Il crepuscolo del welfare
Riceviamo da Silvano Fait (IHC) e volentieri pubblichiamo.
“La dottrina della necessità di una rete di sicurezza per raccogliere chi cade è svuotata di significato dalla dottrina che attribuisce una giusta partecipazione anche a coloro che sanno benissimo sostenersi da soli.” (The Economist, 15 marzo 1958)
Il Welfare State, nei termini in cui è stato concepito fino ad ora, sta rapidamente raggiungendo il traguardo oltrepassato il quale non sarà più in grado di fronteggiare gli impegni presi con i cittadini e, volente o nolente, sarà costretto a ridiscutere i termini dei benefici già accordati. Questo sia in fatto di pensioni, di sanità che di istruzione (cfr. W. Buiter circa le Unfunded Social Securities Liabilities). Il processo di costruzione dello stato sociale si è sempre basato sul presupposto che qualsiasi intervento da parte dello stato all’interno dell’ordine sociale spontaneo abbia delle ripercussioni di carattere economico senza per questo arrivare ad intaccare quegli aspetti di ordine morale che stanno alla base del progresso di una popolazione. Purtroppo invece,