Sorpresa, nell’auto a guadagnare più di Usa e Asia è l’Europa. Naturalmente non noi, ma i tedeschi
Se guardiamo al grande salone di Francoforte con l’occhio italiano, probabilmente capiamo poco e ci sentiamo pesci fuor d’acqua. Concept cars come quelle presentate, da Audi Quattro,da Lexus, dai “cinesi” di Volvo con il coupé o la Opel Monza, il trionfo di auto ibride e iperconnesse che dominano negli oltre 70 tra nuovi modelli e restyling presentati al salone, sembrano lontani parsec più che annui luce dalla nostra sconfortante situazione nazionale. Eppure, a guardare la realtà per quella che è e non attraverso il filtro dello sconforto che grava sull’Italia, l’ottimismo e la vitalità respirati a Francofrte sono fondati. Eccome.
Diamo un’occhiata ai numeri, come sempre. E’ vero, le vendite in Europa anche nel 2014 non dovrebbero superare se non di pochissimo quota 12 milioni, rispetto ai 12,6 del 2012, e ai 16 milioni del pre-crisi. Anche gli osservatori più ottimisti, come IHS Automotive., non si spingono, nella ripresa a venire, oltre quota 14,8 milioni di unità vendute, ma nel 2020. Gli ultimi dati congiunturali vedono nei primi 7 mesi del 2013 le vendite in Ue scese di un ulteriore 5% sullo stesso periodo del 2012 e, a parte il boom britannico in corso per la solida ripresa, tutti stanno maluccio: dal -7% tedesco al -10% francese, al -12% dell’Irlanda, al -9% italiano.
Quel che negli ultimi mesi inizia a concretizzarsi è però una diversa velocità di uscita dalla crisi. Mentre in Italia anche agosto su luglio ha registrato un meno 2%, in Spagna e Portogallo il miglioramento è stato del 17%, in Grecia del 13%, in Irlanda addirittura del 163%.
Se esaminiamo i risultati delle case automobilistiche sul mercato europeo, in 7 mesi Volkswagen sta a 935mila unità vendute, Ford a 564mila, Opel 500mila. Poi, a scendere, in fila trovate Renault, Peugeot, Audi, Citroen, BMW e Mercedes prima di arrivare a Fiat, decima con 364mila unità. In testa alla lista nera dei brand che hanno perso di più, ancora una volta Alfa Romeo con il 32% di venduto in meno sul 2012, e dopo Lexus viene terza la Lancia, con- 24%.
Eppure, dopo questo bagno di realismo – anzi di umiltà, per i risultati di Fiat – sono ragionevolmente sicuro che molti di voi resteranno perplessi, nell’apprendere un dato. Io, almeno, l’ho controllato per bene, perché lì per lì mi sembrava eccessivo, viziato evidentemente come sono anch’io dai guai nostrani.
Un recente rapporto di Alix Partner ha rimesso in fila i profitti operativi nel mondo realizzati della case automobilistiche per macroarea di appartenenza, da metà degli anni Novanta ad oggi. Tra il 1995 e il ’99 eravamo ancora nella Golden Age dei grandi gruppi americani, con 71 miliardi di dollari di profitti cumulati rispetto ai 45 miliardi delle case europee, e ai 57 di quelle asiatiche. Tra il 2000 e il 2004 l’America inizia a piantarsi – i suoi profitti dell’auto scendono a 43 miliardi – e l’Asia decolla, toccando quota 133 miliardi. Mentre le case europee salgono anch’esse, ma a 67 miliardi. Nel 2005-09 avviene lo tsunami della crisi, che travolge l’America con 138 miliardi di perdite. Ma, sorpresa, in quegli anni le case europee guadagnano eccome: la bellezza di 99 miliardi di dollari. Mentre quelle asiatiche salgono ancora, a quota 136 miliardi di profitti.
Se poi guardiamo infine agli anni 2010-2012, ultima sorpresa: i produttori europei passano in testa, salgono a 116 miliardi di dollari di utili rispetto ai 100 miliardi dei produttori asiatici, e ai 46 delle case statunitensi, in recupero dopo il grande salvataggio con 80 miliardi di dollari decisi da Obama e messi dal contribuente americano. In altre parole., tra 2010 e 2012 le case europee hanno guadagnato nel mondo più di quanto avessero fatto nell’intero decennio 1995-2004.
Ecco, questi sono i dati finanziari che spiegano la forza, l’ottimismo e il profluvio di novità a tutti i livelli presentati e visti a Francoforte
Ovviamente e purtroppo per noi mentre bene per loro, l’86% dei megaprofitti nel mondo dei costruttori europei si concentra nei tre soli giganti tedeschi: VW, BMW, Mercedes. Tutti gli altri, sono semplicemente in diversi tratti di un percorso di razionalizzazione della produzione e di riposizionamento su segmenti e mercati, di ottimizzazione delle catene finanziarie e distributive. Erano troppo esposti su mercato europeo che si è più contratto, erano in ritardo sul dislocare produzione in Cina e investire nella distribuzione locale, non avevano una copertura di segmenti che dal più alto – dove si guadagnano più margini – garantisse negli anni risorse per investire. La forza nell’auto di tedeschi era e resta quella, triplice. Dovunque nel mondo, completi di gamma e soprattutto forti in quella alta, e mai saltare un ciclo di profitti reinvestiti.
Gli stabilimenti tedeschi sono sono interessati dalla sovraccapacità inutilizzata che continua a essere il problema irrisolto delle altre case europee -. americane comprese, visto che Ford in Europa ha perso 1,8 miliardi di dollari nel 2012 e altrettanti o poco meno me perderà in questo 2013, mentre GM è scesa a un ritmo di mezzo miliardo di perdite annue da 1,4 nel 2012. Solo 42 degli oltre 100 maggiori stabilimenti d’auto europei viaggiano oggi oltre il 45% di capacità utilizzata, mentre bisogna essere almeno oltre il 75% per guadagnare. Se consideriamo i 160 stabilimenti complessivi, 85 di essi sono sotto la quota del break even ,secondo IHS Automotive. Ed erano 74 nello stesso periodo dell’anno scorso, quindi la situazione sta ancora peggiorando. Per il ritardo profondamente radicato in Italia, Francia e altrove, nel comprendere che è meglio consentire alle case automobilistiche di razionalizzare al più presto impianti e processi produttivi, invece di credere che basta tenerli aperti coi sussidi pubblici perché tornino a guadagnare. E’ una sciocchezza, ma la politica e i sindacati credono che sia sciocco tornare a guadagnare più in fretta per investire, distinguendo il sostegno a chi perde lavoro nell’auto – sacrosanto – con la difesa di impianti che vanno semplicemente chiusi.
Nel frattempo, tifiamo ovviamente per il buon esisto dell’ascesa di Fiat in Chrysler. Ma di qui a credere che Alfa Romeo tornerà addirittura oltre quota 300 mila unità vendute entro il 2016, è altro paio di maniche.