13
Set
2009

Finalmente è chiaro, perché solo Lehman fu lasciata fallire

A un anno dal fallimento Lehman che fece evolvere la crisi finanziaria al panico, si sprecano gli approfondimenti e le opinioni su “a che punto siamo?”, visto che in buona sostanza il drive del big business finanziario sembra procedere trionfalmente su binari del tutto analoghi a quelli precrisi: meno conduits e SIVs esterni al bilancio, ma non meno leva e sempre col trading che batte di svariati multipli ogni attività tipica della banca commerciale tradizionale. Sul fallimento Lehman in quanto tale, che restò isolato e in quanto tale accende ancora il dibattito sul perché e come Paulson e Bernanke vi si risolsero, a differenza di quanto accadde prima per Bear Stearns e poi per AIG, Citigroup etc. Per approfondire, vedi qui e qui. Personalmente penso che un brandello di verità inizi a essere finalmente chiaro. Read More

13
Set
2009

Sani esempi di Paesi dove il 60% invoca meno tasse

Questa settimana nel Regno Unito avviene il rituale appuntamento annuale settembrino delle Trade Unions, la conferenza annuale nella quale il premier laburista annuncia i punti salienti della propria politica economica. Vi ricordo che attualmente i sindacati nel Regno Unito raccolgono solo il 16% dei loro iscritti dal settore privato, mentre tre dipendenti pubblici su cinque ne hanno la tessera in tasca. Con Gordon Brown, le Unions sono tornate a contare di più nel dilaniato Labour Party, felice di aver archiviato i lunghi anni blairiani che qui in Italia qualcuno definirebbe “mercatisti”, ma in rotta con l’elettorato che nelle suppletive ormai non esita ad attribuire ai candidati laburisti il quarto posto nelle preferenze dopo i Tories, i liberali, e i nazionalisti. Un buon esempio di come i media potrebbero trattare fasi politiche convulse della vita nazionale viene oggi dal  Sunday Times. Invece di dedicare paginate alle vischiosità caleidoscopiche interne della lotta a coltello aperta tra correnti del Labour e del sindacato – come si fa qui da noi a proposito di escort o di Fini versus Berlusconi – il quotidiano ha organizzato un bel sondaggio, dal quale emerge che il 60% dei cittadini britannici non hanno dubbi. Di fronte al maxi deficit pubblico browniano da 175 miliardi di sterline quest’anno, invocano come soluzione i tagli di spesa e di tasse. Solo il 21% pensa che si debba coprire la spesa attuale aggiuntiva alzando le imposte. Quando si dice un Paese serio. Ma a cominciare dalla stampa. Pensate che sarebbe davvero molto diverso, se il Corriere o il Sole commissionassero un sondaggio qui in Italia sugli stessi temi? Io penso di no.  A patto naturalmente di non confezionare le risposte alla domanda in maniera capziosamente filotassaiola.

13
Set
2009

Competizione salariale – Lavori in corso

Se i cantoni della Svizzera sembrano conoscere bene le regole della competizione fiscale, il governo confederale mostra invece aver bisogno di un qualche ripasso in tema di “competizione salariale”. La minaccia di introdurre un tetto massimo ai compensi per i manager aziendali ha causato infatti la reazione di Peter Brabeck, CEO di Nestlé, il quale, in un’intervista rilasciata oggi al quotidiano Sonntag, si è chiesto polemicamente se la Svizzera è ancora il posto migliore per condurre il proprio business. Anche perché, ha aggiunto Brabeck alludendo alle crepe intervenute recentemente nella tutela del segreto bancario, sembra dissolversi nel Paese elvetico la più importante fonte di attrattiva per un’impresa, ossia la certezza di un quadro normativo stabile. Se questa viene meno e se, oltre che il minimo non sei più libero di decidere il massimo salariale, meglio guardarsi intorno e cercare un “padrone di casa” meno invasivo e volubile.

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13
Set
2009

Sul tea party anti Obama, silenzio in Italia

Parecchi grandi media italiani dedicano giustamente un po’ di attenzione quotidiana a quel che capita negli Stati Uniti. Qualcuno, come il Sole 24 Ore,  pubblica a valanga traduzioni di articoli ed editoriali dalla stampa USA e britannica. Con esiti a volte un po’ paradossali, visto che a volte si finisce per dedicare più attenzione ai grandi nomi americani che ai problemi e ai temi – e alle banche – dell’economia italiana; e altre volte – quasi sempre – dell’America si importa naturalmente solo la versione liberal e democratica, vedi il domenicale del Sole odierno che partendo dalle memorie di un veterano del Vietnam stronca inappellabilmente l’intera strategia della guerra al terrorismo post 11 settembre. Detto tutto questo, forse non bisogna stupirsi del silenzio assoluto riservato oggi dai media italiani alla grande manifestazione di protesta tenutasi ieri a Washington. Non era l’equivalente di piazza san Giovanni a Roma riempita ritualmente ogni anno dalla CGIL contro Berlusconi. È stata la convergenza di centinaia e centinaia di grass roots political actions committees da tutti gli Stati americani, antistatalisti e anti big government, antitasse e dunque anti riforma sanitaria. Settantacinquemila che sfilano a Washington contro Obama, non mi pare proprio una non-notizia.

13
Set
2009

Competizione fiscale – lavori in corso

L’iniziativa dei cantoni svizzeri è uno splendido esempio di come funziona la competizione fiscale, e perché è positiva. Fornisce anche un piccolo frammento di evidenza a favore della curva di Laffer, secondo cui all’aumentare delle aliquote il gettito fiscale può diminuire. Secondo quanto riferisce il Financial Times, qualche giorno fa un rappresentante di Zugo, Peter Müllhaupt, intervenendo a Londra ha rimarcato che, nel suo cantone,

[paghereste] le tasse più basse della Svizzera… [in] una pittoresca cittadina sul lago con le montagne sullo sfondo.

Gli occhi dei presenti devono essersi messi a brillare non tanto peri pur indiscutibili pregi naturalistici di Zugo, ma per la sua attrattattività fiscale. Nel Regno Unito, infatti, la scure di Gordon Brown rischia di portare l’aliquota marginale sul reddito addirittura al 50 per cento. Già diversi hedge fund si sono spostati in terra elvetica per sottrarsi al mobbing fiscale britannico. Ma adesso si aprono le corse vere.

Mi sembra, questa, una prova molto trasparente del perché tutti, compresi quelli di noi che non sono particolarmente facoltosi, traiamo benefici dall’esistenza dei paradisi fiscali. La minaccia di un trasferimento in massa dei contribuenti più facoltosi verso altri paesi più accoglienti funziona, di per sé, come un constraint rispetto all’intenzione di un governo di inasprire le tasse. Se lo fa, sa che la platea dei contribuenti si restringerà, e lo farà soprattutto nella parte teoricamente colpita dagli aumenti fiscali. Quindi, l’efficacia di tali misure è per definizione inferiore a quanto ci si attende. Inoltre, questo processo significa che lo Stato perderà gettito, anziché guadagnarlo, ossia che il baricentro del prelievo si sposterà ulteriormente verso i redditi medio-bassi: i quali, a questo punto, dovrebbero correttamente intendere il proprio interesse e schierarsi contro gli aumenti fiscali.

E’ bene che Gordon Brown ci pensi due volte, prima di applicare aliquote troppo alte: il turismo fiscale è una tentazione troppo forte. L’aumento delle imposte non lo aiuterà ad altro che a perdere più sonoramente ancora le prossime elezioni.

12
Set
2009

Qualche numero

Bella intervista di Luca Salvioli ad Angelo Spena, che ha calcolato il numero di ore annue di funzionamento delle varie fonti energetiche impiegate nella produzione di elettricità (il dato sul termoelettrico mi sembra un po’ alto, però). Il numero ridotto (e sostanzialmente casuale) di ore in cui gli impianti rinnovabili entrano in funzione è una delle ragioni del loro costo, rispetto alle fonti tradizionali. E’ però importante, sempre, porre questo tipo di riflessioni nella giusta prospettiva: è assurdo, infatti, essere “contrari” (o “favorevoli”) a prescindere a una fonte di energia. Anzitutto, i valori medi sono, appunto, medie: in condizioni particolari possono essere molto diversi. Secondo, e più importante, ciascuno (nel senso: ciascun individuo e ciascuna impresa) ha il diritto di comporre come vuole il suo portafoglio di fonti. Il costo di generazione è solo una delle variabili considerate, e non necessariamente la più importante. Il problema sorge però quando dall’universo delle libere scelte (e anche dei liberi errori, e anche delle libere scommesse) si passa alla richiesta di sussidi: allora è ragionevole entrare nel merito tecnico delle cose. Se bisogna sussidiare, meglio farlo a favore di tecnologie che funzionano – se non altro perché, a parità di energia prodotta, il sussidio presumibilmente costa meno. Ma meglio ancora non farlo affatto.

12
Set
2009

Perché Exor compra Fideuram…

Si sprecano tesi e interpretazioni sul perché nel comitato di gestione di Intesa a fine mese la banca guidata da Corrado Passera cederà proprio alla Exor degli eredi Agnelli Banca Fideuram, per poco più di 3 bn. nel settore assicurativo e nel risparmio i controllanti di Fiat sono entrati e usciti a più riprese nella loro storia, a seconda degli anni buoni o cattivi dei capitali che potevano liberare o concentrare nell’auto. Dunque oggi si potrebbe pensare che essendo ormai Fiat un’azienda il cui più consistente apporto patrimoniale è americano,  si può passare dagli annunci di diversificazione ai fatti. Anche se resta il controsenso di dover cercare capitali sul mercato o dalle banche per questa acquisizione, e chissà che non sia la stessa Intesa a fornirli… Ma aggiungo una battura illuminante che mi ha fatto ieri l’altro un banchiere – il migliore in Italia, secondo me – apprendendo della trattativa torinese in corso. “Non stia ad almanaccare”, mi ha detto ghignando. “Comprano un gestore di risparmio perché solo così possono far rientrare i loro patrimoni contando sulla più assoluta riservatezza”.  Insomma, meglio Fideuram che Margherita.

12
Set
2009

Dopo Amato, anche CdB sbaglia sulla patrimoniale. E tifa per gli evasori

Sul Sole 24 Ore di oggi Carlo De Benedetti si aggiunge alla richiesta di un’imposta patrimoniale, avanzata a inizio agosto da Giuliano Amato. Me ne sono occupato qui, facendo mia la classica obiezione alla patrimoniale nel nostro ordinamento argomentata dal grande Cesare Cosciani, intorno all’inopportunità di un’imposta che premierebbe i patrimoni ad alto reddito nominale come le speculazioni immobiliari, e ostacolerebbe la patrimonializzazione delle imprese che è invece oggi più che mai necessaria, soprattutto per il 98% di imprese italiane sotto i 15 dipendenti. Non ho molto da aggiungere per illustrare la nostra contrarietà, se non tre osservazioni secche.  Read More

11
Set
2009

Un esempio perfetto

Forse sono un po’ troppo radicale a dire che la public choice dimostra che la politica non può funzionare, però ogni tanto (credo più o meno ogni giorno, ad informarsi) capitano degli esempi veramente lampanti a riguardo.

Lakeside Capital ci informa che la triste vicenda dei lavoratori che si erano abbarbicati sulle gru perché il loro datore di lavoro aveva venduto l’azienda ha avuto sviluppi interessanti. In sostanza, dice il Corriere, alla fine a pagare sarà il contribuente. Che sorpresa.

Per dirla come l’ispiratore di Buchanan e Tullock, “lo stato è la grande finzione mediante la quale tutti pensano di vivere a spese degli altri”.

Qual è il problema? Una lobby che chiede 60,000,000 di euro allo stato costa ad ogni suo cittadino solo 1 euro: inutile, anzi, antieconomico, opporsi. Quando poi si arriva a 10,000 gruppi che chiedono altrettanto, il portafoglio del contribuente verrà saccheggiato, ma non ci sarà alcun modo per difendersi, visto che bisognerebbe combattere 10,000 guerre contro le lobby per recuperare 1€ da ciascuna.

Se invece lo stato, in tutte le sue forme e manifestazioni, non potesse fare certe cose, le lobby, semplicemente, sparirebbero, senza problemi irrisolvibili di public choice da affrontare. Non esiste la buona politica, esiste per fortuna la politica impotente. O perlomeno esisteva in passato.