25
Nov
2009

Difendere Hayek, ma anche Fama

Ci siamo già occupati delle tesi di Paul De Grauwe, che insegna a Lovanio, è consigliere del presidente della Commissione Europea Barroso, e che personalmente apprezzo più come studioso delle aree monetarie ottimali e subottimali sulla grande scia aperta decenni fa da Bob Mundell, che come economista teorico. Le sue analisi sul dollaro, per esempio, sono preziose di questi tempi. In questo contributo, invece, propone un nuovo step nella strada che sta tentando di battere, quella di una sorta di riunificazione su nuove basi delle teorie economiche, emendando neokeynesismo e marginalismo di quelli che a suo giudizio sono difetti presenti in entrambi i campi. Ve ne propongo la lettura perché è utilissimo da una parte, comprensibilissimo anche ai non economisti come i più di coloro che qui leggono. E, contemporaneamente, perché nella sua piana seduttività contiene a mio giudizio un errore dal quale proprio i non troppo versati devono guardarsi con grande attenzione, perché è diffusissimo nel mainstream e orienta molto il dibattito pubblico. Read More

25
Nov
2009

Per i lettori di Taylor: nuove prove dell’instabilità prodotta dai governi

Spero che molti di voi abbiano letto Getting Off Track di John Taylor, che abbiamo tradotto e pubblicato per IBL Libri.  Conoscete in quel caso la sua – nostra – tesi. A portare la responsabilità prevalente della crisi finanziaria sono stati i tassi troppo bassi praticati in USA dal regolatore monetario,  nonché decisioni sbagliate del regolatore politico. Aggravate infine, dopo la decisione di far fallire Lehman Brothers, dalla richiesta di pieni poteri discrezionali avanzata in Congresso dall’Amministrazione e dalla FED una settimana dopo. A poteri di guerra richiesti, la reazione dei mercati fu quella classica a ogni rischio di guerra: la paura. Sul suo blog Taylor continua ad accumulare chart che dimostrano come l’instabilità si produca per influenza di decisioni politiche, o leaks di orientamenti politici in corso di formazione. Guardate per esempio qui, sul caso Fannie Mae.

25
Nov
2009

Robin Tax. Attenzione: il furto genera dipendenza

La Robin Tax, introdotta nell’estate 2008 per “prendere ai ricchi e dare ai poveri”, non si ferma più. La Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato un emendamento del Pd che porta da 6,5 a 7,5 punti percentuali l’addizionale Ires per il settore energetico. Questa volta, obiettivo della manovra è finanziare la cancellazione del limite di 22 mesi per la copertura assicurativa ai lavoratori che hanno conseguito l’inabilità a causa di un infortunio. Qui il testo dell’emendamento di Rita Ghedini e Marilena Adamo, qui la cronaca di Quotidiano energia (per abbonati), qui un commento di Diego Menegon per Libertiamo. Se l’aggravio non sarà cancellato dall’aula – pare che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sia contrario – le imprese energetiche arriveranno a pagare un’aliquota del 35 per cento, assurdamente più alta di quella garavante su tutte le altre imprese.

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25
Nov
2009

In quarant’anni le bollette e la casa si son mangiate i soldi per la spesa

Secondo una rielaborazione di dati Istat da parte dell’ufficio studi di Confcommercio, negli ultimi decenni le famiglie italiane hanno sperimentato un sostanzialmente incremento delle risorse assorbite dalle spese definite “obbligatorie”, a scapito delle spese cosiddette “commercializzabili” (alimenti, altri beni di consumo e servizi): se nel 1970 l’insieme di affitto o mutuo, gas, energia, acqua, servizi bancari ed assicurazioni obbligatorie era pari al 23 per cento del totale della spesa, nel 1990 era il 30 per cento, nel 2008 quasi il 39. Di contro, le spese commercializzabili si sono ridotte dal 77 al 70 e poi al 61 per cento, con un forte calo della spesa per beni ed alimenti ed un aumento solo per la spesa per servizi. In più, l’indice dei prezzi delle spese obbligate in quasi 40 anni è cresciuto di circa 27 volte, quello dei commercializzabili di 16 volte (poco più della metà, quindi). Read More

24
Nov
2009

La sfida dei servizi per crescere di più

La sfida per l’Italia è riprendere a crescere senza scassare la finanza pubblica. Ora che il commercio internazionale ha ripreso lentamente a salire, altri Paesi stanno cambiando marcia. Per procedere più spediti sulla strada della ripresa. In questa nuova fase, dobbiamo cambiare marcia anche noi, ha detto oggi Emma Marcegaglia agli industriali di Roma. Ma la sfida è di non aumentare il debito pubblico. Solo tassi di crescita più elevati possono nel medio periodo stabilizzare il debito pubblico, tornare nel tempo a farlo decrescere, rendere meglio sostenibili i conti previdenziali, altrimenti nuovamente destinati ad aggravarsi. Ma come? Read More

24
Nov
2009

Il debito pubblico nostro, gli USA e Tremonti

L’intervento odierno di Giulio Tremonti all’assemblea degli industriali romani ha confermato un paradosso italiano. Scegliendo accuratamente la platea industriale italiana che, in tutto il Paese, ha la massima concentrazione di grandi gruppi pubblici – Enel, Poste, Ferrovie, Eni è di stanza a Milano e per questo si è già presa Assolombarda – il governo è sceso in campo in forze, con Letta e Tremonti. Ma non è questo il punto, anche se non era avvenuto mai altrove quest’anno in Italia. Il paradosso consiste nel fatto che, di fronte a industriali per metà nelle mani del debito bancario, per metà nell’indotto del pubblico, e tutti sotto lo schiaffo dei ritardatissimi pagamenti della pubblica amministrazione, nell’Italia di oggi con una certa abilità – quella del ministro dell’Economia – si finisce per essere applauditi come virtuosi in quanto… sostenitori dell’impossibilità di fare alcunché. L’immobilismo come virtù. Lo slittamento delle scelte come prova di responsabilità nazionale. Il tutto attraverso l’abile artificio retorico di fare apparire chiunque sia su un’altra linea – qualunque cosa proponga – come un malcelato e pericoloso fautore dell’aumento del deficit pubblico. Read More

24
Nov
2009

Quarti.

Nel giorno in cui Giulio Tremonti usa il rigore finanziario come scudo contro il cambiamento, l’immagine italiana riceve l’ennesima botta. Secondo il rapporto dell’Ocse sul gettito fiscale, l’Italia è il quarto Stato membro con la pressione fiscale più alta: il dato medio, per il 2008, 43,2 per cento. Peggio di noi solo Belgio (44,3 per cento), Svezia (47,1 per cento) e Danimarca (48,3 per cento). Sotto di noi, una lunga lista dei paesi meno taglieggiatori. In media, i paesi Ocse si mangiano il 35,2 per cento. Credevate fosse questa la cattiva notizia? Macché, è un’altra. Però vi tengo sulle spine.

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