Una domanda (atomica) per Claudio Scajola
Fin dal suo insediamento, il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha preso l’impegno di riportare l’Italia nel club nucleare. Condividiamo questo sforzo e gliene siamo grati. Scajola ha spesso detto – lo ha ribadito ancora oggi nell’intervista con Fausto Carioti per Libero – che
abbiamo previsto un mix equilibrato e realistico: 25 per cento di elettricità dalle rinnovabili, 25 per cento dal nucleare e il restante 50 per cento dalle fonti fossili.
Non intendo oggi contestare il principio della determinazione politica della quota di mercato delle varie fonti. Mi limito a sottolineare che trovo questo modo di procedere incompatibile col buon funzionamento di un mercato liberalizzato (per la stessa ragione per cui è ferocemente distorsivo il piano 20-20-20 dell’Unione europea). Inoltre, come dimostra il bel libro di Alberto Clò, Il rebus energetico, questo genere di piani è generalmente buono solo per prender muffa. Voglio invece prendere sul serio l’obiettivo scajoliano, e fingere che, in qualche modo, nel 2020 avremo davvero quella ripartizione nella generazione elettrica. La mia domanda è:
Signor ministro, che ce ne facciamo della capacità termoelettrica in eccesso, e come saranno risarcite, se lo saranno, quelle compagnie che hanno investito sulla base di un’aspettativa completamente diversa riguardo il futuro della regolazione nel settore elettrico?
Mi spiego.