Cinque buone ragioni per cui la Spagna ci ha riagguantato sullo spread
Nel novembre 2011, quando l’Italia giunse a un passo dal baratro e lo spread sui titoli pubblici decennali tedeschi superò quota 580 punti base, il rischio sovrano italiano era prezzato dai mercati assai peggio di quello spagnolo. Poi, nel 2012, l’eurocrisi venne raffreddata complessivamente dalla BCE di Mario Draghi, a gennaio con le aste LTRO e a fine luglio con le OMT, lo scudo che finora non è mai stato utilizzato ma eccome se ha funzionato. Nella discesa generale degli spread, l’Italia riuscì a superare nel ribasso la Spagna, fino a quasi 100 punti base di inferiore rendimento nel decennale.
Ma in questo 2013 siamo tornati indietro. I titoli italiani hanno incassato un nuovo peggioramento di circa 80 punti base, mentre la Spagna ha sostanzialmente tenuto. Ed ecco che da agosto, quando la condanna di Silvio Berlusconi ha iniziato a profilare nuove minacce di crisi ed elezioni in Italia, il rendimento sui titoli pubblici biennali italiani ha cominciato a superare quello dei pari durata spagnoli. In questi giorni, anche sul decennale lo spread italiano si è allineato a quello iberico, intorno a quota 260 punti rispetto al Bund germanico.
Che cosa davvero spiega questo andamento peggiore dell’Italia, se la Spagna ha visto esplodere nella crisi bombe assai peggiori delle nostre, praticamente la sua intera economia fondata su una gigantesca bolla immobiliare – favorita dai bassi d’interesse praticati nei primi otto anni dell’euro- che si è riverberata in un’enorme crisi bancaria, con pressoché un terzo del credito spagnolo in condizioni fallimentari?
Richiamiamo qualche numero. Se guardiamo agli aiuti europei, la Spagna ne ha avuto bisogno più di noi: 100 miliardi per i salvataggi bancari via ESM, e 44 miliardi di titoli pubblici comprati dalla BCE entro fine 2012. L’Italia ha avuto zero euro per le sue banche – nessun fallimento, a parte il caso Mps che vi si avvicina – e 99 miliardi di propri titoli comprati dalla BCE. Noi abbiamo un debito pubblico assai più rilevante, al 130% del Pil, ma quello spagnolo è arrivato al 92% dal 36,3% a cui stava nel 2007, prima della crisi. E ancor oggi la Spagna chiuderà l’anno con un deficit che sfiora il 7% del Pil – con il via libera di Bruxelles a slittare di 2 anni per il rientro sotto quota 3%, rispetto al 2015 – perché ai deficit accumulati per salvare le banche si sono aggiunti quelli per gli enormi sfondamenti delle Regioni autonome, mentre noi siamo appena usciti dalla procedura d’infrazione europea.
Il sistema bancario spagnolo sta ancora a tocchi, le sofferenze lorde – depurate degli asset illiquidi conferiti alla grande bad bank creata con il salvataggi europeo – sono all’11,2% degli impieghi, rispetto al 7,2% italiano, che pure è una cifra elevata e che continua a crescere del 22% su base annua. I prezzi immobiliari spagnoli sono scesi dl 37% dal 2007, con milioni di spagnoli depauperati e sfrattati, una caduta più che tripla rispetto a quella italiana. Se infine consideriamo il PIL, la Spagna ha perso meno dell’Italia nel 2012 – -1,4% – e perderà anche quest’anno meno del nostro 2%, perché già nel secondo trimestre 2013 la caduta spagnola si è fermata al -0,1%, rispetto al -0,2% italiano. Ma la disoccupazione spagnola, rispetto alla nostra che supera di poco un ragguardevole 12%, è quasi al 27%. Anche se da luglio la situazione ha inziato lentamente a migliorare.
Perché dunque il rischio sovrano spagnolo ha riguadagnato tante posizioni su quello italiano? Le ragioni sono essenzialmente cinque.
La prima equivale – al contrario – alla causa della nuova caduta italiana: la Spagna è politicamente assai più stabile. Il premier Mariano Rajoy, moderato-conservatore del PPE, è in carica da dicembre 2011 e terminerà il mandato a fine 2015, reggendo persino agli scandali di finanziamento occulto del suo partito rivelati dall’ex tesoriere. Ha perso tantisismo nei sondaggi, da oltre il 40% a poco più del 25%, ma non per questo i socialisti lo superano, e due altre formazioni sono salite oltre il 12-15%. Pur con tutti questi guai, ai mercati la stabilità di Rajoy piace molto più di un bis di elezioni italiane col Porcellum, che nessuno a ragione crede garantirebbe un governo stabile e riformatore.
La seconda ragione ha a che vedere con le politiche di consolidamento e le riforme applicate dalla Spagna. Anche Madrid ha alzato le tasse sulla casa come le imposte indirette, ma la riforma del mercato del lavoro è stata incisiva, come i tagli al settore pubblico. A inizio d’anno, nel nuovo pacchetto pro-crescita, la Spagna ha fatto scelte opposte a quelle della riforma Fornero: favorire i contratti part time per i dipendenti con meno di 30 anni, con una riduzione del 75% degli oneri sociali per le imprese con più di 250 dipendenti e del 100% per quelle più piccole. Sono stati messi in pagamento 32 miliardi di debito commerciale dovuti dalla PA alle imprese, praticamente l’intero ammontare, come se noi in Italia avessimo pagato 100 miliardi alle aziende entro il 2013. E’ stata introdotta per le piccole imprese e artigiani l’IVA per cassa.
La terza ragione è l’effetto che tutto questo ha avuto su una voce essenziale dello sbilancio estero del paese. Quello della bilancia dei pagamenti: il riequilibrio del deficit cumulato di parte corrente rispetto all’export spagnolo è passato da oltre il 300% alla metà in soli 3 anni, con un export che tira benissimo e che ridurrà nel prossimo quinquennio il rapporto verso quota 50% che è quella attuale dell’Italia.
La quarta ragione ha a che vedere con un altro indicatore “feroce” di competitività, l’andamento del CLUP, il costo del lavoro per unità di prodotto: la Spagna rispetto al 2005 l’ha abbassato del 6%, noi continuiamo in Italia a vederlo aumentare tra il 2 e il 3% annuo.
Infine, quinta ragione, pur con un’economia più piccola della nostra e colpita in profondità, la Spagna gode di un numero di grandi imprese percentualmente maggiore delle nostre. I 15 grandi gruppi spagnoli come fatturato valgono il 35% del Pil e il 70% della capitalizzazione della Boprsa, danno lavoro a 1,7 milioni di spagnoli. Acciona, Acs, Banco Santander, Bbva, El corte ingles, Ferrovial, Grupo Planeta, Iberdrola, Inditex, La Caixa, Mango, Mapfre, Mercadona, Repsol, Telefonica, Zara, sono protagonisti dei mercati globali, in molti settori in posizioni più avanzate delle nostre.
Non è dunque un cattivo scherzo del destino, se i titoli pubblici italiani hanno perso posizioni su quelli spagnoli. Stabilità, riforme, competitività, costo del lavoro, imprese, sono ragioni solide. Classi dirigenti serie, nel nostro Paese, dovrebbero sapere a memoria tutti questi dati. E guardarsi bene, di conseguenza, dal rimettersi a giocare irresponsabilmente la carta di nuove elezioni a pochi mesi dalle precedenti.