5
Lug
2010

Una visione realistica dell’Europa

Ho letto tardi il pezzo di Irwin Stelzer sul Wall Street Journal di oggi. Mi ha strappato ampi sorrisi di consenso. Piaccia o non piaccia ai nostro eurostatisti e agli eurocrati, è proprio questa a mio giudizio l’immagine dell’Europa negli USA, e nel resto del mondo che conta a cominciare da Pechino. Gli appelli vibranti all’Euro-politica di là da venire che da anni animano migliaia di articolesse sui media italiani – in questo amici del centrosinistra e amici del centrodestra sono del tutto analoghi, l’euroscetticismo per convenzione culturale vine evitato quasi da tutti come fosse la peste invece che sano realismo –  lasciano assolutamente il tempo che trovano.  Ben prima delle trascurabili vicende interne italiane e del colore di degrado bizantino di cui sono impastate, sono le dimissioni di un Capo dello Stato di Germania – il Paese leader dell’Europa – ad aver dato appieno la cifra della piena irrilevanza dell’Europa. Ha osato dire che la Germania sta in Afghanistan per via dell’importanza economic e ecommerciale che il Paese ha nel mondo. E questa elementare verità  è bastata a mandarlo a casa. In un Paese che è leader europeo ma che,  dopo il noto bombardamento chiesto a  sostegno delle proprie truppe e che ha provocato vittime civili anche per responsabilità dei militari germanici impegnati a terra, si tiene lontano da ogni linea di fuoco persino più di noi italiani, che pur senza dirlo abbiamo sin qui eliminato secondo le mie fonti militari e “coperte” circa 1400 talebani – ma sui giornali naturalmente non si può scriverlo! Un’Europa simile è irrilevante, nel mondo d’oggi. Non perché si debba essere bellicisti. Ma perché è irrilevante chi vuole giocare ruoli senza assumersene oneri e responsabilità: e vale nella difesa, come nell’economia. Read More

5
Lug
2010

Degli errori della storia davanti alle crisi, inflazione e politica

Post a integrazione degli ultimi due di Pietro Monsurrò – veramente ottimi, a mio avviso, consentono anche a chi non sia tecnicamente esperto di farsi un’idea non solo del nostro punto di vista, ma della pluralità di orientamenti nella letteratura economica su cause e risposte alla grande crisi del ’29, rispetto alla crisi attuale (e cioè per come lavediamo noi al  riallineamento dei grandi debiti indotti da prezzi sopravvalutati di asset effetto della politica monetaeria lasca seguita dagli USA con Greenspan). E’ verissimo, che chi non mpara le lezioni della storia  è talvolta o spesso condannato a ripeterne errori. Ma è anche vero che confondere storie diverse – quella del ’29 e quella attuale – credendo si debba oggi applicare le ricette di allora significa candidarsi a errori ancora peggiori. Read More

4
Lug
2010

Fatti reali e miti keynesiani – 2

Arrivati al 1929 (o al 2007, a seconda dei gusti) ci si accorse che l’economia sta rallentando, e addirittura (dopo qualche mese di difficoltà economiche) ci fu un crollo delle Borse.

Qui le strade della Grande Depressione e del Great Deleveraging odierno divergono radicalmente: parleremo quindi solo della prima.
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3
Lug
2010

Fatti reali e miti keynesiani – 1

Si fa un gran parlare della Grande Depressione, la crisi che, iniziata nel 1929, finì solo nel 1941, quando si iniziò a paracadutare l’esercito di disoccupati ancora esistente sulle spiagge di Iwo Jima (come dice sempre un mio amico, anche se Iwo Jima fu invasa nel 1945 e senza paracadutisti).

La storia economica della Grande Depressione è ancora aperta, tant’è che l’ultimo paper rilevante di cui sono a conoscenza è del 2009 [1]. A distanza di ottanta anni dall’inizio della crisi, e di settanta dalla sua conclusione, quindi, non esiste ancora una versione certa di ciò che accadde, e una spiegazione definitiva delle cause e delle conseguenze della crisi. Ciononostante, esistono una serie di “fatti”, e tutta una serie di miti, di cui discutere.

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2
Lug
2010

Milano si agita, ma manca il progetto. di Mario Unnia

Riceviamo da Mario Unnia e volentieri pubblichiamo:

Un entusiasmo progettuale percorre la città dopo tanto letargo. Il Manifesto per Milano promosso dal Corriere della Sera è emblematico: all’elenco chilometrico delle adesioni seguono incontri e assemblee di cittadini che fanno richieste sproporzionate alle risorse e ai tempi necessari. C’è poco da aspettarsi da questa progettazione collettiva se non un’attivazione dell’opinione pubblica a scopo politico, in vista delle elezioni, e forse un incremento delle vendite della testata.

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2
Lug
2010

Anche Business Week tax-nd-spend, contro Alesina

La gratitudine di Wall Street per la riforma bancaria di Obama che in definitiva celebra un nuovo compromesso tra regolatori e grandi intermediari, invece di preludere a politica monetaria meno lassista e a meno salvataggi a spese del contribuente, inizia a dare i suoi risultati. Qui il commento critico che Business Week riserva alla tesi di Alberto Alesina, per il quale tagliare i bilanci pubblici porta a più crescita, esempi alla mano di Paesi che hanno perseguito con successo tale strada come l’Irlanda, l’Olanda e la Norvegia. Se anche Business Week, abitualmente tra i falchi sulla spesa pubblica e le tasse, si è iscritto al partit0 tax and spend, significa due cose. La prima è che la divisione in campo teorico vede i keynesiani in netto vantaggio, checché strepiti Krugman. La seconda è che in primis i grandi gruppi finanziari americani preferiscono oggi uno Stato che spende molto, perché è la miglior premessa per continuare a esserne inondati di liquidità a costo zero, anzi negativo. Come a dire: l’errore di fondo continua.

1
Lug
2010

Anche Taylor stronca la “nuova” finanza di Obama

Abbiamo coperto di critiche il Reform Bill finanziario di Obama. Ma il nostro monetarista preferito, John Taylor, è ancora più spietato. Qui la sua stroncatura odierna del Frank-Dodds Act. I margini aggiuntivi di discrezionalità attribuiti ai regolatori americani su materie decisive come i derivati e la loro trattazione su mercati regolamentati, sui tempi e sui modi delle modalità di proprietory trading delle banche entro certi limiti del proprio patrimonio di vigilanza ma con separazioni societarie e gestionali tutte ancora da riempire di contenuti, la retorica della tutela del consumatore in nome della quale si introduce un nuovo regolatore competente per prodotti e servizi che nulla hanno a che fare con la crisi, come si può vedere i difetti sono tanti e gravi. Del resto, servono a coprire la vera ragione della crisi stessa: cioè, per chi la pensa come noi, errori dei regolatori monetari e dei mercati e non del mercato in quanto tale, come ancora una volta qui – a beneficio dei tanti sordi, antimercatisti e statalisti incalliti – Taylor spietatamente argomenta.

1
Lug
2010

Il governo del vietare

UPDATE: Meno male che Saglia c’è.

Un drammatico incidente all’estero. L’Italia che reagisce scompostamente, castrando il suo futuro energetico nonostante le condizioni in cui la tragedia si è verificata in un paese molto lontano non abbiano nulla a che vedere con le tecnologie e le procedure impiegate nel nostro. Non sto parlando dell’uscita dal nucleare dopo Chernobyl. Sto parlando delle reazione, altrettanto scomposta, del ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che pensa sia cosa saggia rispondere al disastro della Deepwater Horizon imponendo un bando alle estrazioni offshore in una fascia di 5 miglia dalle coste nazionali (12 nelle zone marine protette). Greenpeace applaude. Dovrebbe far pensare.

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