No-Tav: le ragioni di (pochi) in buona fede, e un Paese di pazzi
Sul prossimo numero in uscita di Tempi
Lo dico con tutto il rispetto per i sinceri oppositori della TAV Torino-Lione, poiché tra loro ci sono anche accademici come il professor Marco Ponti, ai quali va tutta la mia stima perché da anni dibattono seriamente stanziamenti possibili alla mano sui costi-benefici in ordine alle priorità infrastrutturali più gravi del nostro Paese. Ma voglio dirlo lo stesso: chi abbiamo visto per l’ennesima volta con caschi mazze e altro opporsi alle forze dell’ordine in località La Maddalena a Chiomonte, con tutte le eccezioni del caso perché anche lì non sarà mancato chi era in buona fede, tuttavia nulla hanno a che vedere con la serietà e la pacatezza che andrebbero riservate, in un Paese avanzato, alla decisione di aprire un primo cantiere per un’opera di questa importanza. La TAV Torino-Lione ha finito per rappresentare da anni l’ennesima trincea del no pregiudiziale a opere e infrastrutture, investimenti trasnazionali e scommesse di grande respiro su direttrici di svilupo che impegnino grandi capitali e scelte hard invece che soft, in termini tecnologici, architettonici e di impatto ambientale governabile. Che vi siano dei sacerdoti, aggiuntisi negli anni alla sinistra antagonista e ai centri sociali, e che numerose amministrazioni locali della Val di Susa e di altre valli interessate abbiano scelto la via dell’opposizione pregiudiziale e del sostegno alla resistenza alle forze dell’ordine, non mi fa cambiare idea.