Sciopero alle poste, una saggia provocazione
La mitica Royal Mail, le Poste britanniche che sono tra le più antiche in Europa, è alle prese con un passaggio mortale. O l’azienda ristruttura profondamente, oppure è destinata all’autodistruzione. La Communication Workers Union ha risposto con lo sciopero generale, di una settimana per cominciare ma con l’idea di protrarlo a oltranza. Fino alla vittoria, come si diceva in altri tempi. L’azienda ha replicato che sta considerando l’idea di assumere subito fino a 30 mila dipendenti interinali, invece di attendere i soliti 15 mila che venivano presi per rafforzare le consegne sotto Natale, per evitare il blocco del servizio provocato dallo sciopero, che produrrebbe la perdita di moltissimi altri clienti, oltre a quelli che sempre più si affidano a imprese private. A dichiarasi “furibondo” con il sindacato è in primis il Business Minister Lord Mandelson. Ricordo a tutti che a Londra è in carica un governo laburista non più guidato dall’odiato “mercatista” Tony Blair, bensì dal suo successore, l’assai più tradizionale e “sociale” Gordon Brown, per altro a picco nei sondaggi malgrado la massiccia cura statalista per uscire – ? – dalla crisi. Domanda: che cosa avverrebbe in Italia, se si rispondesse così a uno sciopero generale? Ma che cosa c’è di sbagliato e antisindacale, nel voler garantire comunque la continuità di un servizio pubblico – anche in UK esiste il “servizio universale” postale, svolto da Royal Mail – e insieme nel voler impedire che l’azienda vada a carte e quarant’otto?