Mi è stato segnalato questo articolo di Krugman, pubblicato sul Sole24Ore.
Krugman afferma che:
Le tre tesi sono più o meno interamente infondate.
Credo non valga per la spesa pubblica il detto ‘se la conosci la eviti’, ma conoscerla è importante non fosse altro per non farci ingannare quando ci viene chiesto di mettere mani al portafoglio per finanziarne l’ennesima crescita. Sollecitato da diversi commenti al precedente post, ritorno sul tema per rispondere a due quesiti: (a) quali voci di spesa concorrono a spiegare gli otto punti in più di spesa pubblica in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009; (b) se la recente manovra influisce o meno sulle voci che sono accresciute di più nel decennio.
Variazione delle spesa pubblica primaria in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009
Nota: (1) Sono gli aquisti della P.A. (beni e servizi, compresi i servizi per prestazioni sociali di cui beneficiano i cittadini); (2) Sono le erogazioni previdenziali; (3) E’ il costo del lavoro dei dipendenti pubblici; (4) Sono i contributi agli investimenti effettuati da soggetti esterni alla P.A. (più voci residuali in c/capitale).
I dati precedenti rappresentano la differenza assoluta tra quanto pesano queste voci di spesa sul Pil nel 2009 e quanto pesavano nel 2000. E’ tuttavia importante verificare anche l’incremento percentuale del loro peso sul Pil data la dimensione molto differente delle varie voci. Come si può osservare, il costo dei dipendenti pubblici scende dal podio.
Variazione % del peso sul Pil delle voci di spesa pubblica primaria tra il 2000 e il 2009
Seguendo questa graduatoria la manovra di finanza pubblica avrebbe dovuto mettere mano in primo luogo alla spesa per acquisti della P.A. (che è la vera voce fuori controllo della spesa pubblica), verificare i contributi agli investimenti dati al settore privato (ivi comprese le imprese pubbliche societarizzate), intervenire sulla spesa previdenziale che oltre a essere la più consistente tra la voci di spesa continua a crescere più del Pil. Non mi sembra che la manovra le abbia prese granché in considerazione e per questo sono piuttosto critico (rimando per un’analisi della manovra al mio contributo per ilsussidiario.net).
Negli ultimi anni l’interesse verso le teorie della Scuola austriaca è aumentato per via dell’evidente fallimento delle teorie neoclassiche e neokeynesiane nel dire qualcosa di rilevante sugli eventi degli ultimi anni (o decenni). Il recente articolo di Evans, autore che già conoscevo per via di un interessante articolo su QJAE (“Austrian Business Cycle Theory in Light of Rational Expectations”) contribuisce a chiarire molti di questi problemi interpretativi.
Read More
Abbiamo più volte scritto e ripetuto su questo blog che dilazionare la riforma fiscale con la giustificazione dei saldi pubblici da garantire in tempi di crisi internazionale come causa impediente è un errore. Un errore grave. La riforma fiscale va fatta ora, esattamente per la ragione che viene citata dai suoi nemici come impossibilitante. Va fatta ora a maggior ragione per un Paese come l’Italia, il cui PIL è cresciuto tra il 1997 e il 2007 dell’1,4% l’anno contro il 2,5% dell’eurozona e il 3% degli USA, con l’effetto di aver patito un calo del reddito per abitante di 7 punti rispetto alla media dell’euroarea. E a maggior ragione ancora in tempi in cui esplode sui mercati la crisi di sostenibilità dei debiti sovrani. Perché i mercati danno il loro voto sulla base non solo del taglio di spesa con il quale si contiene il debito tendenziale, in una situazione nella quale in assenza di interventi correttivi il debito dei Paesi industrializzati andrebbe a fine 2014 al 110% del loro PIL. Ma esprimono il loro giudizio paritariamente anche sulla base della crescita attesa delle diverse economie, perché aumentando il denominatore la proporzione della spesa pubblica e del deficit aggiuntivo diminuisce. Read More
Mentre riflettevo, in occasione della manovra di finanza di questi giorni, sulla tendenza apparentemente inesorabile della spesa pubblica a crescere nel tempo mi è venuta in mente la seguente domanda: in quale decennio la spesa pubblica (espressa in rapporto al Pil) è cresciuta di più?
La risposta che mi sono dato è: ovviamente negli anni ’80, sia per le scelte dei governi in tema di spesa primaria sia, soprattutto, per il contributo della spesa per interessi, trainata dagli alti tassi conseguenti alle politiche monetarie restrittive di quel periodo. Poi però la domanda è mutata: se vogliamo valutare i governi, dobbiamo guardare solo alla spesa pubblica primaria, quella decisa da governi e parlamenti nell’ambito del bilancio pubblico. In quale decennio la spesa pubblica primaria è cresciuta di più? A questo punto, indeciso se si trattasse degli anni ’70 o degli anni ’80, sono andato a rivedermi i numeri e ho avuto una sorpresa interessante.
Variazione della spesa pubblica primaria (in rapporto al Pil)
1960-70: + 4,6 punti (dal 27,5% del 1960 al 32,1% nel 1970);
1970-80: + 4,8 punti (dal 32,1% nel 1970 al 36,9% nel 1980);
1980-90: + 7,2 punti (dal 36,9% del 1980 al 44,0 del 1990);
1990-00: – 4,1 punti (dal 44,0 del 1990 al 39,9 del 2000);
2000-09: + 8,0 punti (dal 39,9 del 2000 al 47,9 del 2009).
Il record è dunque del decennio in corso che è riuscito a battere persino gli allegri anni ’80.
Come sono stati finanziati gli 8 punti di spesa primaria in più?
– per 1,7 punti attraverso minor spesa per interessi;
– per 1,8 punti attraverso maggiori entrate;
– per 4,5 punti attraverso il ricorso al debito pubblico.
di Anthony J. Evans
Questo articolo è stato pubblicato originariamente il 25 maggio 2010 sul blog dell’Institute of Economic Affairs, che ringraziamo per la gentile concessione alla ripubblicazione su chicago-blog.
Il mese scorso Martin Wolf si è chiesto sulle pagine del Financial Times: «L’economia “austriaca” spiega le crisi economiche meglio delle altre scuole di pensiero?».
Il presidente americano, Barack Obama, ha più di una ragione per mettere il broncio alla Bp, la compagnia responsabile del disastro alla piattaforma Deepwater Horizon. C’è, ovviamente, la faccenda rognosa dell’impatto ambientale. C’è una battaglia legale e politica che si preannuncia lunga e tormentata per vedere chi pagherà cosa e quanto. C’è che Bp è stata a lungo la compagnia simbolo del “petroliere buono”, che si sporca le mani col greggio ma si lava la coscienza con gli investimenti verdi. C’è che Bp fa un casino dietro l’altro e l’altro ancora, e questo non aiuta la sua immagine. C’è che Bp è tradizionalmente in prima fila, coi suoi lobbisti, a spingere per il cap and trade. Proprio il cap and trade potrebbe essere una vittima eccellente dell’incidente nel Golfo del Messico.
All’indomani della manovra varata dal governo, quel che colpisce è la persistenza di un’elevata e diffusa inconsapevolezza. Le classi dirigenti di un Paese non sono solo quelle politiche. Accademia e cultura, sindacato e professioni, banche e imprese, alta amministrazione e magistrati. Tutto ciò compone insieme la spina dorsale di un Paese, il suo sistema nervoso, il suo apparato muscolare. La correzione dei conti pubblici mostra sino ad ora che la grande eccezione all’inconsapevolezza diffusa viene dall ‘impresa – domani ne avremo conferma,. all’assemblea di Confindustria -, dalla banche, e da una parte del mondo sindacale, Cisl e Uil. Quella parte di classe dirigente sembra aver capito che cosa ha veramente indotto Berlusconi e Tremonti a metter mano alla manovra correttiva. Semplicemente, il fatto che da qualche mese siamo entrati in un nuovo capitolo della grande crisi che ci accompagna dall’estate 2007. Read More