14
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt.39-40 – Arte

L’articolo 39 del “decreto del fare” modifica il Codice dei beni culturali e del paesaggio in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica.

In merito al primo punto, il governo si è limitato alla sostituzione di una parola: si affida cioè al Ministero per i beni e le attività culturali – e non più al sovrintendente – la determinazione del canone per la concessione in uso di un bene culturale in consegna al Ministero.

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13
Lug
2013

Regime alimentare: menù vegano obbligatorio e obiezione di coscienza per cuochi

pubblicato su Libero il 12 luglio 2013

“L’obbligo di comprarsi una polizza sanitaria sarebbe come se lo Stato obbligasse a comprare broccoli perché fanno bene”, con questo paradosso il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia si espresse contro la riforma sanitaria di Obama. Scalia non avrebbe mai immaginato che dall’altra parte dell’oceano ci fosse qualche legislatore pronto a prenderlo in parola. Si tratta della senatrice del Pd Monica Cirinnà che, insieme alle due colleghe di partito Silvana Amati e Manuela Granaiola, ha presentato un disegno di legge sulle «Norme per la tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana» che obbliga tutte le mense, bar e ristoranti a servire piatti vegani e vegetariani.

«In tutte le mense pubbliche, convenzionate e private, o che svolgono in qualsiasi modo servizio pubblico… devono essere sempre offerti e pubblicizzati almeno un menù vegetariano e uno vegano in alternativa alle pietanze contenenti prodotti o ingredienti animali». Se i cuochi pensano di poterla fare franca servendo un’insalata qualsiasi, due patate al forno o una frittata, si sbagliano di grosso perché i menù offerti devono «assicurare un apporto bilanciato così come indicato dalla scienza ufficiale in materia di nutrizione e considerando i progressi scientifici». Ma non basta perché c’è anche l’obbligo di non usare tutta una serie di ingredienti e sostanze di origine animale e «le uova presenti nelle preparazioni vegetariane devono provenire da galline allevate con metodo biologico o allevate all’aperto». E in caso di violazione delle disposizioni le sanzioni sono pesantissime, vanno dai 3.000 a 18.000 euro fino alla sospensione dell’esercizio e alla revoca della licenza. In pratica l’ideologia animalista e salutista carica le attività di ulteriori norme e costi, come se non bastasse la selva di leggi e regolamenti che nel nostro paese imbriglia ogni iniziativa economica.

La legge non si limita ai luoghi di ristorazione, ma si estende anche alle scuole, prevedendo l’insegnamento di cucina vegana e vegetariana negli istituti alberghieri. Inoltre gli studenti di questi istituti che «nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti umani» sono animalisti, vegani o vegetariani «possono dichiarare la propria obiezione di coscienza a seguire le lezioni didattiche pratiche riguardanti alimenti di origine animale». Il testo del disegno di legge dice che i nuovi obblighi servono a promuovere stili alimentari più salutari, in quanto «è dimostrato che una dieta vegetariana ed in particolare vegana protegge dalle malattie cardiovascolari, tumori, diabete e obesità».

La senatrice Cirinnà sa come si vive ed educa secondo «la scienza ufficiale e i progressi scientifici» alla corretta alimentazione gli italiani che non sanno badare alla propria salute. Insomma la considerazione per la libertà e la responsabilità individuale è davvero bassa e, sarà un caso, sul sito della Cirinnà il disegno di legge è tra i «provvedimenti per gli animali». Perché è così che l’ideologia salutista vede le persone, come perfetti idioti, incapaci di badare a sé stessi. E non c’è limite alle iniziative di chi agisce in nome del bene altrui: sotto attacco sono le sigarette, i cibi grassi, gli zuccheri, le bibite gassate, gli alcolici.  Oltre allo stato mamma, lo stato poliziotto, lo stato imprenditore, lo stato spione, c’è anche lo stato medico il cui compito è decidere minuziosamente come bisogna vivere, prescrive stili alimentari e di vita, insomma tratta gli individui da malati quando sono ancora sani.

Un provvedimento del genere è assurdo quanto lo sarebbe prevedere l’obbligo di salsicce in un ristorante vegano, di pizza in un ristorante giapponese o di sushi da un kebabbaro. Nessuno ha il diritto di sindacare le abitudini alimentari della senatrice Cirinnà (che tra l’altro è la moglie di Esterino Montino, l’ex capogruppo laziale del Pd che diceva di aver regalato con i rimborsi regionali 4.500 euro di vini ai bambini poveri, non proprio un’opera salutista), ma obbligare le persone a cucinare e servire pietanze imposte dallo Stato è semplicemente assurdo.

La furia statalista del Pd non si ferma alla proibizione dell’uso di immagini femminili nella pubblicità, ma si estende ai menù dei ristoranti. Non è un caso se due delle firmatarie,  Silvana Amati e Manuela Granaiola, siano le stesse del disegno di legge sulle «Misure in materia di contrasto alla discriminazione della donna nelle pubblicità e nei media». Non solo stabiliscono cosa si può fare o meno del proprio corpo, ma anche cosa cucinare e mangiare. Oltre al divieto della gnocca anche l’obbligo del cetriolo.

13
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.35 – Appalti

Nel marzo 2012, il governo Monti  estendeva la responsabilità solidale in materia di appalti di opere e servizi per i debiti nei confronti dell’erario al committente (art. 35, c. 28, d.l. 16/2012).

Introdotta nel 2006 tra appaltatore e subappaltatore, con la novità del 2012 essa impegnava anche i committenti all’obbligo solidale al versamento all’erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell’IVA relativa alle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell’ambito dell’appalto.

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13
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.19 – Opere inutili

L’articolo 19 del decreto del fare riguarda uno dei temi più delicati in assoluto: quello delle infrastrutture. Delicato perché – a parità di altri elementi – si fanno meno infrastrutture del necessario a causa dell’inaffidabilità del quadro normativo; se ne fanno più del necessario a causa di sussidi e altri incentivi impliciti. Come trovare l’equilibrio?

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12
Lug
2013

Stato studi di settore: la barbarie fascista del finto regime premiale

Poi dice che uno è monomaniaco, e che non sta bene e non fa fino gridare contro lo Statoladro. Però dovunque ti giri, non fai altro che ritrovare nuove occasioni per rialimentare la tua convinzione. Non c’è solo una politica che – destra e sinistra uguale – ha preferito al via di accrescere instancabilmente le entrate ai tagli di spesa, visto che dal 2000 ad oggi, quando entrate e uscite sui equivalevano a 536 miliardi, la spesa a fine 2012 era salita di 274 miliardi aggiuntivi e le entrate di 228. A questa insussistente austerity pubblica, con asimmetrica austerity per il solo contribuente, si affianca un’incessante azione della pubblica amministrazione che, forte delle sue prerogative paranormative – in realtà normative a tutti gli effetti – rilancia e aggrava l’inferno ordinamentale tributario nel quale sprofondiamo giorno dopo giorno.

L’ennesimo esempio. Tra le quasi 300 tipologie di studi di settore vigenti per autonomi e professionisti nel nostro Paese, nel 2012 anno duro di crisi si fece avanti l’idea di istituire una forma di regime premiale, con controlli meno invasivi e tempi più spediti. L’intento era chiaro: tu contribuente cerchi di stare il più possibile nei parametri elaborati dall’Agenzia delle Entrate, e in cambio devi temerne meno l’invasività. Tra 2012 e 2013, si è arrivati a 91 studi di settore a tal fine elaborati dagli uomini di Attilio Befera – oggi stesso confermato in Consiglio dei ministri, dal governo Letta.

La voglio far breve e non annoiarvi troppo con particolari tecnici. Diciamo che già mi sembrava assai discutibile la griglia di condizioni elaborata dalla burocrazia fiscale per aver accesso al regime premiale. Bisogna naturalmente indicare ricavi e compensi almeno pari a quelli indicati dal sistema “Gerico” (se vi chiedete come mai dare al sistema informatico che presiede agli studi di settore questo nome di città, l’acronimo in realtà intende che le sue mura caddero al suono delle trombe del popolo ebraico alla ricerca della Terra promessa dopo l’esodo: ergo per l’Agenzia voi siete il fortilizio degli empi da espugnare, e loro il popolo eletto chiamato a redimervi…). Cioè bisogna essere pienamente “congruenti”: con tutti gli indicatori previsti dall’Agenzia, oltre che naturalmente pienamente ottemperanti all’obbligo di fedele dichiarazione in ogni suo particolare.

Capite benissimo, anche se non siete commercialisti, che lo Stato propone una mano meno pesante solo a chi ottempera “spintaneamente “ a ciò che lo Stato crede di sapere meglio di te, di quale sia stata la tua cifra d’affari, il tuo utile, i tuoi costi, il tuo imponibile e la tua imposta, in anno per di più di crisi grave. Cosa che basta da sola, a far venire i nervi. Ma andiamo oltre.

In cambio di questa adesione letterale al diktat unilaterale di Stato, la promessa era che ti si risparmiava l’ipotesi dell’accertamento analitico-presuntivo. In che cosa consista questa definizione, è presto detto. Nel nostro bizantino ordinamento, elaborato non solo per legge ma da regolamenti e circolari – circolari!!! – a centinaia di pagine l’anno delle stesse Agenzie in cui si articola l’amministrazione tributaria, ricadono nella definizione di accertamenti analitico-presuntivi quelli in cui l’Amministrazione ha facoltà di muoversi per via induttiva. Tradotto: gli accertamenti in cui il braccio fiscale dello Stato si è dato da solo facoltà di fottersene, delle vostre scritture contabili, documentazioni, fatture, scontrini e quant’altro abbiate accumulato e riversato al vostro commercialista. Vi è un tipo di accertamento presuntivo cosiddetto “rafforzato”, quando l’Agenzia ritiene di subodorare elementi che non avete dichiarato, ma non prescinde integralmente da quanto avete dichiarato. E vi è poi l’accertamento presuntivo “puro”: il trionfo dell’Inquisizione Spagnola Domenicana dei tempi del Malleus Maleficarum. Nel “puro”, lo Stato ha deciso che può “totalmente” prescindere da quanto avete dichiarato, da quel che sostenete, da quel che ritenete impossibile venga accantonato con un supremo gesto di disprezzo, indicandovi la corda che vi aspetta per riconoscere le vostre colpe, che l’Inquisitore conosce naturalmente mooolto meglio di voi.

Vi assicuro che è proprio così, e per chi volesse approfondire la fonte è il Dpr 600/73, sui redditi determinabili in base alle scritture contabili.

Ebbene, torniamo al punto, gli studi di settore premiali per venire incontro ad autonomi e professionisti nella crisi, quando il lavoro latita e nessuno ti paga se non a mesi e mesi di distanza quando va bene, a corto di liquidità come tutti siamo. Ebbene lo Stato si è guardato bene dall’evitare che almeno gli studi premiali evitino la barbarie degli accertamenti presuntivi. Come confermato dal provvedimento-circolare del direttore dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 5 luglio che fissa le norme in materia di studi premiali, anche questi ricadono pienamente nella possibilità che scatti l’accertamento presuntivo, sia il rafforzato, sia il puro. Perché questo avvenga sono previste ipotesi alle quali uno può riconoscere fondatezza, perché oggettivamente gravi, come ad esempio che si sia omesso di presentare in dichiarazione dei redditi il modello dello studio di settore. Ma a questo si aggiunge però anche l’ipotesi che il presuntivo possa scattare anche nel banale caso in cui non si riporti in modo fedele qualunque tipo di dato all’interno dello studio di settore. Senza alcuna distinzione tra banale errore materiale non rilevante, colpa, colpa grave o dolo.

Sintesi: grandi chiacchiere sul fatto che nella crisi il fisco diventata comprensivo, da una parte accettava di rivedere gli studi di settore rendendoli meno siderali repliche di redditi a tavolino secondo criteri incrementali sugli anni precedenti, dall’altra la generosa apertura di un canale premiale, se accetti come un povero dimidiato nei diritti che lo Stato elabori le cifre tue meglio di te. Conclusione: anche se accetti questo, cioè paghi più del giusto, in ogni caso lo Stato si è riservato il pieno diritto di perseguirti infischiandosene della tua resa preventiva, basta ci sia un solo numero che non gli torna comunque e lui può in ogni caso decidere di contestarti cose che nelle tue carte e documenti non ci sono.

Poi dite che esagero a gridare Stato ladro? Per carità, esagero, ma per difetto. Un ordinamento così autoritario e barbaro non si è mai visto, né sotto l’assolutismo, né sotto il fascismo.

12
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt. 18 e 20-27 – Infrastrutture

Le disposizioni in tema di infrastrutture contenute nell’ormai famigerato “Decreto Fare” sono numerose. Al “rilancio delle infrastrutture” è dedicato l’intero capo III del titolo I, in cui trovano collocazione tutte le disposizioni denominate “misure per la crescita economica”. Vi si rinvengono molteplici formule normative che, secondo la tecnica della novellazione, vanno ad incidere qua e là su diverse discipline già esistenti. In tale contesto, il legislatore d’urgenza si occupa di strade, autostrade, ferrovie, metropolitane, porti, scuole e altri edifici pubblici, intervenendo più o meno estesamente su svariati aspetti sia di carattere formale che sostanziale.

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12
Lug
2013

Il decreto del Fare, Art. 17 – Il Fascicolo Sanitario Elettronico

L’art. 17 del decreto Fare contiene le misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico (FSE), ossia “l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito”.

Entro il 31 dicembre 2013 regioni e province autonome dovranno presentare all’Agenzia per l’Italia digitale il loro progetto sul FSE che, una volta approvato dall’Agenzia per l’Italia digitale e il Ministero della Salute, dovrà essere realizzato entro il 31 dicembre 2014.

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11
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.13 – Agenda Digitale II

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob)

Uno dei profili in ordine ai quali il d.l. n. 69/2013 interviene in materia di Agenda Digitale Italiana riguarda la composizione delle strutture preposte alla sua realizzazione: la Cabina di regia (art. 13, c. 1) e l’Agenzia per l’Italia digitale (art. 13, c. 2).

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11
Lug
2013

Il decreto del Fare, Artt. 13-16 – Agenda Digitale

Triste destino, quello dell’Agenda digitale italiana, frenata dalle pastoie burocratiche e dalle titubanze politiche. Se l’obiettivo della rilevante sezione del decreto del Fare era quello di slegare le prime e dissipare le seconde, restiamo ben lontani dal risultato. Il nodo focale è quello delle responsabilità, con cui si cimenta l’articolo 13, tentando di disciplinare la governance del dossier e di dare una forma più funzionale alle relazioni tra gli enti che, a vario titolo, contribuiscono all’elaborazione delle policy in materia. Con esiti discutibili.

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