24
Ott
2009

Accordo di governo: 24 bn di meno tasse…in Germania

Stamane è stato annunciato l’avvenuto accordo di governo in Germania, tra la Cdu-Csu guidata da Angela Merkel che sarà premier confermata, e la FDP di Guido Westerwelle che andrà agli Esteri. Alle Finanze sarà destinato il vecchio roccioso Wolfgang Schäuble, tosto ex ministro degli Interni. Con ogni probabilità, per “moderare” i liberali, un po’ troppo mercatisti per i gusti della Merkel. Ma il piatto forte dell’accordo è uno: non ci sono solo molti impegni “sociali”, su sanità e previdenza, ma ben 24 miliardi di euro di tagli alle tasse. A partire dal 2011, ma 24. Mediti, il governo italiano alle prese con l’IRAP.

24
Ott
2009

L’iceberg (ovvero perché tifo Tremonti)

I miei giudizi di valore sul ruolo dello stato in economia, come è noto ai lettori di Chicago-blog, sono agli antipodi di quelli di Giulio Tremonti: il ministro dell’Economia ritiene necessario e possibile un colbertismo efficiente, una guida pubblica che indirizzi il sistema economico; la mia opinione è che non sia possibile, dato che perseguirebbe obiettivi ‘francesi’ con eserciti burocratici italiani, e che sia anche dannoso, dato che in Italia il ‘pubblico’ identifica da sempre il perseguimento volontario di interessi privatissimi con mezzi della collettività mentre il ‘privato’, se vi fosse molta più concorrenza di quella attuale, garantirebbe il perseguimento involontario di interessi collettivi con mezzi non della collettività.
Accanto ai giudizi di valore, ovviamente opinabili, vi sono però i giudizi di fatto, oggettivamente verificabili o falsificabili, e il giudizio di fatto di maggior rilievo dell’economia italiana di fine 2009 è che i parametri di finanza pubblica (debito/pil e deficit/pil), in peggioramento a causa delle recessione, stanno riportando il nostro paese ai livelli di allarme della prima metà degli anni ’90. La crisi economica ha rimesso la nave Italia sulla rotta dell’iceberg (il debito pubblico insostenibile) dalla quale si era allontanata nella seconda metà del decennio scorso grazie a politiche di rigore economico, alle privatizzazioni e al maxiregalo che la moneta unica europea ci ha fatto dimezzando il costo del nostro debito.
L’iceberg non è ancora molto visibile, nascosto dalle nebbie della politica italiana e dalla vista cortissima della nostra classe politica, ma noi siamo sulla sua rotta. Tremonti, tra le tante cose che non condividiamo, ha però il merito di aver impedito l’assalto alla diligenza della finanza pubblica che si fa notoriamente più insistente in periodi di crisi, quando i ben maggiori obiettivi ‘pubblici’ riescono a nascondere ben maggiori ‘appropriazioni private’ di risorse collettive. Nulla è cambiato rispetto all’aneddoto che si racconta del famoso politico del dopoguerra che si dichiarava non interessato alla teoria keynesiana, salvo poi ricredersi: “Cosa sostiene questo Keynes? Che bisogna aumentare la spesa pubblica? Allora mi interessa”.
Se Tremonti dovesse lasciare via XX settembre, sarebbe il ritorno alla grande del partito unico della spesa pubblica, già molto di moda negli anni ’70 e ’80, in sostanza la variante tricolore dei festaioli del Titanic durante la famosa crociera inaugurale.

24
Ott
2009

Reti private in libero mercato. Se na parla lunedì a Torino

E’ almeno dalla campagna elettorale che si parla di liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Parole parole parole. Qui trovate, invece, una proposta concreta per procedere sul giusto sentiero. Angelo Miglietta e Federico Testa hanno infatti suggerito di separare le unità commerciali delle municipalizzate dai gestori/proprietari delle reti. Le prime possono essere privatizzate senza esitazione. Le altre – che noi dell’IBL metteremmo pure sul mercato, con l’unico caveat dell’incompatibilità col possesso di partecipazioni rilevanti ad aziende attive sul segmente libero di mercato – sono invece al centro di una lunga e in parte pretestuosa polemica. In funzione del loro “monopolio tecnico”, molti ritengono dovrebbero restare in mani pubbliche. Ma questo rischia di determinarne da un lato una gestione inefficiente (to say the least), dall’altro di produrre un’allocazione inefficiente delle risorse (che interesse hanno gli enti locali a immobilizzare tanti soldi?). Una possibile via d’uscita può appunto passare per il ruolo strategico delle fondazioni bancarie, soggetti in grado di garantire un azionariato stabile e che si collocano al crocevia tra investitori privati e interesse pubblico. A noi pare un compromesso più che ragionevole per sbloccare la situazione. Per questo abbiamo voluto organizzare un convegno su questi temi a Torino, lunedì 26 ottobre prossimo, a partire dalle 17,45 presso la Fondazione CRT (Via XX Settembre 31). Oltre a Miglietta e Testa, parteciperanno il sindaco del capoluogo piemontese, Sergio Chiamparino, il segretario nazionale della Lega Nord Piemont e capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, l’editorialista Franco Debenedetti, e due rappresentanti di prima fila dell’Autorità Antitrust (Salvatore Rebecchini, componente) e dell’Autorità per l’Energia (Carlo Crea, segretario generale). E’ un’occasione importante per affrontare con serietà e pragmatismo un tema fondamentale per il futuro del paese.

24
Ott
2009

L’odiata IRAP, le parole e i fatti

Se dovessimo tenere un ideale referendum tra le imprese italiane sull’imposta più odiata, non c’è dubbio che l’IRAP vincerebbe la palma. Vincenzo Visco, che la inventò dieci anni fa unificando imposte diverse tra cui l’Iciap e l’ILOR, non è mai stato d’accordo. Il punto che lo lascia senza parole, è che senza Irap non ci sarebbe il pilastro regionale per finanziare la sanità, al di là dei trasferimenti nazionali al Fondo sanitario. Ma alcune caratteristiche dell’imposta l’hanno resa particolarmente odiosa. Colpisce più duramente quanto più manodopera l’impresa occupa. E lo Stato ne pretende il pagamento anche in caso di reddito negativo, quando l’impresa è in perdita. Read More

23
Ott
2009

Molti non avevano capito, ma qualcuno sì

“(…) the special privileges granted to Fannie and Freddie have distorted the housing market by allowing them to attract capital they could not attract under pure market conditions. As a result, capital is diverted from its most productive use into housing. This reduces the efficacy of the entire market and thus reduces the standard of living of all Americans. Despite the long-term damage to the economy inflicted by the government’s interference in the housing market, the government’s policy of diverting capital to other uses creates a short-term boom in housing. Like all artificially-created bubbles, the boom in housing prices cannot last forever. When housing prices fall, homeowners will experience difficulty as their equity is wiped out. Furthermore, the holders of the mortgage debt will also have a loss. These losses will be greater than they would have otherwise been had government policy not actively encouraged over-investment in housing”.

Così parlò il deputato libertario Ron Paul, il 10 settembre 2003, nel corso di una relazione dinanzi al Financial Services Committee.

(Di Ron Paul è ora disponibile in lingua italiana The Revolution: A Manifesto, che è stato al centro della sua campagna elettorale del 2008: Ron Paul, La terza America. Un manifesto, Macerata, Liberilibri, 2009).

22
Ott
2009

Contro Tremonti, va bene, ma non per spendere di più

Pare che nel centrodestra sia iniziato un positivo assedio al ministro Giulio Tremonti, affinché inizi a tagliare le imposte, elimini  gli aiuti alle imprese e cominci sfoltire la jungla delle partecipazioni di Stato. È sicuramente una buona cosa, dato che solo se si riduce il peso dello Stato (a partire dalla pressione fiscale) è possibile restituire ai cittadini più libertà, e con essa anche più voglia di fare, intraprendere, costruire. Si tratta di abbandonare un modello colbertista basato sulla centralità del Re e dei suoi consiglieri per passare ad uno schema di società aperta, in cui siano individui e imprese a guidare la danza. Read More

22
Ott
2009

Il TREM-Posto e le ragioni di Tremonti

Confesso di avere un pregiudizio che mi induce istintivamente a reagire in maniera negativa alle proposte e alle analisi di Giulio Tremonti, siano esse la Banca del sud o la difesa del posto fisso: “Mioddio, il posto fisso proprio no…”, come ha titolato su questo blog Oscar Giannino. Subito dopo subentra però il dubbio. Nella controversia specifica chi ha ragione: noi di Chicago-blog che difendiamo a spada tratta la mobilità o Tremonti? In realtà la nostra analisi è normativa: mobilità secondo il merito e ascensore sociale sono strumenti irrinunciabili di qualsiasi società voglia essere equa ed efficiente. L’analisi di Tremonti mi sembra di tipo positivo/descrittivo: qui ed ora (Italia, 2009) il posto fisso è meglio.
Se la mia interpretazione è corretta noi e Tremonti stiamo tuttavia dicendo cose diverse. Perché il posto fisso è meglio? Non è forse nell’interesse delle persone innovative e meritevoli cercare posizioni più elevate di quelle detenute? Si, se le posizioni più elevate sono contendibili, se l’ascensore sociale funziona (e l’olio che gli serve per lubrificare gli ingranaggi si chiama competizione o concorrenza); no, invece, se è stato boicottato degli incompetenti che desiderano rimanere saldamente al loro posto e hanno pertanto necessità di ostacolare i meritevoli che potrebbero sostituirli. Sono loro i più grandi difensori del TREM-Posto (Tengo saldamente Riservato il mio EMerito Posto) e rendono di fatto la mobilità possibile solo in senso orizzontale, impedendo quella verticale. Ma la mobilità orizzontale è priva di senso: perché un agente razionale dovrebbe accettare costi di transizione per ambire a un posto che, nella migliore delle ipotesi, è altrettanto peggio di quello che ha lasciato? Non è sufficiente la propensione al rischio, dovrebbe anche essere masochista (e non poco). Questa è la dimostrazione che, nel caso specifico e in antitesi ai nostri pregiudizi, Giulio Tremonti ha ragione al 100% e che in Italia l’unica mobilità che funziona è quella dei meritevoli verso impieghi in società meritocratiche, cioè verso l’estero.
Tuttavia il Ministro dell’Economia ci ha raccontato solo metà della storia. Se l’avesse raccontata per intero avrebbe dovuto dire “In una società non meritocratica il posto fisso è meglio”. Quindi, in realtà, ha ragione solo al 50%. Poi ci saremmo anche aspettati che aggiungesse: “Una società non meritocratica è inaccettabile per ragioni sia di equità che di efficienza”. Una società non meritocratica diventa immobile e una società immobile perde posizioni relative rispetto alle altre, declina. Purtroppo non solo non la ha detto lui, e quindi in un’ottica normativa ha torto al 100%, ma non lo ha detto neppure nessun altro.
L’Italia è piena di fautori del TREM-Posto e più si sale di livello più se ne trovano: benzinai (un tempo si sarebbe iniziato con i camalli del porto di Genova), taxisti, farmacisti, liberi professionisti, baroni universitari, leader della sinistra e politici in generale, manager, banche, assicurazioni e grandi aziende, meglio se a controllo pubblico (ma rivestite dei panni della SpA e magari anche quotate in borsa). Il massimo risultato ottenibile al livello più elevato da questi fautori del TREM-Posto, personale o aziendale, si chiama monopolio. E i più bravi nel conservarlo si chiamano Poste e Ferrovie (Alitalia non è brava neanche in questo). Ma Poste e Ferrovie sono anche i maggiori soci (per quote contributive) di Confindustria che a parole difende la mobilità (quella solo orizzontale?) ma se la accettasse davvero non ammetterebbe monopolisti tra i suoi soci.

22
Ott
2009

Abbasso Tony, viva Tony

Tony o non Tony? Qualche giorno fa, su questo blog, Pasquale Annicchino ha spiegato le ragioni della sua contrarietà alla candidatura di Tony Blair a presidente del consiglio dell’Unione europea, una delle due nuove figure istituzionali create dal Trattato di Lisbona (l’altra è l’Alto rappresentante per la politica estera e la politica di sicurezza). Pasquale ha, in astratto, ragione. Neppure a me Blair piace. Se è per questo, non mi piace neppure Lisbona. Però, nonostante la cocciuta e santa opposizione di cechi, polacchi e – più defilati – inglesi, il Trattato ormai è il nostro destino. E dunque dobbiamo pure inventarci qualcuno, da catapultare sulla poltrona più alta dell’Ue. Visto il contesto, visti i candidati alternativi possibili o potenziali, visto che i “buoni” non hanno alcuna speranza, ma proprio nessuna, allora bisogna essere pragmatici. La domanda non è se l’ex premier britannico sia una buona scelta: non lo è. La domanda è se sia peggio o meno peggio degli altri. Come ho brevemente spiegato sul sito del Foglio, aderendo alla campagna Vota Tony, credo che possa essere utile sostenerlo non per merito suo, ma per demerito altrui. La politica è sangue e merda, Tony anche: solo che bisogna fare i conti col panorama politico e istituzionale europeo.

21
Ott
2009

Bum!

I ministri europei dell’Ambiente hanno “deciso” (scusate, a scriverlo senza virgolette non ci riesco) una riduzione dell’80-95 per cento delle emissioni, al di sotto dei livelli del 1990, entro il 2050. Tutto questo all’indomani del vertice in cui i ministri delle Finanze non sono riusciti a trovare un accordo sui fondi da destinare alla lotta ai cambiamenti climatici. E nello stesso giorno in cui Cina e India stringono un patto che suona molto simile a un “opting out” dai negoziati: prenderanno impegni solo nella misura in cui il mondo sviluppato si farà carico di pagarli. La dichiarazione dei responsabili europei dell’Ambiente, in tale contesto, suona come un patetico tentativo di battere i pugni sul tavolo, ben sapendo di non avere né i pugni né il tavolo. Se l’attore “leader” (lo dicono loro) dei papocchi climatici non riesce a presentare un piano che abbia uno straccio di credibilità, siamo davvero alla politica subprime.

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