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Il perdurare della crisi economica e lo stallo della situazione greca mettono sul banco degli imputati le ricette di austerità. La stessa espressione, austerity, è ambigua. Con austerità si indica genericamente un programma che tende alla riduzione del rapporto tra deficit e Pil e tra debito e pil. Per raggiungere questo obiettivo gli Stati possono fare due scelte: aumentare le entrate o diminuire le uscite. È evidente però che fra l’una cosa e l’altra passa una certa differenza: non è la stessa cosa abolire le province o alzare l’Iva, privatizzare le municipalizzate o introdurre l’Imu, alienare il patrimonio pubblico o tassare con nuove accise. La verità è che in Europa l’austerità è stata imposta più al privato che al pubblico, è stata più sbilanciata sul versante delle entrate che sul lato della spesa (l’Italia è l’esempio più paradigmatico). Il nostro “consolidamento fiscale” è stato del genere “cattivo”, per parafrasare il Presidente della BCE Mario Draghi.