17
Feb
2011

“Non è un crimine essere ignoranti di economia”, ma…

Su Libertiamo è uscito un articolo dove si mostra l’ignoranza economica degli italiani, sia tra gli elettori che tra i giornalisti, e si argomenta che questo limita la qualità della vita politica del Paese. L’economia riguarda gran parte delle politiche, e l’ignoranza economica è dunque incompatibile con una democrazia funzionante. L’economia inoltre è parte integrante della cultura: chi non capisce i giochi a somma positiva, non è in grado di valutare i vantaggi della cooperazione sociale, e di fatto non capisce nulla del mondo in cui vive.

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17
Feb
2011

Il budget di Obama: perché no, e cosa dice a noi

E’ davvero forte e credibile, la proposta di budget avanzata da Obama come mano tesa verso il nuovo Congresso, in cui i repubblicani dopo il midterm controllano saldamente la Camera dei Rappresentanti. Mi piacerebbe poter dire di sì, visto che in termini di exit strategy è molto forte l’impulso che dagli Usa si propaga nel mondo, quanto a politiche fiscali e monetarie. Devo tuttavia deludere il lettore. Dal mio punto di vista la risposta è no. Per due ordini di ragioni, che non c’entrano nulla con il giudizio politico ma dipendono dai numeri. La prima ha a che vedere con la scelta tecnica che ha portato ai tanto decantati tagli annunciati di spesa. La seconda, con l’indicatore essenziale che dovrebbe essere considerato prioritario per orientare le politiche pubbliche. Read More

17
Feb
2011

Per crescere di più, aiutare ad aiutarsi chi fa di più: 2) le “medie” che esportano, il Sud un disastro

Ieri tre notizie sul fronte dell’economia. La prima, annunciata in una conferenza stampa congiunta del governo con banche e associazioni d’impresa, è la protrazione della moratoria bancaria per le aziende. La seconda la conferma da parte del ministro dell’Economia che, al di là dei primi deludenti provvedimenti messi allo studio nel Consiglio dei ministri della settimana scorsa, si mette mano alle misure che formeranno il piano nazionale di riforme che ad aprile dovrà essere presentato dall’Italia in sede europea, per costituire banco di giudizio della nostra affidabilità insieme alla tenuta dei conti pubblici. La terza è che Giulio Tremonti ha detto a fianco di Silvio Berlusocni che anche a suo giudizio per la crescita occorre fare di più, dopo che nei due anni alle nostre spalle l’Europa e i mercati mondiali hanno dovuto riconoscere l’abilità sua e del governo nel tenere sotto controllo il deficit aggiuntivo molto più rigorosamente di quanto avvenisse da parte del più dei Paesi avanzati. E’ una risposta a chi ha immaginato o scritto che il ministro dell’Economia anteponesse considerazioni politiche alla priorità dello sviluppo. Vedere per credere. Ma perché non ammettere che sappiamo benissimo tutti, che per crescere di più bisognerebbe aiutare ad aiutarsi chi già fa meglio e di più? La risposta è: nel dirlo, si commette un delitto rispetto alla logica egualitaria, quella che ripete sempre che gli interventi devono pensare innanzitutto al Sud. So che è tosto affermarlo, ma i fatti sono i fatti. Il gap meridionale chiede una rivoluzione civile e amministrativa di lungo percorso e incerti risultati – è fallita in 150 anni – la crescita aggiuntiva a breve si ottiene puntando su altro. Read More

17
Feb
2011

Per crescere di più, aiutare ad aiutarsi chi fa di più: 1) il made in Italy

Uno dei luoghi comuni dello sviluppo italiano, è che per crescere di più occorre dare una mano al made in Italy. Moda, alimentari, scarope, legno e mobili, macchine e manifattura, associati all’eccelenza italiana sui mercati. Aziende di tipo diverso, che in alcuni casi sono cresciute ma rimanendo nella storia fedeli a controllo e conduzione rigorosamente personale o di famiglia e che stanno sotto i 100 milioni di euro di fatturato come Missoni, oppure che hanno diversificato e hanno accolto il mercato nel loro capitale e che fatturano miliardi, da Benetton ad Autogrill, da Barilla a Ferrari, a Piaggio.Ma ciò che spesso nel nostro dibattito pubblico si stenta a capire, è che tali eccellenze non sono eccezioni che galleggiano su un mare di mediocrità. Avere la precisa dimensione di che cosa pesi e che cosa conti davvero il made in Italy, di quanto diffuso sia la suo reticolo nella stratigrafia delle imprese italiane e nei suoi risultati complessivi, aiuterebbe tutti a comprendere quali siano davvero, le priorità dell’economia nel nostro Paese in un mondo che, dalla grande crisi mondiale, esce profondamente trasformato. Grazie alla forza del motore asiatico in grande espansione, e al fatto che la Cina non ne rappresenta solo la prima motrice in termini di consumi in espansione oltre che leader in termini di produzione industriale, ma che resterà anche per anni titolare della scelta di quali debiti pubblici e privati del mondo avanzato comprare e sostenere, grazie alle sue riserve valutarie e finanziarie accumulate con un tasso di risparmio che resta superiore al 50% del reddito disponibile. Ma che cosa è oggi davvero, il made in Italy? Read More

16
Feb
2011

Vino, cereali, speculazione: la guerra al mercato di Sarkozy

Vorrei presentare alcune notizie che mi sembrano dare la misura di ciò che vedremo nel periodo di presidenza francese del G8 e G20 (Oscar Giannino aveva parlato di “colpo di stato”, e non mi sembra una definizione esagerata).

Prima notizia: alla fine di gennaio il presidente francese, in visita nella città alsaziana di Mittelhausen, ha dichiarato senza mezzi termini di essere assolutamente contrario alla liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti, prevista a livello europeo per il 2014. Di più, ha definito l’ipotesi “une idée qui conduira à la catastrophe“.

Seconda notizia: il ministro dell’agricoltura francese, Bruno Le Maire, ha dichiarato che “se la crisi in atto proseguirà, dovremmo adottare misure per limitare le esportazioni e tenere in Francia le nostre giacenze di grano“, correggendo solo lievemente il tiro alcuni giorni dopo, puntualizzando che una decisione del genere dovrebbe essere presa dalla Commissione Europea.

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15
Feb
2011

Senza proprietà non c’è diritto all’acqua. Il caso del Botswana

A pochi mesi dal referendum sull’acqua pare opportuno sgombrare nuovamente il campo dagli equivoci. Le questioni tecniche sono già state chiarite a sufficienza da Carlo Stagnaro e Luigi Ceffalo.

Ciò che, tuttavia, sembra ancora non essere chiaro ai più è che l’idea di acqua come “bene comune” non è per nulla in conflitto con la proprietà privata e con il mercato. Certo, se si dà ascolto ad un abile sofista qual è il professor Mattei, ne verrà fuori che il tentativo del governo del Botswana di espropriare le terre dei boscimani per destinarle allo sfruttamento dei diamanti rientra precisamente nel disegno turbocapitalista che affama i deboli e nutre i potenti. Nei suoi numerosi articoli su Il Manifesto, il professore, per veicolare l’idea dello Stato come braccio armato del liberismo, ha più volte fatto l’esempio delle enclosures inglesi e degli espropri generalizzati che la Corona inglese attuò per efficientare la destinazione agricola delle terre. Anche qui, siamo del tutto fuori strada. La difesa dell’homesteading è tra i principali punti di riferimento di un liberalismo genuino, come abbiamo già scritto qui. Read More

15
Feb
2011

Obama dimezzato – di Emanuela Mirabelli

Emanuela Mirabelli recensisce il libro “Obama dimezzato”, di Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi (Boroli Editore, 2011):

Il 2 novembre 2010 l’America si è recata alle urne per le elezioni di midterm. Le previsioni sono risultate corrette: il colore della Camera è passato dal blu al rosso, gli americani hanno preferito l’elefante all’asinello. Alla luce di questo cambio di rotta, Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi presentano la pagella di Obama a metà mandato nel libro Obama dimezzato (Boroli Editore). Corrispondenti da New York per alcune importanti testate italiane, Cometto e Maggi stilano una pagella che per il Presidente Obama non può essere motivo di vanto. Dopo avergli dato i voti, i due giornalisti fanno poi seguire una valutazione dei possibili scenari per le elezioni presidenziali del 2012. Read More

14
Feb
2011

Copn un Iran senza Ahmadinejad, l’Italia guadagna miliardi

Tengo da parte ogni mia profonda e totale avversione al regime di Ahmadinejad e degli ayatollah, che opprime per un tragico errore dell’Occidente dal 1979 quello straordinario Paese di meravigliosa cultura e finezza che è l’Iran e il suo popolo, verso il quale nutriamo tonnellate di infondati pregiudizi. Pongo qui un altro porblema. Ci guadagniamo o ci perdiamo, se casca il regime. Ci guadagniamo, datui alla mano, molto più di qualunque altro Paese (tranne la solita Germania). E lo abbiamo dismotsrato nei difficili anni in cui, sanzioni o non sanzioni, il nostro export ha fatto boom in Iran.  OPrima che, ultimamente, ce la facessero pagare cara, gli americvani e gli altri partner europei. Guardiamo le cifre. Read More

14
Feb
2011

Draghi, perché sì

Non ho la sfera di cristallo, non faccio pronostici. Ho scritto però molto mesi fa, quando si scelse il candidato portoghese per la vicepresidenza BCE sotto Trichet, che sin da allora l’Italia avrebbe dovuto pensare a come costruire una coalizione a favore di Draghi come successore di Trichet. L’endorsement di Tremonti allora non c’era.  Ora è venuto, ed è un bene. E’ stato aiutato dalla crisi verticale di credibilità della politica italiana dovuta alle belle trovate di Berlusconi. Tremonti tesaurizza credibilità personale in Europa e nei sondaggi italiani. Gli inviti all’allineamento di Ferrara rimbalzano nel nulla.  Per come si stanno mettendo le cose, anzi, è un bene che la candidatura di Draghi sia siata il meno possibile lanciata e sostenuta dal nostro Paese. Era evidente già da metà dell’anno scorso, che Axel Weber non avrebbe potuto guidare la Bce per l’intransigenza con cui aveva pubblicamente difeso il no tedesco ai salvataggi di altri membi dell’euroarea. Non sindaco il suo punto di vista, perché al suo posto l’avrei pensata allo stesso modo: semplicemente, un banchiere centrale e vieppiù se candidato a guidare la BCE, quanto più ha idee “toste” tanto meno ne deve fare oggetto di dibattito pubblico. Come invece ha colpevolmente fatto troppe volte Weber, invece di lasciarle alle sedi riservate. Inevitabilmente, rispetto alla pollktica anche tedesca che alla fine ha accettato la via di mezzo sui salvataggi, Weber si è trovato fuori linea anche a a casa sua e ha dovuto dimettersi. Ora, il punto vero è quello che è stato con inusuale brutalità oggi da Wolfgang Munchau sul Financial Times: nessun altro candidato, né quello belga né quello finllandese, hanno neanche lontanamente le qualità che tutti risconoscono a Draghi. Stimato oltreoceano per la presidenza del Financial Stability Board e avvertito dai mercati come un credibile civil servant con un passaggio anche in banche d’affari, Draghi misura le parole e non è né un falco keynesiano, né un servitore di governi, né un comunicatore disattento che eccede in parole e giudizi. Ha sempre preferito, dovesse scegliere, la direzione generale del Fmi all’eventuale incarico in BCE.  Ma resta il fatto che, a questo punto, bisogna solo sperare l’Italia non gli nuoccia troppo.  Per i tedeschi la perdita della guida della BCE post Trichet è uno smacco pesante. ma dal muio punto di vista dàò più forza che debolezza alla richeista di severi limiti in Costituzione a spesa pubblica e tasse, oggi puntualmente ribadita dal ministro Schauble a tutti gli europartner. Quand’ho letto che Tremonti ha giudicato il patto di rigore franco-tredesco come qualcosa che non può che aiutare l’Italia, non ho capito se il giuduizio vale per l’annacquamento del rigore germanico che si spera porteranno i francesi (ci stanno provando, si è visto benissimo all’ultimo vertice europeo) oppure se è un consenso ai tetti in  Costitituzione a spesa pubblica e tasse. Io sono per la seconda cosa. E non ne posso più, nel constatare che siamo costretti a occuparci delle mutande di Ruby o delle piazze piene di chi non ne può più, invece che di cose serie.