1
Giu
2010

Il crollo annunciato dell’Europa, di Philippe Simonnot

Questo intervento è stato pubblicato originariamente sul sito dell’Institut Turgot, che ringraziamo per la cortese concessione alla pubblicazione su chicago-blog. Philippe Simonnot è Direttore dell’Atelier de l’éeconomie contemporaine e Direttore del séminaire monétaire dell’Institut Turgot.

Vent’anni fa il blocco sovietico crollava, non già sotto i colpi di un attacco militare dell’imperialismo capitalista, ma schiacciato dal peso delle proprie “contraddizioni economiche”, come avrebbe detto lo stesso Karl Marx.

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1
Giu
2010

Evasione ed illusione

Il duro richiamo sull’evasione fiscale lanciato da Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali – già opportunamente commentate da Carlo Stagnaro – sancisce il consolidamento ultimo d’un mantra oramai condiviso senza esitazioni dall’intera classe politica italiana, e cioè anche da quei settori che avevano fondato su un certo lassismo tributario una parte non trascurabile del proprio consenso elettorale.

Prescindendo da questioni morali che richiederebbero una troppo ampia trattazione, mi pare che la versione accreditata come dominante presenti debolezze sul piano della logica economica e della conseguente azione politica.

In primo luogo, le stime sull’evasione assumono una condizione di business as usual che appare evidentemente fallace, perché  trascura che l’economia sommersa trova la propria ragione di profittabilità proprio nella possibilità di sfuggire all’occhio dell’erario. Pertanto appare più realistico pensare che il recupero a gettito di quelle attività ne determini, in larga parte, il venir meno.

In secondo luogo, l’intera costruzione prende a fondamento una teoria del prelievo che trova ancora accoglimento – ahinoi – nei manuali di scienza delle finanze, ma che  a ben poco a che vedere con la realtà della formazione del bilancio pubblico. Sopravvive, infatti, la persuasione naif che le attività delle amministrazioni richiedano un determinato fabbisogno di risorse, e che questo venga successivamente ripartito tra i contribuenti – secondo criteri di varia natura. È piuttosto vero, come aveva sottolineato il tremontiano Colbert, che “la tassazione è l’arte di spennare l’oca in modo tale da ottenere il massimo di piume con il minimo di starnazzi”.

In terzo luogo, condizionando la riduzione del prelievo complessivo al recupero dell’evasione fiscale, si sottovaluta l’intima connessione tra l’entità dei due fenomeni. Aliquote da record incentivano l’evasione rendendola più redditizia; ed il modo più ragionevole per aumentare la compliance fiscale consiste nel ridurre le pretese del leviatano.

Infine, tale ricostruzione delle vicende tributarie legittima l’adozione di misure che un leader ora ostaggio dei gerarchi bollava sensatamente come degne di uno stato di polizia tributaria. Se il fisco avanza pretese sul denaro dei contribuenti, è il caso che faccia almeno la fatica di guadagnarselo.

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31
Mag
2010

Postilla al Draghi Reloaded: più concorrenza tra le agenzie di rating

Breve postilla al Draghi Reloaded di Carlo Stagnaro: il cenno di Draghi alle agenzie di rating. Tra tante parole al vento, propositi di spezzare le reni alle tre sorelle della valutazione e sogni di una super-agenzia europea, il Governatore getta un po’ di buon senso sul fuoco del populismo, sottolineando come l’agenda del Financial Stability Board punti, tra l’altro, a:

ridurre la rilevanza dei rating nella supervisione, al tempo stesso accrescendo la concorrenza tra le agenzie di rating e controllando efficacemente l’integrità dei loro processi decisionali, la trasparenza dei loro giudizi;

Trasparenza e concorrenza per il rating, altro che statalizzazione della valutazione. Siamo in pochi a dirlo, ma per fortuna nel gruppetto sparuto c’è anche Mario.

31
Mag
2010

Draghi reloaded: bene Tremonti, però…

In un paese sempre uguale a se stesso, è forse inevitabile che anche le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia – che Mario Draghi ha finito poco fa di leggere – abbiano il sapore acre del “già detto“. Non è, chiaramente, una critica a Draghi: il suo ripetersi è una risposta inevitabile all’essere sistematicamente “non ascoltato”. Lo si intuisce fin da quando il gov. chiarisce che le vendite di titoli di Stato colpiscono soprattutto paesi

titoli di Stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto, quelli di paesi dove queste due caratteristiche si combinano con una bassa crescita economica. Per questi paesi non c’è alternativa al fissare rapidamente un itinerario di riequilibrio del bilancio, con una ricomposizione della spesa corrente e con riforme strutturali che favoriscano l’innalzamento del potenziale produttivo e la competitività.

E’ evidente che il principale interlocutore di Draghi è il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti.

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31
Mag
2010

La tremontata del giorno. Impegno serio o parole in libertà?

Al netto delle solite tremontate, e di un ego che ormai è grosso quasi quanto il suo elefantiaco monistero (“Succede che dal copione è venuto fuori il film. Per come lo vedo e lo vivo io, La paura e la speranza era il copione, e quello che sta girando è il film”), oggi nella sua intervista con Aldo Cazzullo Giulio Tremonti dice una cosa interessante, su cui ci sarebbe da prenderlo in parola e attenderlo al varco.
E’ probabile che si tratti di un’uscita in buona misura strumentale. Tremonti parla dopo l’assemblea annuale di Confindustria, e prima delle Considerazioni finali del Governatore Draghi. In un caso, a fronte di una relazione ben più ricca, sui giornali è uscito che la proposta-forte degli imprenditori sarebbe convocare una grande assise coi sindacati per discutere di riforme strutturali. Insomma, l’ennesimo convegno. Nell’altro, il Governatore della Banca d’Italia potrà fare poco di più che offrire una lettura puntuale della crisi italiana:  la sua “camicia di forza” istituzionale gli rende impossibile concedersi grandi salti in avanti sul piano delle proposte.
Ed ecco, quindi, che proprio nel giorno che dovrebbe essere del “nemico” Draghi, arriva il Ministro dell’Economia a rubargli la scena. Read More
29
Mag
2010

Piccolo Guinness della spesa pubblica (II)

Credo non valga per la spesa pubblica il detto ‘se la conosci la eviti’, ma conoscerla è importante non fosse altro per non farci ingannare quando ci viene chiesto di mettere mani al portafoglio per finanziarne l’ennesima crescita. Sollecitato da diversi commenti al precedente post, ritorno sul tema per rispondere a due quesiti: (a) quali voci di spesa concorrono a spiegare gli otto punti in più di spesa pubblica in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009; (b) se la recente manovra influisce o meno sulle voci che sono accresciute di più nel decennio.

Variazione delle spesa pubblica primaria in rapporto al Pil tra il 2000 e il 2009

  1. Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura: +3,0 punti %;
  2. Prestazioni sociali in denaro: + 2,8 punti %;
  3. Redditi da lavoro: + 0,9 punti %;
  4. Contributi agli investimenti e altre spese in c/capitale: + 0,5 punti %

Nota: (1) Sono gli aquisti della P.A. (beni e servizi, compresi i servizi per prestazioni sociali di cui beneficiano i cittadini); (2) Sono le erogazioni previdenziali; (3) E’ il costo del lavoro dei dipendenti pubblici; (4) Sono i contributi agli investimenti effettuati da soggetti esterni alla P.A. (più voci residuali in c/capitale).

I dati precedenti rappresentano la differenza assoluta tra quanto pesano queste voci di spesa sul Pil nel 2009 e quanto pesavano nel 2000. E’ tuttavia importante verificare anche l’incremento percentuale del loro peso sul Pil data la dimensione molto differente delle varie voci. Come si può osservare, il costo dei dipendenti pubblici scende dal podio. 

Variazione % del peso sul Pil delle voci di spesa pubblica primaria tra il 2000 e il 2009

  1. Consumi intermedi e prestazioni sociali in natura: + 41 %;
  2. Contributi agli investimenti e altre spese in c/capitale: + 35 %
  3. Prestazioni sociali in denaro: + 17 %;
  4. Redditi da lavoro: + 8 %.

Seguendo questa graduatoria la manovra di finanza pubblica avrebbe dovuto mettere mano in primo luogo alla spesa per acquisti della P.A. (che è la vera voce fuori controllo della spesa pubblica), verificare i contributi agli investimenti dati al settore privato (ivi comprese le imprese pubbliche societarizzate), intervenire sulla spesa previdenziale che oltre a essere la più consistente tra la voci di spesa continua a crescere più del Pil. Non mi sembra che la manovra le abbia prese granché in considerazione e per questo sono piuttosto critico (rimando per un’analisi della manovra al mio contributo per ilsussidiario.net).

28
Mag
2010

Evans sulla teoria austriaca

Negli ultimi anni l’interesse verso le teorie della Scuola austriaca è aumentato per via dell’evidente fallimento delle teorie neoclassiche e neokeynesiane nel dire qualcosa di rilevante sugli eventi degli ultimi anni (o decenni). Il recente articolo di Evans, autore che già conoscevo per via di un interessante articolo su QJAE (“Austrian Business Cycle Theory in Light of Rational Expectations”) contribuisce a chiarire molti di questi problemi interpretativi.
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28
Mag
2010

Ecco perché il tempo della riforma fiscale è… ora!

Abbiamo più volte scritto e ripetuto su questo blog che dilazionare la riforma fiscale con la giustificazione dei saldi pubblici da garantire in tempi di crisi internazionale come causa impediente è un errore.  Un errore grave. La riforma fiscale va fatta ora, esattamente per la ragione che viene citata dai suoi nemici come impossibilitante. Va fatta ora a maggior ragione per un Paese come l’Italia, il cui PIL è cresciuto tra il 1997 e il 2007 dell’1,4% l’anno contro il 2,5% dell’eurozona e il 3% degli USA, con l’effetto di aver patito un calo del reddito per abitante di 7 punti rispetto alla media dell’euroarea. E a maggior ragione ancora in tempi in cui esplode sui mercati la crisi di sostenibilità dei debiti sovrani. Perché i mercati danno il loro voto sulla base non solo del taglio di spesa con il quale si contiene il debito tendenziale, in una situazione nella quale in assenza di interventi correttivi il debito dei Paesi industrializzati andrebbe a fine 2014 al 110% del loro PIL.  Ma esprimono il loro giudizio paritariamente anche sulla base della crescita attesa delle diverse economie, perché aumentando il denominatore la proporzione della spesa pubblica e del deficit aggiuntivo diminuisce. Read More