ago
2009

Poteva andar peggio. O potrebbe?

Ieri, l’Office of Management and Budget (OMB), diretto da Peter Orszag, ha pubblicato la Mid-Session Review, cioè l’aggiornamento semestrale delle previsioni economiche dell’Amministrazione, oltre alle stime di bilancio. Dai dati si evidenzia un deficit minore del previsto per il 2009, ma maggiore negli anni di crescita economica consolidata. Riguardo il 2009, l’OMB ritiene vi sia un miglioramento di 262 miliardi di dollari, in conseguenza di minori oneri sostenuti dalla FDIC. Ciò ridimensionerebbe la stima del rapporto deficit/Pil di quest’anno dal 12,9 all’11,2 per cento. A noi risulta difficile immaginare minori oneri a carico della FDIC proprio nel momento in cui, ogni venerdì sera, la medesima prende il controllo di quattro o cinque banche dissestate, ma tant’è.

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24
Ago
2009

Critical Review & Financial Crisis

Negli anni scorsi, la Critical Review si era segnalata quale rivista di filosofia politica (e dintorni) sostanzialmente schierata su posizioni libertarie, ma non di rado incline a civettare con varie forme di post: postlibertarismo, postmodernismo, postfilosofia, e via dicendo. Per questa ragione il suol editor, Jeffrey Friedman, si era tirato addosso (e a ragione) una certa quota di contestazioni e ironie da parte dei propri lettori: essenzialmente libertari, liberali classici, conservatives, etc.

Con l’ultimo numero, intitolato Causes of the Financial Crisis, la rivista sembra essere tornata su binari più classici. L’introduzione, firmata dal direttore stesso della pubblicazione, sviluppa fin dal titolo (“A Crisis of Politics, Not Economics: Complexity, Ignorance, and Policy Failure”) la tesi – minoritaria, ma solidamente liberale – che anche stavolta il carattere patologico della crisi sia figlio di tutta una serie di programmi politici, che hanno creato un sistema di incentivi e disincentivi che ha falsato il mercato e ha indotto a comportamenti “irrazionali”. I nomi della maggior parte degli autori invitati a scrivere (da White a Taylor, per limitarsi a due nomi) paiono convergenti con questa prospettiva.

Dopo tanto girovagare, insomma, Friedman e la Critical Review sembrano essere tornati alla casella di partenza. E questa non è una cattiva notizia.

24
Ago
2009

Europeisti di tutto il mondo unitevi

I nostri politici, di destra e di sinistra, mettono spesso in piazza il loro altissimo grado di europeismo.  Antonello Cherchi e Marco Gasparini sul Sole24ore di oggi ci dicono che in realtà le nostre casse pubbliche rischiano di pagare caro l’europeismo di mera facciata delle nostre istituzioni pubbliche. Sono infatti numerose le procedure di infrazione aperte dalla Commissione contro l’Italia.  I due giornalisti del Sole24ore nel loro articolo non ci dicono  però nulla sulle ragioni di tutte queste presunte, ma spesso reali, violazioni del diritto comunitario.

I problemi per l’Italia? La nostra maledetta e pletorica pubblica amministrazione. Ce lo spiegano in questo working paper  harvardiano cinque studiosi cinque:

The UK and Germany are much more complaiant than France and Italy, which command similar political power but whose administrations are ridden by bureaucratic inefficiency and corruption.

Maggiori info qui.

24
Ago
2009

La tragedia delle risorse (pubbliche)

Il crollo delle quotazioni del petrolio ha conseguenze a tutti i livelli. Un aspetto interessante è che, mentre nei paesi privi di rule of law l’eccessiva dipendenza dal greggio può causare la “maledizione delle risorse“, nei paesi istituzionalmente più attrezzati non si verifica nulla di tutto ciò. Non mancano, però, le possibili conseguenze avverse: per esempio, la tragedia dei bilanci pubblici, che tipicamente sostituiscono con le revenue petrolifere le entrate che altrimenti arrivano per via fiscale. E’ il caso degli stati americani alle prese con la drastica riduzione di un flusso finanziario robusto, come racconta Ben Casselman sul Wsj.