Grecia out? Ebbene sì. Ma anche la Merkel non se la passa tanto bene
Alle prime proiezioni sul disastroso esito delle elezioni greche, Citigroup ha innalzato la sua stima di probabilità di uscita di Atene dall’euro a un range tra il 50 e il 75% nei prossimi 12-18 mesi. In effetti è comprensibile, tenendo conto che conservatori e socialisti pro Europa sono senza maggioranza in parlamento, e costretti a cercare in tre soli tentativi un partito aggiuntivo di maggioranza prima di un nuovo scioglimento che sarebbe l’anticamera dell’uscita dall’euro. Il primo tentativo affidato ai conservatori si è esaurito in poche ore, affossato da Sinistra democratica, il più piccolo dei partiti di sinistra e in teoria il più filoeuropeo. Il secondo è toccato a Syriza, la sinistra radicale contraria alla terza tranche di aiuti in cambio di altri 11 miliardi di rigore. Il terzo al Pasok, che dicendo no nella seconda mano alla sinistra radicale se lo vedrà restituire, e ha una chanche solo se a quel punto contraddice la campagna elettorale – e convince anche i conservatori a farlo – dicendo sì alla ricontrattazione del pacchetto europeo chiesto dai 21 eletti della Sinistra democratica. Con una maggioranza che sarebbe comunque assai debole. Risultato: par proprio che si rivada a votare, Syriza è convinta di aumentare il suo vantaggio alle urne e di poter guidare una coalizione di sinistra estesa contro l’Europa per rinegoziare tutto. Parola d’ordine “no all’austerità”. In altre parole, Grecia fuori dall’euro. E da ieri con le dichiarazioni di Guido Westervelle è ufficiale l’altolà ad Atene: dunque l’ipotesi di breakup della moneta comune è sul tavolo. Per me, andava esaminata due anni e mezzo fa, all’esplosione della crisi greca. Le condizioni di quel Paese, a così bassa manifattura ed export e debolissimo tranne che per il turismo, aggravate da una pachidermica estensioen della mano pubbluica praticata dai partiti, hanno visto negli anni dell’euro praticare un enorme azzardo morale: il reddito procapite reale è di un terzo almeno superiore alle ragioni di scambio. Poiché è impensabile tagliare di un terzo e metà i redditi alla gente nella stessa moneta, la via è quella di tornare alla dracma lasciando che svalutazione e inflazione rilivellino in termini reali le ragioni discambio rispetto ai livelli di costo e produttività. Conseguenze per l’Europa e l’Italia? E come se la passa, la Merkel?