15
Lug
2013

Se Saccomanni non fa il vaso di ferro ma di coccio, finirà a maxi patrimoniale

L’estate purtroppo non porta quiete e concentrazione, al governo Letta. Divampano le polemiche giudiziarie per i processi di Berlusconi, e la corda tra Td e Pdl si tende a ogni nuovo sviluppo. Nel Pd il confronto interno è aspro, e investe sia la cooperazione nella maggioranza con i seguaci di Berlusconi, sia i dossier di governo. Grillo è pronto ogni giorno ad approfittarne, incalza il Pd da sinistra puntando al suo elettorato. A tutto ciò si aggiungono gravi passi falsi come l’espulsione di moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, provvedimento precipitosamente messo in atto dagli apparati di sicurezza italiana e ora annullato, senza che sia chiaro chi e come abbia autorizzato questo incredibile favore al regime di un dittatore, ricco di risorse energetiche quanto sprovvisto di credenziali democratiche. Finirà in un’epurazione della Polizia quando dovrebbero saltare teste politiche. E’ penosa, la figura di un governo che a chiacchiere lancia iniziative per attirare capitali stranieri in Italia – a chiacchiere, perché per farlo davvero bisogna abbassare le tasse, abbattere la burocrazia e riformare la giustizia, non insediare tavoli  agenzie – ma poi in realtà fa solo favori a satrapi che hanno canali diretti con la servizievole  alta burocrazia italiana  dei servizi e apparati di sicurezza.
E’ un quadro convulso che rischia ogni giorno di deconcentrare il governo da quella che è la vera prima grande emergenza: quella economica. Più che di larghe intese, a 75 giorni dalla sua nascita, sull’economia il governo Letta rischia di diventare un governo delle lunghe attese. Slittamenti di decisioni, IVA, IMU, costo del lavoro, privatizzazioni, la linea sin qui prevalsa è quella di una dichiarata  grande prudenza, giustificata dai riflettori puntatici contro da Europa e mercati, ma che ormai deve cedere il passo a una stagione diversa.
C’è il modo di farlo. Proprio la politica economica e finanziaria ha un punto di forza, in questo governo. Per la sua autorevolezza maturata in decenni alla Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni, il ministro dell’Economia, è per definizione oltre che per natura estraneo al conflitto tra Pd e Pdl. E’ personalmente forte del sostegno diretto del Capo dello Stato, gode di un rapporto senza intermediari con il presidente della BCE, Mario Draghi. A poche settimane ormai dalla Legge di stabilità, che dovrà compiere scelte sin qui rinviate, è venuto il tempo di giocare sino in fondo la carta di scelte energiche e coraggiose.
Se alle prime uscite del ministro i partiti sono stati molto decisi nel ricordargli che la stagione dei tecnici è finita, la cosa peggiore sarebbe accettare una sorta di ruolo dimidiato. Al contrario l’Economia deve farsi sentire, a costo di mettere alla corda agli occhi degli italiani i miopi calcoli dei partiti. Convinti di questo, un po’ inusualmente forse, ci rivolgiamo direttamente al ministro.
Saccomanni, insieme al nuovo Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco anch’egli proveniente da via Nazionale, conosce bene quale sia il diverso impatto sul prodotto nazionale di un intervento piuttosto che di un altro. In un’economia tanto prostrata da strage di impresa, lavoro e reddito come quella italiana, le priorità sono quelle che producono un maggior effetto moltiplicatore, non la convenienza dei partiti.
Se si considera l’agenda del governo da questo punto di vista, il pagamento dei debiti della PA alle imprese è l’arma ad effetto più immediato, per mutare in meglio liquidità e aspettative del mercato. Ma sta all’Economia comprendere che le procedure sin qui avviate per tentare di pagare 20 miliardi entro quest’anno si mostrano ancora troppo farraginose. Le imprese non capiscono perché non si segue quanto per esempio proposto dal presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Bassanini, che consentirebbe il pagamento in tre trimestri di 70-90 miliardi, sulla scorta di quanto la Spagna ha fatto coi suoi 32 miliardi di arretrati.
La Cgia di Mestre ha stimato che un 30% delle migliaia di chiusure d’impresa avvenga proprio perché lo Stato non paga. Ma a questo si aggiunge che gran parte delle chiusure aggiuntive avviene poi perché lo Stato chiede troppo, sommando IRAP, IRES, contributi e quant’altro. La Legge di stabilità è chiamata a indicare una scelta: una nuova programmazione pluriennale di tagli di spesa non recessivi, da portare a copertura di una discesa effettiva nel tempo della pressione fiscale su impresa e lavoro. Dalle tax expenditures al rapporto Giavazzi, dalle forniture sanitarie al costo standard esteso in tutta la PA, occorre un percorso alternativo all’aumento di altri 99 miliardi di entrate pubbliche tra 2014 e 2017 indicato dalla nota aggiuntiva al DEF dello scorso aprile, precedente all’attuale governo.
Occorre poi pensare a una terza priorità: l’abbattimento del debito pubblico. Il 2015 si avvicina, ed è nell’orizzonte di vita dell’attuale governo. Ma nel 2015 entra in vigore il fiscal compact, e ogni anno il governo dovrà garantire 45-50 miliardi di abbattimento del debito in pareggio strutturale di bilancio. Pensare di farlo per via di avanzi primari di 5-6 punti di Pil l’anno, prostrata com’è l’economia italiana, appare impensabile, a meno di una recessione ancor più dura. Quindi vanno indicate vie straordinarie: le privatizzazioni che sin qui hanno languito, e di cui restiamo convinti in maniera assoluta contro l’opinione della burocrazia  del Tesoro. E se non saranno le privatizzazioni, allora a Saccomanni tocca indicare  una delle diverse manovre straordinarie di riduzione avanzate da più parti in questi ultimi due anni. Molte di loro sono spericolate ai nostri occhi, e lambiscono o mascherano l’intervento che più di tutti occorre evitare,cioè una o più maxi patrimoniali coattive su famiglie e imprese.
Ci fermiamo qui. Ci rivolgiamo al ministro per sollecitargli risposte, a nome degli italiani. Certi come siamo che egli ricordi bene la parabola di Jacques Necker. Chiamato alle Finanze tra 1776 e 1781 da Luigi XVI, le sue riforme di efficienza ed equilibrio del bilancio furono avversate e diluite, dalla Corte come dai Parlamenti locali. Quando Luigi XVI lo richiamò in servizio, una prima volta nel 1788 e di nuovo all’indomani della presa della Bastiglia, era ormai troppo tardi. Ma fu il primo a fare un resoconto pubblico al Re dei veri guai dei conti pubblici francesi, nel 1781. Aver detto per tempo che i problemi erano seri e i rimedi dovevano essere energici, vale a Necker ancor oggi la stima che ai più dei suoi colleghi nella storia è negata: troppo timorosi, davanti a un toro, di prenderlo per le corna.

15
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.59 – Università

All’articolo 59 (Borse di mobilità per gli studenti universitari), il decreto legge riguardante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” – giornalisticamente detto “decreto del Fare” – stanzia la somma di 17 milioni di euro per gli anni 2013-2015, con l’obiettivo di erogare borse per la mobilità a favore di studenti che intendano iscriversi a un’università con sede in una regione diversa da quella di residenza.

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14
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt.50-56 – Fisco

Considerazioni generali

Le misure fiscali contenute negli artt. 50÷56 del D.L. 69/2013 (cd. “Decreto del fare”) costituiscono un tentativo di tamponare gli effetti della grave congiuntura finanziaria in cui versano i Contribuenti per mancanza o scarsità di liquidità; di conseguenza, sono interventi correttivi che non avranno effetti positivi apprezzabili sulla crescita economica e che, nella migliore delle ipotesi, conserveranno lo status quo mentre, nell’ipotesi peggiore, potranno soltanto rallentare la recessione in atto. L’azione del Governo, sebbene in qualche modo utile, continua infatti ad andare nella direzione opposta a quella che servirebbe e che dovrebbe intervenire a monte per affievolire quel grave e diffuso senso di oppressione ed ossessione fiscale che scoraggia l’intraprendenza e reprime la propensione alla spesa ed agli investimenti da parte dei Cittadini. Ad ogni buon conto la casa ha offerto il Decreto “del fare” e dunque si impone una analisi del suo contenuto, soprattutto allo scopo di offrire spunti utili per modificarlo in sede di conversione.

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14
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt.39-40 – Arte

L’articolo 39 del “decreto del fare” modifica il Codice dei beni culturali e del paesaggio in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica.

In merito al primo punto, il governo si è limitato alla sostituzione di una parola: si affida cioè al Ministero per i beni e le attività culturali – e non più al sovrintendente – la determinazione del canone per la concessione in uso di un bene culturale in consegna al Ministero.

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13
Lug
2013

Regime alimentare: menù vegano obbligatorio e obiezione di coscienza per cuochi

pubblicato su Libero il 12 luglio 2013

“L’obbligo di comprarsi una polizza sanitaria sarebbe come se lo Stato obbligasse a comprare broccoli perché fanno bene”, con questo paradosso il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia si espresse contro la riforma sanitaria di Obama. Scalia non avrebbe mai immaginato che dall’altra parte dell’oceano ci fosse qualche legislatore pronto a prenderlo in parola. Si tratta della senatrice del Pd Monica Cirinnà che, insieme alle due colleghe di partito Silvana Amati e Manuela Granaiola, ha presentato un disegno di legge sulle «Norme per la tutela delle scelte alimentari vegetariana e vegana» che obbliga tutte le mense, bar e ristoranti a servire piatti vegani e vegetariani.

«In tutte le mense pubbliche, convenzionate e private, o che svolgono in qualsiasi modo servizio pubblico… devono essere sempre offerti e pubblicizzati almeno un menù vegetariano e uno vegano in alternativa alle pietanze contenenti prodotti o ingredienti animali». Se i cuochi pensano di poterla fare franca servendo un’insalata qualsiasi, due patate al forno o una frittata, si sbagliano di grosso perché i menù offerti devono «assicurare un apporto bilanciato così come indicato dalla scienza ufficiale in materia di nutrizione e considerando i progressi scientifici». Ma non basta perché c’è anche l’obbligo di non usare tutta una serie di ingredienti e sostanze di origine animale e «le uova presenti nelle preparazioni vegetariane devono provenire da galline allevate con metodo biologico o allevate all’aperto». E in caso di violazione delle disposizioni le sanzioni sono pesantissime, vanno dai 3.000 a 18.000 euro fino alla sospensione dell’esercizio e alla revoca della licenza. In pratica l’ideologia animalista e salutista carica le attività di ulteriori norme e costi, come se non bastasse la selva di leggi e regolamenti che nel nostro paese imbriglia ogni iniziativa economica.

La legge non si limita ai luoghi di ristorazione, ma si estende anche alle scuole, prevedendo l’insegnamento di cucina vegana e vegetariana negli istituti alberghieri. Inoltre gli studenti di questi istituti che «nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti umani» sono animalisti, vegani o vegetariani «possono dichiarare la propria obiezione di coscienza a seguire le lezioni didattiche pratiche riguardanti alimenti di origine animale». Il testo del disegno di legge dice che i nuovi obblighi servono a promuovere stili alimentari più salutari, in quanto «è dimostrato che una dieta vegetariana ed in particolare vegana protegge dalle malattie cardiovascolari, tumori, diabete e obesità».

La senatrice Cirinnà sa come si vive ed educa secondo «la scienza ufficiale e i progressi scientifici» alla corretta alimentazione gli italiani che non sanno badare alla propria salute. Insomma la considerazione per la libertà e la responsabilità individuale è davvero bassa e, sarà un caso, sul sito della Cirinnà il disegno di legge è tra i «provvedimenti per gli animali». Perché è così che l’ideologia salutista vede le persone, come perfetti idioti, incapaci di badare a sé stessi. E non c’è limite alle iniziative di chi agisce in nome del bene altrui: sotto attacco sono le sigarette, i cibi grassi, gli zuccheri, le bibite gassate, gli alcolici.  Oltre allo stato mamma, lo stato poliziotto, lo stato imprenditore, lo stato spione, c’è anche lo stato medico il cui compito è decidere minuziosamente come bisogna vivere, prescrive stili alimentari e di vita, insomma tratta gli individui da malati quando sono ancora sani.

Un provvedimento del genere è assurdo quanto lo sarebbe prevedere l’obbligo di salsicce in un ristorante vegano, di pizza in un ristorante giapponese o di sushi da un kebabbaro. Nessuno ha il diritto di sindacare le abitudini alimentari della senatrice Cirinnà (che tra l’altro è la moglie di Esterino Montino, l’ex capogruppo laziale del Pd che diceva di aver regalato con i rimborsi regionali 4.500 euro di vini ai bambini poveri, non proprio un’opera salutista), ma obbligare le persone a cucinare e servire pietanze imposte dallo Stato è semplicemente assurdo.

La furia statalista del Pd non si ferma alla proibizione dell’uso di immagini femminili nella pubblicità, ma si estende ai menù dei ristoranti. Non è un caso se due delle firmatarie,  Silvana Amati e Manuela Granaiola, siano le stesse del disegno di legge sulle «Misure in materia di contrasto alla discriminazione della donna nelle pubblicità e nei media». Non solo stabiliscono cosa si può fare o meno del proprio corpo, ma anche cosa cucinare e mangiare. Oltre al divieto della gnocca anche l’obbligo del cetriolo.

13
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.35 – Appalti

Nel marzo 2012, il governo Monti  estendeva la responsabilità solidale in materia di appalti di opere e servizi per i debiti nei confronti dell’erario al committente (art. 35, c. 28, d.l. 16/2012).

Introdotta nel 2006 tra appaltatore e subappaltatore, con la novità del 2012 essa impegnava anche i committenti all’obbligo solidale al versamento all’erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell’IVA relativa alle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell’ambito dell’appalto.

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13
Lug
2013

Il decreto del fare, Art.19 – Opere inutili

L’articolo 19 del decreto del fare riguarda uno dei temi più delicati in assoluto: quello delle infrastrutture. Delicato perché – a parità di altri elementi – si fanno meno infrastrutture del necessario a causa dell’inaffidabilità del quadro normativo; se ne fanno più del necessario a causa di sussidi e altri incentivi impliciti. Come trovare l’equilibrio?

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12
Lug
2013

Stato studi di settore: la barbarie fascista del finto regime premiale

Poi dice che uno è monomaniaco, e che non sta bene e non fa fino gridare contro lo Statoladro. Però dovunque ti giri, non fai altro che ritrovare nuove occasioni per rialimentare la tua convinzione. Non c’è solo una politica che – destra e sinistra uguale – ha preferito al via di accrescere instancabilmente le entrate ai tagli di spesa, visto che dal 2000 ad oggi, quando entrate e uscite sui equivalevano a 536 miliardi, la spesa a fine 2012 era salita di 274 miliardi aggiuntivi e le entrate di 228. A questa insussistente austerity pubblica, con asimmetrica austerity per il solo contribuente, si affianca un’incessante azione della pubblica amministrazione che, forte delle sue prerogative paranormative – in realtà normative a tutti gli effetti – rilancia e aggrava l’inferno ordinamentale tributario nel quale sprofondiamo giorno dopo giorno.

L’ennesimo esempio. Tra le quasi 300 tipologie di studi di settore vigenti per autonomi e professionisti nel nostro Paese, nel 2012 anno duro di crisi si fece avanti l’idea di istituire una forma di regime premiale, con controlli meno invasivi e tempi più spediti. L’intento era chiaro: tu contribuente cerchi di stare il più possibile nei parametri elaborati dall’Agenzia delle Entrate, e in cambio devi temerne meno l’invasività. Tra 2012 e 2013, si è arrivati a 91 studi di settore a tal fine elaborati dagli uomini di Attilio Befera – oggi stesso confermato in Consiglio dei ministri, dal governo Letta.

La voglio far breve e non annoiarvi troppo con particolari tecnici. Diciamo che già mi sembrava assai discutibile la griglia di condizioni elaborata dalla burocrazia fiscale per aver accesso al regime premiale. Bisogna naturalmente indicare ricavi e compensi almeno pari a quelli indicati dal sistema “Gerico” (se vi chiedete come mai dare al sistema informatico che presiede agli studi di settore questo nome di città, l’acronimo in realtà intende che le sue mura caddero al suono delle trombe del popolo ebraico alla ricerca della Terra promessa dopo l’esodo: ergo per l’Agenzia voi siete il fortilizio degli empi da espugnare, e loro il popolo eletto chiamato a redimervi…). Cioè bisogna essere pienamente “congruenti”: con tutti gli indicatori previsti dall’Agenzia, oltre che naturalmente pienamente ottemperanti all’obbligo di fedele dichiarazione in ogni suo particolare.

Capite benissimo, anche se non siete commercialisti, che lo Stato propone una mano meno pesante solo a chi ottempera “spintaneamente “ a ciò che lo Stato crede di sapere meglio di te, di quale sia stata la tua cifra d’affari, il tuo utile, i tuoi costi, il tuo imponibile e la tua imposta, in anno per di più di crisi grave. Cosa che basta da sola, a far venire i nervi. Ma andiamo oltre.

In cambio di questa adesione letterale al diktat unilaterale di Stato, la promessa era che ti si risparmiava l’ipotesi dell’accertamento analitico-presuntivo. In che cosa consista questa definizione, è presto detto. Nel nostro bizantino ordinamento, elaborato non solo per legge ma da regolamenti e circolari – circolari!!! – a centinaia di pagine l’anno delle stesse Agenzie in cui si articola l’amministrazione tributaria, ricadono nella definizione di accertamenti analitico-presuntivi quelli in cui l’Amministrazione ha facoltà di muoversi per via induttiva. Tradotto: gli accertamenti in cui il braccio fiscale dello Stato si è dato da solo facoltà di fottersene, delle vostre scritture contabili, documentazioni, fatture, scontrini e quant’altro abbiate accumulato e riversato al vostro commercialista. Vi è un tipo di accertamento presuntivo cosiddetto “rafforzato”, quando l’Agenzia ritiene di subodorare elementi che non avete dichiarato, ma non prescinde integralmente da quanto avete dichiarato. E vi è poi l’accertamento presuntivo “puro”: il trionfo dell’Inquisizione Spagnola Domenicana dei tempi del Malleus Maleficarum. Nel “puro”, lo Stato ha deciso che può “totalmente” prescindere da quanto avete dichiarato, da quel che sostenete, da quel che ritenete impossibile venga accantonato con un supremo gesto di disprezzo, indicandovi la corda che vi aspetta per riconoscere le vostre colpe, che l’Inquisitore conosce naturalmente mooolto meglio di voi.

Vi assicuro che è proprio così, e per chi volesse approfondire la fonte è il Dpr 600/73, sui redditi determinabili in base alle scritture contabili.

Ebbene, torniamo al punto, gli studi di settore premiali per venire incontro ad autonomi e professionisti nella crisi, quando il lavoro latita e nessuno ti paga se non a mesi e mesi di distanza quando va bene, a corto di liquidità come tutti siamo. Ebbene lo Stato si è guardato bene dall’evitare che almeno gli studi premiali evitino la barbarie degli accertamenti presuntivi. Come confermato dal provvedimento-circolare del direttore dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 5 luglio che fissa le norme in materia di studi premiali, anche questi ricadono pienamente nella possibilità che scatti l’accertamento presuntivo, sia il rafforzato, sia il puro. Perché questo avvenga sono previste ipotesi alle quali uno può riconoscere fondatezza, perché oggettivamente gravi, come ad esempio che si sia omesso di presentare in dichiarazione dei redditi il modello dello studio di settore. Ma a questo si aggiunge però anche l’ipotesi che il presuntivo possa scattare anche nel banale caso in cui non si riporti in modo fedele qualunque tipo di dato all’interno dello studio di settore. Senza alcuna distinzione tra banale errore materiale non rilevante, colpa, colpa grave o dolo.

Sintesi: grandi chiacchiere sul fatto che nella crisi il fisco diventata comprensivo, da una parte accettava di rivedere gli studi di settore rendendoli meno siderali repliche di redditi a tavolino secondo criteri incrementali sugli anni precedenti, dall’altra la generosa apertura di un canale premiale, se accetti come un povero dimidiato nei diritti che lo Stato elabori le cifre tue meglio di te. Conclusione: anche se accetti questo, cioè paghi più del giusto, in ogni caso lo Stato si è riservato il pieno diritto di perseguirti infischiandosene della tua resa preventiva, basta ci sia un solo numero che non gli torna comunque e lui può in ogni caso decidere di contestarti cose che nelle tue carte e documenti non ci sono.

Poi dite che esagero a gridare Stato ladro? Per carità, esagero, ma per difetto. Un ordinamento così autoritario e barbaro non si è mai visto, né sotto l’assolutismo, né sotto il fascismo.

12
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt. 18 e 20-27 – Infrastrutture

Le disposizioni in tema di infrastrutture contenute nell’ormai famigerato “Decreto Fare” sono numerose. Al “rilancio delle infrastrutture” è dedicato l’intero capo III del titolo I, in cui trovano collocazione tutte le disposizioni denominate “misure per la crescita economica”. Vi si rinvengono molteplici formule normative che, secondo la tecnica della novellazione, vanno ad incidere qua e là su diverse discipline già esistenti. In tale contesto, il legislatore d’urgenza si occupa di strade, autostrade, ferrovie, metropolitane, porti, scuole e altri edifici pubblici, intervenendo più o meno estesamente su svariati aspetti sia di carattere formale che sostanziale.

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