L’economia è un surplus — di Gerardo Coco
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.
Nella storia i progressi non avvengono secondo una linea retta ascendente ma seguono un movimento a spirale interrotto da ritorni retrogradi. Nella nostra epoca viviamo uno di questi ritorni. Il pensiero economico è ripiombato al livello di quattrocento anni fa, ai tempi del peggiore mercantilismo, quando si sviluppò “l’analisi scientifica” degli affari pubblici che stabiliva prima di tutto che l’economia era troppo importante per essere lasciata solo nelle mani dei privati. Questo concetto oggi si è di nuovo imposto generando lo stesso arsenale programmatico di divieti, restrizioni, legislazioni minuziose e farraginose, pratiche redistributive e sussidi con il corollario di un apparato pianificatore, una burocrazia ufficiale parassitaria, il cui sostentamento richiede una tassazione oppressiva. E’ il modello dello stato interventista, oggi diventato europeo e che ha finito per fare dei governi i comproprietari dei nostri beni visto che la pressione fiscale reale è quasi ovunque del 50%. Jean-Baptiste Colbert ministro delle finanze di Luigi XIV, che avrebbe voluto stabilire cosa e come si doveva produrre (“le politiche industriali”) fino ad arrivare a prescrivere ai fabbricanti la foggia dei loro tessuti, era, comunque, in confronto agli attuali reggitori dell’economia, un modello di comportamento liberale: non si sarebbe mai azzardato a mettere le mani direttamente nei conti bancari come è avvenuto di recente in Europa e come probabilmente si ripeterà in futuro. Per quanto riguarda la teoria, l’analogia con il periodo mercantilista sta nel considerare “primum mobile” dello sviluppo l’espansione monetaria sempre confusa con quella del capitale, equivoco che impedisce di capire perché, ad un certo punto, il sistema non funzioni più, entri in crisi e ci rimanga. Oggi poi, col denaro prodotto direttamente dai governi, il problema si è enormemente aggravato rendendo le crisi, una volta periodiche, ora strutturali.