L’Italia, “meno sociale” tra gli statalisti
Ho appena terminato di studiare una bellissima ricerca realizzata da Mathias Dolls e Andreas Peichl dell’Università di Colonia, e Clemens Fuest dell’Università di Oxford. I politici italiani di entrambi gli schieramenti dovrebbero leggerla. I contribuenti italiani di tutte le fedi politiche, dovrebbero leggerla. I sindacalisti e gli industriali, dovrebbero abbeverarsene. Non capita spesso, infatti, di incappare in uno studio che esamini in maniera comparata tanto efficacemente la funzionalità di così numerosi ordinamenti di welfare, al fine di misurarne gli effetti di “assorbimento” di una crisi economica. Gli autori erano mossi dall’intento di paragonare i due macromodelli a confronto, quello americano e quello europeo. Ma in realtà, poiché le misurazioni sono realizzate non per media europea ma distinguendo ciascuno dei 19 Paesi europei rilevati, le conclusioni più interessanti riguardano proprio il nostro Paese. Perché tra i Paesi ad altissima tassazione e contribuzione, l’Italia si classifica come il più inefficiente sistema di welfare pubblico ai fini del mitigamento degli effetti della crisi. L’America fa come noi o meglio di noi, ma con una pressione fiscale di oltre il 12% di Pil in meno. Ciò che di solito sinistra, sindacato e anche destra qui in Italia considerano la garanzia di un sistema più efficace nel “non lasciare nessuno solo di fronte alla crisi”, rispetto all’America – e cioè più spesa pubblica in nome della quale si giustifica l’enorme percentuale di prelievo pubblico in più – si rivela in realtà a un’attenta disamina per ciò che è: una bu-fa-la assoluta.