17
Lug
2013

Nuovo commissario alla spending review? Non è affatto una buona idea

In questi giorni – tra vergogne kazake, indegnità zoologiche, tensioni Pd – l’attenzione all’economia sembra sviata.  Ma al Tesoro e nell’informale cabina di regia di maggioranza ci si confronta riservatamente su un punto nodale. Come uscire da attendismo e rinvii che hanno sinora improntato le non scelte del governo in materia di finanza pubblica: IMU,IVA, cuneo fiscale. Il gettito IVA è in drastico calo da recessione, le entrate reggono solo grazie alla spremitura dei redditi, il tetto del 3% di deficit è di nuovo a rischio.

Le indiscrezioni sussurrano tre ipotesi. La prima è gentilmente definita “tagli semilineari”, viene dalla tecnocrazia del ministero che già partorì i tagli lineari. A seconda che privilegiate il “semi” – cioè la scelta per priorità – o il “lineare”, che piace ai dirigenti della Ragioneria perché garantisce il saldo senza guardare in faccia alle conseguenze di minor crescita, è la classica soluzione Bisanzio.

Seconda ipotesi: l’estensione degli abbandonati costi standard, cominciando dagli Enti Locali. Poiché si è rimasti molto indietro nel definirli, si tratta comunque di cifre modeste. Si sussurra di neanche 3 miliardi 3 di euro.

La terza è la nomina di un nuovo commissario alla spending review, come si fece con Enrico Bondi sotto Monti. Girano i nomi di neocandidati. Ma demandare il taglio della spesa a una figura esterna al governo e alla quale la tecnocrazia del ministero e le Autonomie hanno buon gioco a opporsi, significa ripetere l’errore. Individuare e tagliare spesa deve essere compito principe del ministro del Tesoro. Altrimenti, come al solito lo Stato prenderà in tasca a noi, non nelle proprie. Dal 2000 il totale della spesa pubblica è aumentato di 274 miliardi, le entrate di 2228. L’austerity è tutta nostra, quella di Stato non è mai cominciata.

16
Lug
2013

Europa unita contro la trasparenza nei servizi idrici: affossata la direttiva sulla Concessioni

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Nicola Saporiti.

La Commissione Europea ha effettuato una spiacevole inversione di marcia per quanto riguarda la Direttiva sulle Concessioni dei servizi pubblici, il cui obiettivo è consolidare il quadro legale dei servizi pubblici esternalizzati, assicurare omogeneità di trattamento nei vari paesi Europei e garantire la trasparenza in un eventuale processo di affidamento, nel caso in cui la particolare autorità pubblica decida di affidare il servizio in concessione.

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16
Lug
2013

Divieti d’Italia: stay creative, stay foolish!

L’ultimo a fare scalpore è stato il divieto di vendere cibi e bevande da asporto a Milano nella zona della movida (che comprende Navigli, Porta Ticinese, Arco della Pace e Corso Como) dopo mezzanotte. È il divieto conosciuto come “divieto per il gelato dopo la mezzanotte”. In realtà non riguarda solo il gelato, ma tutte le bibite e alimenti vari. Niente di nuovo, tale divieto c’era già l’anno scorso, ma quest’anno è stato esteso, oltre che a bar e ristoranti, anche agli artigiani (pizzerie, gelaterie, kebab). Read More

16
Lug
2013

Il decreto del fare, Articolo 41 – Ambiente

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gabriele Sabato.

Con l’articolo 41 del “decreto del fare” (rubricato Disposizioni in materia ambientale), il Governo Letta ha in particolare apportato alcune modifiche alla disciplina normativa in materia di gestione e trattamento delle acque di falda,[1] nell’ambito dello svolgimento delle attività di bonifica di siti contaminati, attualmente prevista all’articolo 243 del cd. Codice dell’Ambiente[2] e, parzialmente, a quella in materia di terre e rocce da scavo, prevista dal D.M. 10 agosto 2012, n. 161.[4] Il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale sta già facendo registrare alcune critiche. Ingiuste? Vediamone anzitutto le ragioni, ma non senza aver prima analizzato il contenuto delle nuove norme. In coda all’articolo in commento, infine, il Governo ha introdotto la possibilità per il Ministro dell’Ambiente di nominare commissari ad acta per tentare di risolvere definitivamente l’emergenza rifiuti in Campania.

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15
Lug
2013

Di regolamentazione tariffaria e politica industriale (a margine dei prezzi d’accesso alla rete in rame)

La proposta di provvedimento con cui l’Agcom ha ritoccato il listino dei servizi di accesso alla rete in rame di Telecom Italia ha scontentato un po’ tutti: gli operatori alternativi, che auspicavano riduzioni più sostanziose; l’incumbent, che minaccia di ricorrere al TAR contro la decisione definitiva; la Commissione Europea, che ha ribadito le proprie prerogative all’indomani dell’annuncio del Garante. Attorno a questi tre poli d’interessi, si coagulano le reazioni giornalistiche e i commenti – spesso più interessati all’advocacy che all’analisi.

Tale contrapposizione aiuta a disvelare un equivoco ricorrente. La regolamentazione non è una scienza esatta; men che meno lo è la regolamentazione tariffaria. Se consideriamo che oscillazioni di qualche centesimo di euro si riverberano in partite da centinaia di milioni nei bilanci delle imprese regolate, è naturale e forse necessario che le decisioni in materia siano ispirate a criteri in senso lato politici: a criteri, cioè, che non siano agnostici rispetto al bilanciamento degli interessi contrapposti e alle conseguenze sistemiche sugli assetti del mercato.

Non è, pertanto, un caso che, a dispetto di metodologie scrupolosamente dettagliate, convivano visioni divergenti sul livello ottimale dei prezzi all’ingrosso; e, del resto, nessuno dei critici dell’Agcom ha lamentato il travisamento della contabilità regolatoria o l’inesatta applicazione dei modelli di costo: viceversa, si contesta la discrepanza tra le tariffe individuate dall’Autorità e quelle aprioristicamente ritenute ideali.

Sfatare il mito dell’immacolata concezione dei prezzi regolati non dovrebbe, però, indurre a scivolare nell’opposta perversione: quella di ritenere totalmente arbitraria l’attività dei regolatori: nel caso dell’unbundling, per esempio, l’Agcom ha giustificato in modo credibile la riduzione delle tariffe alla luce dei guadagni d’efficienza nel campo della manutenzione correttiva. La comparazione internazionale, purché interpretata cum grano salis, può costituire un’ulteriore punto di riferimento.

Qui arriviamo al dissidio fondamentale: quello tra la visione realistica di una regolamentazione “politicamente consapevole” e il cambio di paradigma proposto dalla Commissione Europea con l’annunciata Raccomandazione che, dal prossimo settembre, dovrebbe garantire canoni d’accesso al rame più uniformi e più stabili: questa pure una forma di regolamentazione politicamente connotata, ma in un senso assai più pregnante. Il principio sotteso è che le misure regolamentari possano essere adottate sulla base di un’idea astratta di come il mercato dovrebbe presentarsi, senza alcun riferimento a come il mercato si presenta oggi – e dunque alle specificità nazionali: ma è possibile ipotizzare che gli stessi rimedi vadano applicati in un paese come il Regno Unito, dove l’ex monopolista ha una quota di mercato del 25%, e in Italia, dove l’incumbent controlla il 55% delle linee?

Il discrimine, mi pare, è lo strumento dell’analisi di mercato, caposaldo dell’attuale cornice regolamentare e destinato a scemare d’importanza nello schema elaborato da Neelie Kroes. In altre parole, fino a oggi abbiamo pensato alla regolamentazione come a un’attività volta a rettificare – essenzialmente – i problemi concorrenziali determinati dal tramonto dei monopoli pubblici nei servizi a rete; oggi, invece, si giustifica esplicitamente un intervento regolamentare con l’intenzione di orientare in una precisa direzione l’evoluzione del mercato. Il trattamento delle tariffe d’accesso è, in questo senso, paradigmatico: se gli approcci tradizionali come il retail minus e l’orientamento al costo mirano a porre tutti gli operatori, vecchi e nuovi, sullo stesso piano di gioco, quello oggi patrocinato dalla Commissione ambisce a stimolare gli investimenti – e poco importa se essi finiranno per cristallizzare gli attuali squilibri competitivi.

Questa commistione tra regolamentazione e politica industriale è senz’altro favorita, a livello comunitario, dalla confusione sul ruolo istituzionale dei soggetti – come il commissario Kroes – cui competono entrambe le funzioni: la sovrapposizione di ruoli esecutivi, legislativi (o paralegislativi) e di vigilanza, per giunta tipicamente sguarniti di elementari garanzie di responsabilità democratica, sta alterando significativamente la portata dell’attività regolamentare, non solo nel settore delle comunicazioni elettroniche. Peraltro, il tema della governance delle autorità indipendenti è oggi discusso anche a livello nazionale, in Italia e altrove. Si possono ipotizzare diverse strategie per ricondurre ciascuna attività al proprio alveo – tra queste, la valorizzazione del Berec. Tuttavia, in attesa di più incisivi aggiustamenti, sarebbe opportuno ricordare che il ruolo del regolatore non consiste nel plasmare il mercato, bensì nel rimuovere gli ostacoli che gli impediscono di emergere.

@masstrovato

15
Lug
2013

Il decreto del fare, Artt.1-3 – Sostegno alle imprese

L’articolo 1 del Decreto del Fare non contiene disposizioni immediatamente attuative, bensì definisce le linee guida alle quali dovrà attenersi un decreto del ministero dell’Economia da adottarsi entro trenta giorni. Più che sui contenuti, merita dunque una discussione sulla direzione che indica.

I due obiettivi individuati dall’articolo sono: a) assicurare un più ampio accesso al credito da parte delle PMI attraverso lo strumento del Fondo di garanzia e b) limitare il rilascio della garanzia del Fondo alle operazioni finanziarie di nuova concessione e erogazione.

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15
Lug
2013

La trasparenza non ha bisogno di eroi, ma di digitalizzazione.

Beato è quel popolo che non ha bisogno di eroi, ma in Italia la tentazione è di ricorrervi affinché ambiti pubblici possano ben funzionare. Eppure basterebbe un legislatore che non necessita di iper-delegare per riuscire a regolare, una normativa delegata più flessibilmente concepita, una P.A. da semplificare prima ancora che da ammodernare, una dirigenza pubblica cui non servono incentivi né sanzioni per sapere di dover attuare: in sintesi, una farraginosità sia legislativa che amministrativa quanto più possibile sfrondata. E mentre rivoluzioni operative continuano a essere sempre proclamate e mai concretamente condotte, finisce per divenire esso stesso eroe, quel popolo che continua a dibattersi tra norme complesse, principi non applicati e burocrazia immutata, se pure in versione tecnologica.

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