Piccole riflessioni sulla giustizia (parte II)
E’ una grande sfortuna che in questo paese non si possa riflettere senza finire in caciara politica sul perché vi siano delle buone ragioni affinché pubblica accusa e magistratura giudicante abbiano un maggior livello di separazione. E che tale separazione, con lo scopo di garantire sia l’indipendenza dell’inquirente che quella del giudice, rafforzi l’autonomia di entrambe evitando reciproche commistioni. Nel valutare l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche nel dibattito attuale non si discerne minimamente gli strumenti di indagine da quelli di cattura. Difficile essere contrari all’utilizzo di tali mezzi per la ricerca di un latitante o di un pregiudicato. Ma la situazione è ben diversa ex ante, in fase di indagine, quando la presunzione di innocenza prevale ed è lo Stato a dover giustificare il perché delle proprie azioni. La fattispecie non è molto dissimile dalla violazione della corrispondenza privata, la cui segretezza è tutelata dalla carta costituzionale e la cui violazione è sottoposta appunto a riserva di legge. Al contrario di adesso, nel 1973 fu il Tribunale di Bolzano a sottoporre lo strumento dell’intercettazione telefonica a giudizio di legittimità presso la Corte Costituzionale mentre la Presidenza del Consiglio tramite l’Avvocatura dello Stato si esprimeva in suo favore sulla base di considerazioni per altro prettamente utilitaristiche (ironia della sorte, l’indagine aveva come ipotesi di reato l’esercizio della prostituzione in un albergo privato…). Questo semplicemente per ricordare che argomenti quali la definizione operativa del come e quando lo stato può intercettare così come quale peso attribuire in sede processuale a dichiarazioni verbali estrapolate da conversazioni private siano rilevanti per un liberale a prescindere e nonostante la situazione attuale.