26
Ago
2013

Il declino italiano tra le Regioni Ue, la sordità di Pdl e politica

Una politica seria, ieri, avrebbe dedicato almeno qualche minuto di attenzione alle amare conseguenze per l’Italia del rapporto sulla competitività tra Regioni dell’Unione, stilato dalla Commissione Europea. Invece, all’indomani del vertice di Arcore tra Berlusconi e lo stato maggiore del Pdl, l’unico tema a rimbalzare nelle dichiarazioni dei politici è stata la crisi di governo.
Da sinistra, dopo l’apparente disco verde di D’Alema parzialmente ritrattato sulla liquidazione del governo Letta, è venuta una presa di posizione sostanzialmente analoga di Veltroni: un ventennio è finito, inutile collaborare al governo, scegliamo Renzi e presto alle urne. Tutto questo, sapendo che Grillo ha deciso che non darà una mano per cambiare l’attuale legge elettorale. Anzi meglio votare presto col Porcellum perché i Cinque Stelle sentono, come gli esponenti del Pd che indicano le urne, aria di vittoria.
Dall’altra parte, nel Pdl è esplosa la conflittualità tra falchi e colombe. Ma non sull’opportunità o meno di condividere la dichiarazione di Arcore, quella secondo la quale la decadenza di Berlusconi è “impensabile e costituzionalmente inaccettabile”, bensì solo sul fatto di chi sia più o meno inossidabilmente interprete nel Pdl della predetta linea dettata dal suo fondatore.
Non abbiamo lesinato al governo attuale giuste e legittime critiche sul più che potrebbe e dovrebbe fare. Ma di fronte a nuove elezioni indicate da una parte e dall’altra come una sorta di ordalia, per decidere ancora una volta sulla superiorità etica e antropologica di una parte sull’altra invece che su programmi all’altezza di lenire i guai italiani, diventa ovvio condividere le parole pronunciate dal premier Enrico Letta tornando dall’Afghanistan, dove ieri ha visitato i reparti italiani: “buttare tutto a mare è una follia”.
Di insensatezze politiche ne sono state già commesse troppe, negli ultimi vent’anni. Proprio per questo è lecito attendersi una nuova prova di rigore e responsabilità istituzionale da parte del Capo dello Stato, una delle poche se non l’unica voce capace di richiamare all’ordine su considerazioni giuridiche – quelle sulla decadenza e l’incandidabilità per effetto della legge anticorruzione – e politiche – il punto in cui siamo arrivati del declino italiano, e ciò che si prepara sulla scena internazionale. Cioè una crisi siriana che sta mostrando tutti i segni premonitori di un nuovo rischioso intervento internazionale, come se nel Medio Oriente non bastasse la crisi egiziana, quella turca, e la nuova leadership iraniana. Le elezioni tedesche alle porte, tra meno di un mese. E il semestre europeo di presidenza italiana, da metà del 2014. Gettarsi in una nuova crisi politica a testa bassa, confermando le diffidenze internazionali sull’endemica instabilità italiana, e per di più con l’attuale legge elettorale né mutando la Costituzione, ci farebbe scendere un altro gradino, avvicinandoci pericolosamente al ruolo di paria.
E’ davvero possibile che Pdl e Pd, dopo aver passato già mesi e mesi sul problema dell’IMU sulla prima casa cioè su 3 miliardi di euro scarsi su oltre 800 di spesa pubblica, rimangano indifferenti sulla continua perdita di posizioni dell’economia italiana, che rischia di continuare anche di fronte ai primi timidi segni di ripresa internazionale? Possono davvero avere dei dubbi, su quale sia la priorità per gli italiani, se non il lavoro che manca, il reddito che scende, il portafoglio e il patrimonio che perdono valore? Dal silenzio di ieri sul rapporto della Commissione sulle Regioni europee, sembrerebbe di sì.
Al contrario, le analisi di quel rapporto dovrebbero dare nerbo al confronto parlamentare, all’operatività di un governo più ambizioso. Dovrebbero costituire l’architrave degli sforzi per un serio programma italiano da mettere al centro del semestre di presidenza italiana dell’Unione, l’anno prossimo. Altro che elezioni. E altro che la sola IMU.
Nel misurare la competitività di 262 regioni europee, la Commissione tiene conto di una molteplicità di indicatori, dall’efficienza e stabilità istituzionale alle infrastrutture, la sanità, l’istruzione, l’innovazione e l’efficienza tecnologica, il mercato del lavoro. Ebbene l’Italia nel suo complesso è scesa dal 16° al 18° posto su 28 Paesi dell’Unione, dal 2010. E’ al 24° per efficienza istituzionale e per il poco Pil realizzato e il molto perduto, al 26° per l’accesso a nuove tecnologie. Tutta l’area più avanzata dell’Italia perde drasticamente il contatto con le Regioni più innovative, diffuse tra Gran Bretagna meridionale, sud dei Paesi scandinavi e, naturalmente. Germania. La Lombardia è passata dal 95° posto al 128°, l’Emilia Romagna dal 121° al 141°, il Lazio dal 133° al 143°, il Veneto dal 146° al 158°. Il Mezzogiorno d’Italia figura in graduatoria allineato alle aree più povere e meno innovative della Penisola iberica. Grecia e Balcani.
Non c’è un’Italia aggrappata all’Europa e una al Mediterraneo, come diceva 40 anni fa Ugo La Malfa, nel report della Commissione. C’è una nazione che nel suo complesso continua sistematicamente a declinare, perché troppe e troppo sistemiche sono le inefficienze, i gravami di una Pubblica amministrazione e di un fisco che ha accresciuto le entrate pubbliche del 58% in 13 anni, mentre la spesa pubblica – lasciando perdere quella per interessi sul debito, che scendeva grazie all’euro – saliva del 68%.
Direte voi forse, a questo punto, che il richiamo alla concretezza è inutile, che suona persino retorico, rispetto a ciò a cui la politica italiana ci ha spesso abituato. E invece no, non può essere vero. Alla lunga, una politica che antepone destini personali e guerre per bande e mai migliora le condizioni del Pese, deve sapere che è condannata non al successo, ma al disastro. Se non è bastato ai partiti tradizionali il 25% di voti andati a Grillo, si illudono a pensare che nuove elezioni a pochi mesi e non avendo risolto nulla possano attenuare la frattura tra condizioni degli italiani e fiducia verso i partiti.
Un’ultima cosa. Certo, Berlusconi fatica molto, da condannato, ad accettare di poter svolgere il ruolo di leader fuori dal Parlamento. Ma ricordi quel che diceva il grande liberale Luigi Einaudi. “Tutte le garanzie di difesa, attacco e replica son richieste quando in gioco è la vita di un uomo,ma quando in gioco è la vita di un Paese, spesso i politici son disadatti”. E infine: “è dubitabile se al buon governo giovino più gli uomini grandi, o quelli semplicemente savi”. Ecco: essere savi, è la scelta responsabile.

24
Ago
2013

C’erano sette deputati e un ambasciatore

Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere la lettera inviata da sette deputati di fede renziana all’Ambasciatore americano, per chiedere un intervento di Obama contro il Monopoli. LeoniBlog è entrato in possesso di altre sollecitazioni inviate da diversi gruppi di Parlamentari di tutti i partiti a diplomatici stranieri, e una al Presidente Napolitano. Ci sentiamo in dovere di condividerle coi lettori. Potrebbero essere vere.

 

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23
Ago
2013

Nessuna guerra dei domini, solo una sana concorrenza

Con il suo ultimo articolo su Repubblica (“La guerra dei domini”, 23 agosto) Carlo Petrini si cimenta nel ruolo che più gli si addice: quello del terrorista. Pur commentando un tema – l’avvento dei domini generici di primo livello – lontano dal suo campo d’elezione, il profeta di Slow Food attinge a piene mani al proprio repertorio retorico. Attacca l’Icann, contestando che la rete, “strumento democratico per eccellenza”, possa sottostare alla gestione di un ente privato – dimenticando che internet è libera, non democratica, e lo è proprio grazie alla (relativa) mancanza di controllo pubblico. Paventa un “accaparramento di parole” che sono “bene comune” – ignorando che le parole sono strumenti pratici e dipendenti dal contesto, non reliquie intangibili. Chiama in causa gli speculatori, il riciclaggio, la contraffazione, le multinazionali, il cibo commodity – impiegando molte parole d’ordine e pochi argomenti per un j’accuse spuntato.

Nel 2012, l’Icann – l’ente che custodisce, per così dire, l’indirizzario di internet – ha dato seguito all’intento di liberalizzare i domini di primo livello, avviando il processo di assegnazione dei nuovi suffissi. Nei prossimi mesi, accanto ai tradizionali .it o .org, compariranno marchi (come .amazon) e parole comuni che identificano ambiti culturali e settori commerciali: per esempio quei .wine e .vin che hanno destato l’attenzione di Petrini. Secondo alcuni osservatori, l’utilizzo dei domini generici di primo livello potrebbe avere conseguenze anti-concorrenziali: la tesi è discutibile, ma non è questo a preoccupare il gastronomo, dal momento che .wine e .vin saranno amministrati secondo una logica aperta, attraverso la vendita dei domini di secondo livello.

Petrini sembra, invece, temere che questi ultimi possano essere acquisiti da chi non abbia interesse alle corrispondenti denominazioni protette: ma solleva così un problema che può essere risolto con gli strumenti del diritto del commercio internazionale e della proprietà intellettuale, non certo addossandolo all’Icann o agli assegnatari. Del resto, non si capisce quali difficoltà peculiari possano derivare dai domini di primo livello: a meno di sostenere che barolo.it – a proposito: è ancora libero! – sia intimamente meno fuorviante di barolo.vin. Insomma, le doglianze del Nostro hanno ben poco a che vedere con il tema specifico dei domini di primo livello e non dovrebbero minare il percorso verso una rete la cui architettura potrà risultare più accessibile per gli utenti, garantendo alle imprese la possibilità di innovare a beneficio dei consumatori. Senza dimenticare che la capacità di sperimentare con i nomi di dominio è solo uno dei molti fattori competitivi nel commercio elettronico; e certo non il più importante.

22
Ago
2013

Venditori di tappeti (persiani) — di Reza Ansari

In Iran si levano voci a favore del libero scambio e della cooperazione con gli Stati Uniti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Atlas Network.

L’elezione del moderato Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran è un chiaro segno che tanto il popolo iraniano quanto l’establishment politico vogliono che le sanzioni economiche occidentali che danneggiano il paese vengano eliminate grazie ad un cambiamento di rotta nella disputa nucleare con l’America. Ora che Rouhani ha assunto la carica, importanti esponenti iraniani stanno promuovendo il tradizionale messaggio che la libertà dei commerci favorisce la pace, oltre che la prosperità.

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21
Ago
2013

Contributi europei, una manna pagata cara

In quale misura i contributi erogati dall’UE diventano oggetto di truffe? Come tutti  i fenomeni illegali non si può contare su molti dati statistici per rispondere a questa domanda. La fonte più affidabile di dati sembra essere l’Office européen de Lutte Anti-Fraude (OLAF), ufficio interno alla Commissione europea e destinato alla scoperta di frodi ai danni del bilancio europeo, sia sul lato delle uscite che delle entrate. Nell’ultima relazione che l’OLAF ha esposto al Consiglio e al Parlamento europei si trovano una serie di numeri interessanti per descrivere il fenomeno delle truffe ai danni dei finanziamenti europei.

L’OLAF riceve segnalazioni su possibili frodi e irregolarità da diverse fonti; nella maggior parte dei casi queste segnalazioni provengono dai soggetti responsabili di gestire quei fondi europei nelle istituzioni o nei Paesi membri. Dopo aver aperto un’inchiesta, l’OLAF prosegue l’indagine  in stretta collaborazione con le autorità nazionali.

Le voci di uscita principali dell’Europa sono rappresentate dalla Politica agricola comune (PAC), che nel 2012 ha assorbito 55,8 miliardi ovvero il 37,9 percento del bilancio europeo (che nel 2012 era pari a 147,2 miliardi), e dalle politiche di coesione, che nel 2012 hanno assorbito 45,1 miliardi ovvero il 30,7 per cento del bilancio europeo.

Secondo la relazione, nel 2012 l’OLAF ha individuato 204 irregolarità da ascriversi a condotte fraudolente ai danni della PAC e 198 ai danni delle politiche di coesione. Nel caso della PAC i Paesi nei quali l’OLAF ha individuato, tra il 2008 e il 2012, un maggior numero di truffe sono stati: Italia (199 truffe), Polonia (171), Bulgaria (128), Romania (95) e Ungheria (89). Nel caso delle Politiche di Coesione invece il numero maggiori di truffe tra il 2008 e il 2012 si è registrato in: Germania (103), Polonia (93), Repubblica Ceca (52), Romania (40) e Italia (34).

Questi numeri in realtà non permettono di arrivare a molte conclusioni. Non è dato sapere in che misura le truffe individuate dall’OLAF rappresentino l’insieme di truffe che vengono effettivamente perpetrate ai danni dell’erario comunitario. Così come non è dato sapere se i Paesi nei quali l’OLAF individua più truffe siano quelli in cui abbia luogo un maggior numero di condotte fraudolente o piuttosto quelli nei quali le truffe vengano denunciate e portate alla luce più facilmente.

Su Wikispesa abbiamo raccontato un caso limite di truffa e spreco ai danni dei finanziamenti europei: la Formazione Professionale in Sicilia. Solo nel periodo 2007-2013, il Fondo Sociale Europeo ha destinato alla territorio siciliano il 50% di un budget pari a 2.084.308.298 euro  finalizzato esclusivamente alla formazione professionale: il restante 50% è stato finanziato in gran parte da Roma (833.723.319 euro) e infine dalla Regione Sicilia (208.430.830 euro). Per avere un termine di paragone, i finanziamenti pubblici effettivamente stanziati dall’ultimo decreto del Fare a sostegno delle PMI di tutta Italia non superano i 200 milioni per il prossimo anno. In rapporto ai finanziamenti per la formazione siciliana sono state scoperte numerose truffe, l’ultima della quali scoperta a fine giugno e che ha portato a 47 persone indagate, 17 arresti e 28 milioni di sequestri. Sono stati portati alla luce anche numerosi intrecci tra parenti e diversi casi di contributi spesi a beneficio di esponenti politici .

Ma l’aspetto più impressionante della vicenda è la distorsione creata dall’arrivo di fondi così generosi. Sull’isola infatti si sono moltiplicate le strutture che offrono i corsi per la formazione professionale: nel 2011 la Sicilia offriva 1.816 strutture ai suoi 5.051.075 abitanti contro le 580 disponibili ai 9.917.714 residenti in Lombardia. Scorrendo nella lista di corsi finanziati dall’UE si legge una offerta di formazione professionale a dir poco esaustiva: si trovano progetti formativi intitolati “Banchetti e ricevimenti”, “Cuore, mente e professionalità”, “I frutti dell’Etna”, “Una carezza per la gioia” fino a “Dal dialetto al teatro dialettale nel gelese”.

Restiamo allora con il dubbio su come quantificare le truffe ai danni dei finanziamenti europei, ma neppure perdiamo fiducia nell’adagio per cui quando ci sono contributi pubblici – laddove cioè venga riconosciuto ad un soggetto politico  il potere di redistribuire soldi altrui – se non ci sono truffe ci saranno sprechi. I contributi europei rappresentano una vera e propria manna per alcuni territori, risorse economiche che arrivano da chissà quale Paese e che sembrano un dono del cielo, in un meccanismo che riduce la percezione del fatto che ogni euro che arriva da un’istituzione politica sia un euro prelevato da un contribuente. Tali contributi possono magari aumentare il consenso degli europei nei confronti dell’intera struttura comunitaria, ma non possono certo aumentarne il benessere economico tout court. In questa valle di lacrime nulla è gratis e gli stessi finanziamenti che hanno arricchito un territorio hanno anche impoverito qualche altro contribuente europeo. Questo discorso vale a maggiore ragione per l’Italia, Paese finanziatore netto della spesa europea: nel 2011 la spesa europea destinata all’Italia era pari a 9,59 miliardi di euro contro un contributo nazionale totale pari a 14,34 miliardi.

21
Ago
2013

Qualche conticino rivelatore dietro il trionfalismo anti-evasori

Agosto, mentre ancora mancano la bellezza di 262 adempimenti tributari per noi poveri contribuenti di qui a fine anno, è tempo di bilanci di metà anno nella diuturna lotta all’evasione fiscale. Ieri, le cifre dalla Guardia di Finanza. Da gennaio di quest’anno a ieri, 4.933 evasori totali stanati, che avrebbero nascosto redditi pari a 17,5 miliardi di euro. Per 1.771 professionisti è già scattata la denuncia, nei casi più gravi, per omessa dichiarazione dei redditi. E su di loro, evasori totali, si sprecano le condanne: ”hanno vissuto alle spalle dei contribuenti onesti, usufruendo di servizi pubblici che non hanno mai contribuito a pagare, intestando spesso beni e patrimoni a prestanome o a società di comodo”, ha detto ieri la Finanza.

Cerchiamo di mettere un po’ d’ordine nel caos che si scatena quando la comprensibile deprecazione prevale sui fatti. Innanzitutto, come capita quasi sempre, ieri gr e tg parlavano di 17,5 miliardi “sottratti al fisco”. No, nemmeno per sogno. Si tratta di redditi stimati dall’apparato tributario, non di stima di imposte evase. Con precisione è impossibile dire su 17,5 miliardi di redditi contestati quanto è l’imposta dovuta, perché le aliquote dipendendo dalle imposte evase e dai redditi delle persone fisiche e giuridiche accertate. Se anche ipotizziamo un 45% pari alla pressione fiscale sul Pil, siamo a 8 miliardi di imposte evase. Comunque una bella cifra, visto che coprirebbe da sola l’abbattimento dell’IMU prima casa insieme alla copertura del mancato aumento del punto di IVA, oppure oltre i due terzi di quanto imprese e autonomi pagando di IMU.

Ma anche di quegli 8 miliardi è corretto fare la tara. Lo Stato ha proceduto attraverso sforzi erculei , negli ultimi anni, per salire da circa il 40% verso il 45% del riscosso reale, rispetto alle imposte messe a ruolo nel contenzioso tributario. Un contenzioso che pure è unilateralmente favorevole allo Stato, senza un giudice terzo, come non avviene in nessun altro paese avanzato. Ergo gli 8 miliardi di imposte evase sui 17,5 sin qui contestati nel 2013 di redditi totalmente non dichiarati diventeranno, entro 3-4 anni, al massimo 3 miliardi e mezzo di riscosso aggiuntivo vero. Possiamo stare certi di una cosa: gli oltre 600 mila controlli fiscali messi in atto da Finanza e diverse Agenzie tributarie statali nel corso del 2012 sono costati assai di più a noi contribuenti dei 3,5 miliardi che – speriamolo – lo Stato incasserà, se tutto va bene, dall’annuncio di ieri.

E se poi guardiamo al procedere negli anni della lotta all’evasione, come stiamo messi? Nel 2012, secondo le cifre ufficiali delle Fiamme Gialle, sono stati scoperti 8.617 evasori totali, che avrebbero occultato redditi al fisco per 22,7 miliardi di euro. A queste cifre si aggiunsero 16,3 miliardi di altri fenomeni evasivi. Siamo dunque sotto media, visto che i 4.933 evasori totali da gennaio ad agosto 2013 sono relativi a quasi 8 mesi. Se anche i dati fossero relativi solo a fine luglio, per essere pari alla media mensile 2012 gli evasori totali identificati nel 2013 avrebbero dovuto essere oltre 6mila. Ricordatevi inoltre che, malgrado le cifre dei controlli e degli accertati siano salite nel 2012 sul 2011, il tetto di recupero da evasione di 12,7 miliardi del 2011 non è stato eguagliato – sia pur di poco – nel 2012, per via della crisi che ha reso più poveri anche gli evasori, per quanta rabbia ciò ci possa provocare.

Un’ultima osservazione. Bisogna far tara anche di un altro luogo comune diffusissimo: quello dell’Italia regina solitaria dell’evasione e dell’economia “in nero”, dannata conseguenza di una devianza antropica connaturata al nostro DNA nazionale, incapace di immedesimarsi nel bene pubblico, e intossicato di Machiavelli e Guicciardini. Qualche giorno fa è stata pubblicata una aggiornata stima comparata del “nero” in Europa, a cura del professor Friedrich Schneider per la grande società di consulenza A.T. Kearney. Ebbene la stima del nero italiano, pari al 21% del Pil, è in realtà di pocho sopra la media europea, perché a batterci, con punte fino al 30% e oltre del Pil, sono i Paesi esteuropei. Ma i nostri 330 miliardi circa di economia “insensibile” al fisco vengono superati, come ammontare, dagli oltre 350 miliardi della virtuosissima Germania. Certo, la percentuale del nero sul Pil tedesco è più bassa della nostra. Ma come imposte evase ci battono, i signori tedeschi. Malgrado abbiano una pressione fiscale di diversi punti inferiore alla nostra, beati loro.

20
Ago
2013

IMU-TARES, il Tesoro vuol fare 5 cose: troppe, alcune contraddittorie, altre sbagliate

Entro pochi giorni dovrebbe sciogliersi il più grande mistero del governo Letta, il suo intervento sull’IMU. Tutti conosciamo la proposta bandiera del Pdl, cioè l’abrogazione totale dell’imposta sulla prima casa, quasi 4 miliardi di euro sui 23,7 riscossi nel 2012. Ma tutti abbiamo capito che Letta e Saccomanni intendono fermarsi ad aver evitato il versamento della prima rata, 2 miliardi e rotti, per intervenire più complessivamente sull’imposizione immobiliare.

Dalle ipotesi emerse dal Tesoro, il rischio di un enorme pasticcio è molto alto. E’ considerata socialmente ingiusta l’abrogazione totale sulla prima casa, perché al 59% andrebbe a vantaggio dei più ricchi. Figuriamoci poi abolire gli 11 miliardi incassati dalle imprese, una metà dai capannoni e l’altra da immobili strumentali di ditte individuali, studi professionali, negozi e laboratori artigiani, una mazzata che ha contribuito a deprimere la crescita.

Il Tesoro vuole incrociare 5 cose diverse. Alzare la deducibilità dell’imposta cioè la franchigia alle famiglie, a seconda dei più bassi redditi (più Isee e quant’altro), e in parte alle imprese, ma non si è ancora capito come. Innestare sull’IMU la TARES sui servizi prevista per il prossimo dicembre, in modo da evitare ogni restituzione IMU con credito d’imposta o detrazione. Alzare la compartecipazione al gettito dei Comuni, ma il Tesoro boccia l’ipotesi di lasciar loro anche metà degli 11 miliardi incassati dalle imprese. L’unica cosa sin qui chiara, la quinta, è che il Tesoro strizza l’occhio ai Comuni sommando IMU e TARES lasciando i sindaci liberi di incassare altri 2 miliardi in più giocando sui servizi offerti ai cittadini.

Il rischio di un pasticcio immondo è elevatissimo. Primo, un’imposta patrimoniale che diventa para-reddituale. Secondo, unire insieme elementi patrimonial-reddituali ai servizi consumati, ma mettendo insieme quelli indivisibili – illuminazione pubblica, marciapiedi e così via – e divisibili, che invece hanno bisogno di tariffe ad hoc , a seconda di quanto davvero ne consumiamo come per l’immondizia, e per incentivare i Comuni a chiudere il ciclo eco-ambientale del trattmento dei rifiuti. Un ircocervo che non avrebbe eguali in nessun paese avanzato,buono a far rompere la testa a tutti. Evitatecelo, per favore. Si fa per dire, naturalmente scommetto sul contrario.