7
Set
2009

Il trucco degli statalisti

Volker Wieland insegna teoria e politica monetaria all’Università Goethe di Francoforte, ed è un tosto scettico dei luoghi comuni ossessivamente ripetuti da statalisti e keynesiani, in merito all’efficacia e alla necessità della spesa pubblica per rilanciare domanda e offerta. Ma poiché è un roccioso tecnico della moneta, preferisce evitare contese ideologiche, per smantellare i luoghi comuni sulla base di paper elaborati e solidamente intessuti di bibliografia. Già tante volte abbiamo scritto della disinvoltura con cui nel corso dell’attuale crisi i keynesiani hanno ripreso a “correggere” i propri modelli – che i più avevano abbandonato – per alzare vertiginosamente l’effetto del moltiplicatore. È il trucco degli statalisti. In questo paper una sua ottima confutazione.    Read More

7
Set
2009

Vince Basilea, viva la BRI

La notiziona del fine settimana è senza dubbio quanto concordato nella riunione del G10 a livello di banchieri centrali, dopo la benedizione il giorno prima dei politici al G20 di Londra. Il punto non è affatto quello che demagogicamente ha occupato per due giorni le pagine dei giornali, cioè nuove regole per i bonus ai manager del credito. Bensì le cinque key measures e i tre principles to guide supervisors in the transition che trovate nell’odierno comunicato emesso da Basilea. Il punto è: come iniziare a rendere le banche patrimonialmente più “munite”, in relazione al rischio assunto e intermediato. I franco-tedeschi sono stati sconfitti, in apparenza. Volevano rinviare il tema, poiché soprattutto i tedeschi sinora si sono ben guardati dal fare pulizia nel proprio settore bancario. Io sono tra chi considera un bene, che non sia passata la loro linea.  Anche se ora bisogna passare dagli impegni condivisi ai fatti, naturalmente. Ma rinviare il rafforzamento patrimoniale bancario attraverso criteri il più possibile condivisi significa solo rinviare contestualmente il pieno ristabilimento della fiducia interbancaria. Cioè continuare a tenerci un basso moltiplicatore monetario: il che rende inutile l’oceanica liquidità garantita dai regolatori ai mercati a fini anticlici, che finisce per imboccare la via del trading sui mercati finanziari invece di passare all’economia produttiva. Vediamo in concreto di che cosa si tratta. Read More

7
Set
2009

Heroes and Villains

Oggi il mio eroe è Sizwe Nxasana, capo della banca sudafricana FirstRand, il primo uomo di colore a raggiungere la poltrona più alta di una delle quattro grandi istituzioni finanziarie del paese. In questa intervista con Richard Lapper del Financial Times, spiega che i neri non potranno essere veramente liberi finché non sapranno “farsi strada da sé”, senza dover, e voler, ricorrere all’aiuto delle leggi: “L’obiettivo della trasformazione è complementare all’obiettivo di far crescere gli affari”.

Il cattivo della giornata, e non solo di oggi, è invece José Manuel Barroso, presidente uscente e (probabilmente) rientrante della Commissione europea. A Euractiv, dice le solite cazzabubbole.

6
Set
2009

Cernobbio, ciò che non leggerete (e una piccola vittoria)

Si è appena chiusa la rituale tre giorni di Cernobbio, che segna la riapertura del dibattito di politica economica dopo la pausa estiva. Segnalo una nostra piccola vittoria: il fondo straordinario per ricapitalizzare la piccola impresa italiana, l’idea che qui abbiamo lanciato due mesi fa esatti, faticosamente inizia a farsi strada. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ne ha riparlato nel suo intervento, il ministro Tremonti l’ha esplicitamente definita un’idea buona e interessante. Vedremo che cosa ne verrà in concreto: lo dico con una punta di diffidenza, ma almeno il nostro compito di modesti suggeritori di buone idee antistataliste abbiamo tentato di svolgerlo. In compenso, vi segnalo l’articolo che da Cernobbio purtroppo non avete letto, sulla stampa italiana. L’ha scritto Ambrose Evans-Pritchard, che era a Cernobbio, sul Telegraph. È ovvio perché. Ai giornali italiani è naturalmente piaciuto l’intervento colbertiano e statalista del premier francese Fillon, salutato da D’Alema come “un vero piano socialista”. Read More

6
Set
2009

Elezioni truccate, scontri in strada, monete e boulevard parigini

Siamo proprio sicuri che i disordini di questi giorni che stanno riguardano il Gabon, dove dopo elezioni altamente inquinate Ali Ben Bongo è stato fatto presidente, poche settimane dopo la morte del padre (El Hadji Omar Bongo Ondimba) non abbiano nulla a che fare con noi europei? Siamo davvero certi che si tratti di una questione tutta africana, tribale, legata alle difficoltà di società “arretrate” che faticano a costruire “buoni regimi democratici all’europea”? Read More

6
Set
2009

Compra che ti passa

Fino a che punto un ente locale può giocare d’azzardo? Il quotidiano di Genova, Il Secolo XIX, sta conducendo una meritoria inchiesta (qui e qui, il resto sul cartaceo di ieri e oggi) sull’enorme e incerto buco della Spim, la società controllata al 100 per cento dal comune, che ne possiede e gestisce il patrimonio immobiliare. Nel 2007, il gruppo – allora capitanato da Giorgio Alfieri – ha acceso un mutuo da 80 milioni di euro per comprare il Matitone, l’edificio che oggi ospita gran parte degli uffici comunali. Per coprirsi contro il tasso variabile, la Spim acquistò contemporaneamente, dalla banca Bnp Paribas, un prodotto che Alfieri definisce “assicurativo”. Nel primo anno il valore del fondo crebbe in effetti di 1,5 milioni, ma poi, con la crisi delle Borse, è precipitato a -24 milioni, per poi risalire e infine riprendere a calare. Attualmente siamo a -14 milioni. Non è detto che il prodotto, assicurazione o derivato che sia, alla scadenza (2016) non chiuda in attivo. Il problema è un altro: fino al 2016, sarà impossibile saperlo. Sarà quindi impossibile conoscere la reale situazione di Spim e, di riflesso, lo stato dei conti del comune.

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5
Set
2009

Disoccupazione, che fare?

Negli Stati Uniti ferve un dibattito che da noi è molto più in sordina, quello della ripresa senza occupazione. Per esempio stamane era il titolo di due diversi editoriali, del New York Times e del Wall Street Journal. Certo, negli Stati Uniti il dibattito è potentemente aiutato dal fatto che le rilevazioni statistiche sono più frequenti e meglio impostate tecnicamente. Di settimana in settimana viene per esempio aggiornato il numero delle prime richieste di trattamento di disoccupazione, che dalla prima settimana di luglio a oggi è rimasto drammaticamente ancorato intorno a circa 570mila nuove unità. Da noi, simili rilevazioni e tanto frequenti non esistono. Idem dicasi per i diversi aggregati attraverso i quali misurare la disoccupazione per componente – il 9,7% di disoccupati USA in agosto corrispondono al 13% per gli ispanici, al 15% per gli afroamericani, al 25,5% per la componente sotto i 20 anni; ai 26 milioni di americani oggi che non riescono a trovare un lavoro full time bisogna aggiungere un altro 7% di scoraggiati a cercarlo, cioè altri 17 milioni.  Ma non è solo per l’inadeguata monitorazione statistica che qui in Italia il dibattito stenta a decollare. Perché bisognerebbe avere il fegato di dire alcune amare verità. Del tipo: una verticale impennata della disoccupazione potrebbe essere l’altra faccia della medaglia per imprese che, nella crisi, ristrutturino con decisione i propri prodotti e i propri processi, mettendosi prima e meglio nelle condizioni di potersi meglio riposizionare al ripartire della domanda (nel caso italiano, soprattutto di quella estera, perché è nelle manifatturiere esportatrici che si concentra la crisi double digit di fatturato e ordinativi). Al contrario, difendere a tutti i costi la base occupazionale precrisi può essere anche foriero di minori tensioni sociali, ma significa anche che non attuano ristrutturazioni: la produttività resta inchiodata oggi e per il domani. Ancora più grave, in un paese come il nostro che negli ultimi anni, grazie alla maggior flessibilità del mercato del lavoro dalla legge Treu in avanti, ha scelto di estendere la base degli occupati quasi sempre a scapito della produttività.   Read More

5
Set
2009

Rottamare la Große Koalition

Come peraltro ampiamente previsto, lunedì scorso il governo tedesco ha chiuso il rubinetto degli incentivi alla rottamazione. Il bilancio, tra l’euforico e il severo, l’ha fatto il settimanale Der Spiegel qualche settimana fa, dedicando la propria copertina e il suo speciale proprio al cosiddetto Abwrackprämie. Cinque i miliardi spesi, quasi due milioni le auto rottamate. Un modo come un altro per dimostrare agli elettori che il governo tedesco si muoveva con decisione per porre un freno alla crisi– e allargare il buco nel bilancio… L’effetto è stato quello di drogare ancora un po’ il mercato dell’auto, che non soffriva certo di una crisi congiunturale, ma di un chiaro problema di sovraccapacità (si veda Opel e la tassa occulta che grava su tutti i contribuenti tedeschi per farla rimanere in vita). Ora che i sussidi sono finiti e la possibilità di mandare i lavoratori in Kurzarbeit -la cosiddetta “settimana corta”- è prossima alla scadenza, la Germania si ritroverà con i medesimi problemi che tali misure puramente elettorali hanno solo ritardato. Read More