Tre proposte per un’Italia che non polemizzi in Ue contro il rigore che non ha praticato
Ieri Napolitano e Letta a Rimini hanno molto insistito sul tema europeo. C’è concretamente il rischio che il binomio Italia-Europa, incardinato sulla prospettiva del semestre di presidenza italiano della Ue che avrà inizio a luglio 2014, possa apparire una via di fuga, rispetto ai travagli di un governo minacciato da un altro binomio, quello decadenza-incandidabilità di Berlusconi. Sin qui, l’operatività del governo è stata molto limitata dal quotidiano braccio di ferro tra Pdl e Pd. Ed è per scongiurare tale rischio, che a Letta e al suo governo spetta riempire di contenuti concreti il semestre italiano.
La premessa è che di qui a poche settimane i tedeschi andranno alle urne, e tutti sapremo con quale Germania fare i conti. Attualmente la cancelliera Merkel e Cdu-Csu godono nei sondaggi di ottima salute, potrebbero riformare anche un governo con i liberali della Fdp. Ma pur essendo la Spd in forte caduta e a 15 punti e più di distacco, saggiamente la Merkel non chiude la porta a un governo di intese più vaste. Proprio perché, dopo il biennio di cui la Merkel vanta ai suoi elettori la porta chiusa a salvataggi senza rigore per Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, verrà per tutti, anche per la Germania che ha fortemente visto ridursi la propria crescita, il tempo di nuove scelte.
I vertici europei sono in scadenza. Il 30 ottobre termina il mandato del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. A fine novembre scade il presidente del Consiglio, Van Rompuy. A inizio 2014 entra nel vivo la scelta del nuovo segretario generale della NATO, dopo il danese Andwers Fogh Rasmussen. Sono in ballo candidati italiani già formalizzati per la NATO, Frattini, e possibili per la presidenza del Consiglio, Mario Monti. Su tutte queste scelte non sarà certo decisiva la presidenza greca dell’Unione che ci precede a inizio 2014, perché Atene è ancora duramente alle prese con la Troika, per il suo risanamento. Mentre è a Roma, il prossimo 25 marzo e dopo 23 anni, che si riunisce l’assise interparlamentare europea, avendo come ordine del giorno le proposte di revisione del Trattato di Lisbona rese necessarie dall’incerta governance di quest’ultimo biennio, quando l’Europa è vissuta solo di faticosi compromessi intergovernativi per inventarsi farraginosi strumenti eurocooperativi come l’Efsf e poi l’Esm, e mentre la BCE di Draghi ha praticamente dovuto – con inventiva e coraggio – risolvere i guai per tutti.
Perché tutte queste premesse diventino concretamente in Italia il vero programma di governo che sin qui a Letta è mancato, non bastano pur suggestive formule come quelle risuonate ieri, contro i professionisti del conflitto, e a favore di una politica che parli il linguaggio della verità. Occorre invece rendere evidente agli occhi di italiani mai da decenni così piegati su redditi tanto colpiti che, quando Napolitano parla del rischio di un’Italia e un’Europa sommerse dalla globalizzazione, si riferisce davvero a misure concrete da adottare per evitarlo.
Letta ha avviato all’inizio di luglio la macchina per il semestre italiano, chiedendo a tutti i componenti del governo proposte entro fine anno. Ma in verità due-tre idee forti devono essere di fatto pronte sin dalla sera in cui sarà proclamato il risultato elettorale tedesco. Sin qui Letta ha fatto capire in diverse occasioni che “L’Europa del rigore” deve lasciare il campo a una formula nuova. Ma formule come queste rischiano di essere sdrucciolevoli. Nessuno in Germania sarà disposto a toccare gli impegni degli eurodeboli ancora esposti a rischio solvibilità. Quel che serve, sono strumenti e metriche nuove, che anche ai tedeschi convengano per evitare un’Europa a crescita zerovirgola rispetto a quella più robusta di Stati Uniti e Gran Bretagna, mentre i Paesi emergenti hanno molto rallentato. Per dirla in due parole, devono essere strumento alieni dal sembrare ispirati alla polemica “Krugman contro l’austerità”.
Proviamo allora a fare tre esempi, senza voler in alcun modo esaurire il lungo elenco di opzioni che ribollono nel dibattito europeo. E senza entrare nella babele delle proposte di riforma delle istituzioni Ue.
Metriche nuove: sinora a contare per i diversi euromembri sono stati deficit e debito pubblico, è venuto il tempo di guardare più complessivamente anche alla posizione netta sull’estero. Non è tanto questione di quale percentuale di debito pubblico sia in mani straniere, né di patrimonio delle famiglie a garanzia del debito– un indice pericoloso, perché porta a sovraimposte patrimoniali antidebito. Occorre guardare per esempio al deficit cumulato nella parte corrente della bilancia dei pagamenti rispetto all’export di ogni Paese. E’ un indicatore che sta migliorando energicamente per tutti i Paesi eurodeboli, e che vede l’Italia in una “comoda” posizione del -50%, rispetto al -150% spagnolo e al -250% portoghese, la soglia oltre la quale la sostenibilità diventa effettivamente pregiudicata. Assumere metriche di questo tipo significa di fatto prestare attenzione a export e import intraeuropeo, perché un’area monetaria comune non può vivere con un solo Paese che esporta da primatista e tutti gli altri impossibilitati a seguirlo, azzerando in due anni gap di competitività pluridecennali.
Secondo esempio: gli investimenti. Il debito pubblico può crescere perché il Pil scende più di quanto le stangate fiscali riducano il deficit, come avviene in Italia. E la crescita non sarà mai solida finché si considereranno con indifferenza spese di consumi pubblici e per investimenti. La quota di investimenti – pubblici e privati – deve diventare un criterio per graduare gli strumenti eurocooperativi. La Germania investe oggi più del 2007, nel pubblico e nel privato. L’Italia il 24,4% in meno. Non credo da anni alla retorica relativa agli euro-bond, che rilanciano il tema degli oneri a carico dei più virtuosi. Va semplicemente premiato chi mostra scelte concrete, a cominciare dagli incentivi fiscali domestici, il cui effetto è accrescere il monte-investimenti.
Terzo esempio: il credito. L’efficacia dell’Unione bancaria come volano di crescita non è data dal numero concreto di banche sottoposte a supervisione comune, il punto su cui i tedeschi puntano i piedi per evitare sguardi indiscreti agli attivi delle proprie banche nelle mani della politica locale. Perché i tassi bassi funzionino davvero, devono poter funzionare per tutti. Cioè occorre che, in sistemi gravati da eccessi di sofferenze, si pensi a sistemi straordinari per liberare capitale bancario a favore di impieghi per famiglie e imprese. E’ un problema centrale per l’Italia odierna. E non richiede affatto stravolgimenti dello Statuto della BCE, per interventi ordinari europei volti a rendere fluidi i canali della politica monetaria.
Fermiamoci qui. Personalmente non ho molta fiducia. Ma in ogni caso più Letta riuscirà a parlare agli italiani di novità concrete per sbloccarci da fisco vorace e credit crunch non “contro” l’Europa cattiva, ma “insieme” ai Paesi europei di cui dobbiamo riconquistare l’efficienza, meno pesanti saranno le nubi sulla politica italiana. Altrimenti condannata all’ennesimo atto di uno sterile braccio di ferro ventennale.