7
Ott
2013

Come (non) attrarre gli investimenti stranieri

Due settimane fa, proprio nelle stesse ore in cui Enrico Letta esponeva all’Assemblea Generale dell’ONU il progetto “Destinazione Italia”, l’affare Telefonica-Telecom scatenava le reazioni indignate di gran parte dell’opinione pubblica: una coincidenza temporale degna della miglior satira, che però ha il merito di far tornare in auge il tema dell’investment climate.

Daniel Ikenson, direttore del Center for Trade Policy Studies al CATO Institute, ha scritto di recente un paper (http://object.cato.org/sites/cato.org/files/pubs/pdf/pa735_web_2.pdf) in cui analizza lo stato dell’arte degli investimenti diretti esteri (FDI) negli USA.

Secondo l’autore, il tema è di cruciale importanza: i FDI rappresentano il giudizio del mercato globale sulle istituzioni, le politiche, il capitale umano e le prospettive di un paese.

Il trend negativo che ha contraddistinto i FDI delle maggiori economie occidentali negli ultimi 20 anni può essere spiegato in larga misura con l’emergere di paesi sempre più attraenti per gli investitori; ma una parte di questo declino va certamente attribuita agli errori della politica.

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6
Ott
2013

De Mita non è liberista

Disclaimer: l’autore è nato e vissuto fino alla maggiore età in provincia di Avellino ed ivi ancora formalmente residente. Ogni giudizio espresso può essere fortemente influenzato da questo dato biografico.

La crisi economica è colpa del liberismo. Le tasse aumentano per il liberismo. Il debito pubblico è esploso dopo l’ondata liberista. La disoccupazione (o in alternativa la precarietà) sono prodotte dal predominio del paradigma liberista. Le aziende chiudono e/o vanno all’estero a causa della globalizzazione liberista. La svendita di Alitalia dimostra il fallimento degli animal spirits liberisti. Gli shock economici sono prodotti dal liberismo finanziario.

Qualsiasi problema, dal prezzo del pane alla fame nel mondo, dall’inquinamento alla cattiva conservazione dei siti archeologici, dalla povertà all’effetto serra, dalla crisi del Mezzogiorno alla moria delle vacche è un prodotto del liberismo. La mia impressione è che il termine “liberismo” – o nelle sue varianti “mercato”, “mercatismo”, “neoliberismo” – spesso accompagnato da aggettivi come “selvaggio”, “sfrenato” o “darwiniano”, sia usato come sinonimo di “brutto”, “cattivo”, “cacca”. A prescindere da qualsiasi attinenza con la realtà. Il punto è che spesso non diamo lo stesso significato alle stesse parole, anche se parliamo la stessa lingua. E proprio il termine liberismo mi pare uno di quelli più abusati per significare qualsiasi tipo di evento indecente, ignobile, ingiusto e deplorevole.

Scrivo questo perché per caso mi è capitato tra le mani un libello di Massimo D’Alema – A Mosca l’ultima volta, Enrico Berlinguer e il 1984 – in cui l’ex presidente del consiglio, partendo dagli appunti del diario del suo viaggio a Mosca in occasione della morte del compagno Jurij Andropov, racconta il clima politico italiano di metà anni ’80. Parlando di Ciriaco De Mita, D’Alema scrive: “Il segretario della Dc poco aveva potuto dopo lo shock elettorale e la sconfitta di un tentativo di modernizzazione sui generis. Lo schema di De Mita prevedeva la rottura con le vecchie politiche assistenzialiste [grassetto mio]. Mirava ad un effettivo rinnovamento della Dc, cercando di declinare in salsa italiana quell’opzione liberale e liberista che altrove sembrava in grado di guidare un nuovo ciclo economico e sociale”.

Ecco, va bene tutto, ma deve pur esserci un limite. Quando farete la Norimberga del libero mercato, condannate il liberismo per aver scatenato le guerre nel mondo, il terrorismo, terremoti e cataclismi, per aver causato l’estinzione dei panda e degli orsi polari, per aver prodotto il lavoro minorile, lo sfruttamento e il femminicidio. Ma per il demitismo no. De Mita non è liberista.

5
Ott
2013

I limiti della spending review

E’ istituita presso il Ministero del Tesoro una Commissione tecnica per la spesa pubblica. La Commissione opera, sulla base delle direttive del CIPE, con il compito di:

a) compiere studi ed effettuare analisi sui metodi di impostazione del bilancio pluriennale programmatico e sulla struttura della spesa  per i programmi e i progetti (…); Read More

5
Ott
2013

Alba Dorata: l’anima nera della Grecia moderna — di Athanasios Tsiouras

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Atlas Network.

Il 18 settembre, la popolazione greca apprendeva con stupore che un rapper di sinistra era stato assassinato e che un membro di Alba Dorata – il partito neonazista che un tempo rappresentava solo una frangia estremista, ma che ormai si trova al terzo posto nei sondaggi d’opinione – aveva confessato l’omicidio. Qualche giorno più tardi, tra il clamore generale che ne è seguito, il ministro degli interni trasmetteva al procuratore generale 32 casi penali connessi con Alba Dorata con lo scopo di determinare se il partito fosse un’organizzazione criminale. Il weekend successivo, 28 e 29 settembre, il leader di Alba Dorata Nikolaos Michaloliakos, altri quattro deputati e più di 20 membri del partito venivano arrestati con l’accusa di associazione a delinquere. La percentuale di Alba Dorata nei sondaggi crollava quasi istantaneamente di un terzo.

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5
Ott
2013

Oro: quello che si deve sapere — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Come il fantasma dell’Amleto, l’oro ritorna sulla scena monetaria per svelare cosa ci riserva l’avvenire. Da qualche anno una corrente d’oro fluisce da Occidente a Oriente. La Cina ne sta accumulando tante tonnellate che presto diventerà il maggiore detentore di riserve. Se si considera che l’oro viene acquistato regolarmente anche dall’India, Russia e Turchia, oggi il continente asiatico, ad esclusione del Giappone, rappresenta il 75% della domanda mondiale. Il fatto che metà del mondo lo stia rastrellandolo e che il paese più popolato ne incentivi l’acquisto fra i civili è forse un evento che si può ignorare? Le implicazioni geopolitiche sono incalcolabili. Perché questo appetito per il metallo giallo? Read More

3
Ott
2013

La crisi e l’impossibilità del keynesiano liberale

Ritorno sul tema della crisi, e delle politiche per uscirne, a breve distanza da un precedente post (“Sono i 70 mld. di Pil in meno che fanno sforare i conti pubblici”) che ha suscitato un certo interesse ed anche interpretazioni discordanti. In esso, in grande sintesi, criticavo gli esiti del rigore fiscale applicato in Italia nell’ultimo triennio: una manovra di finanza pubblica da oltre 80 mld. e 5 punti di Pil, quella realizzata in tre ondate nella seconda metà del 2011, avrebbe dovuto sostanzialmente azzerare il disavanzo in rapporto al Pil mettendo in sicurezza i conti pubblici. Read More

1
Ott
2013

In (Destinazione) Italia la cultura è un’impresa.

Il patrimonio culturale italiano è valore riconosciuto, nonché elemento di attrattività indiscusso e, dati i tempi, che su tali profili si sia tutti concordi è già di per sé un successo. Invece, possono avanzarsi dubbi in ordine alle modalità in cui “Destinazione Italia” si propone di far leva su detto patrimonio per richiamare investimenti esteri idonei ad apportare risorse utili ai fini della crescita economica e occupazionale del Paese.

 

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30
Set
2013

Sui mercati il bastone punirà la follia. Ma serve più di un governicchio coi transfughi. Modesta proposta che forse resterà fantasia.

In poche ore, ieri, a Silvio Berlusconi e alla sua cerchia ristretta di consiglieri all’arma bianca è apparso chiaro cioò che forse avevano sottovalutato, nel reciproco darsi coraggio per aprire questa illogicissima crisi. E’ bastata una rapida sfogliata alla stampa internazionale, ieri mattina, perché la cerchia del ri-fondatore di Foza Italia scoprisse quale cifra di comprensione internazionale fosse destinata al diktat di ritirare i ministri Pdl dal governo Letta: ze-ro!
Dal Financial Times allo Spiegel a New York Times, i commenti erano unanimi: l’Italia politica è pazza, s’inventa un’altra crisi, che durerà mesi prima di un voto comunque destinato con l’attuale legge elettorale a non risolver nulla, proprio al primo appuntamento con le leggi di stabilità nazionali da sottoporre all’esame preventivo di Bruxelles.
Ecco perché, prima ancora che Enrico Letta salisse al Quirinale per concordare calendario e iniziative della crisi, Berlusconi già provava a correggere il tiro. Nessun passo indietro su crisi ed elezioni presto, diceva una sua nota, ma certo che Pdl voterebbe a favore di un decreto che abrogasse l’IVA senza alzar altre tasse, e di una legge di stabilita’ con il taglio al cuneo fiscale da tanto tempo atteso dalle imprese.
E’ stato un piccolo ma insieme rilevante segnale, di come forse gioverebbe a Berlusconi il contatto con ministri e dirigenti Pdl con qualche esperienza di mercati, invece che di tecniche e sostanze esplosive. La riapertura dei mercati finanziari, stamane, è ovviamenteuna rumba. Com’era purtroppo da attendersi, il differenziale italiano sui titoli pubblici decennali tedeschi si lascia alle spalle quello dei bonos spagnoli che già nelle settimane ultime avevamo agganciato, bruciando i 100 punti quasi di vantaggio accumulati grazie al governo Monti e all’avvio del governo Letta. Ed è da mettere in conto un prossimo abbassamento del giudizio sulla solvibilità pubblica italiana da parte delle agenzie di rating, il che significa altri interessi in più da pagare nelle prossime aste pubbliche (ammontano a circa una quarantina di miliardi di euro, le emissioni previste dal Tesoro entro fine anno).
Dopodiché l’effetto a catena non si ferma al settore pubblico. Perché un downgrading sovrano comporta a catena un abbassamento del rating per le banche italiane quotate, che hanno 400 miliardi di titoli pubblici in pancia. Con metà degli istituti di credito quotati attualmente a uno o due gradini dal perdere il giudizio di investment grade, significherebbe per loro ulteriori aumenti di costo della provvista di liquidità, e per imprese e famiglie una ulteriore restrizione di credito, oltre a quella già massiccia in corso.
Se pensiamo poi alle vicende in corso nei grandi gruppi italiani, incertezze e caos aumenterebbero – non bastasse la pulsione statalista avvampata in quest’ultima settimana – per il cambio di controllo ormai avviato a Telecom Italia, e in corso di discussione in Alitalia. Sarebbe ancor più esposta la terza banca italiana, MPS, chiamata da Bruxelles a restituire prima i Monti bonds, a rafforzare ulterormente il capitale, e a tagliare sportelli e compensi dei manager. Le controllate di Ansaldo, Bredia, Energia e Sts, perderebbero ancora una volta il treno della cessione annunciata da un anno e mezzo ai mercati: avete sicuramente visto infatti come ieri sera Enrico Letta abbia indicato per la prima volta la soluzione Fintecna-Cdp, accontentandop sindacati e Pd.
Se torniamo alla finanza pubblica, non solo l’aumento dell’IVA al 22% da domani, martedì, non è più rinviabile, ma la copertura dell’abrogazione della seconda rata dell’IMU prima casa è da considerare assai incerta, rispetto alle emergenze rappresentate dalla nuova rata di copertura entro fine anno degli ammortizzatori sociali ed esodati.
Quand’anche si scalasse in questo modo – traumatico, visto che su IVA e IMU la polemica del PDL salirebbe alle stelle – entro la soglia dei 10 miliardi la necessità di coperture sin qui previste intorno ai 15-16 miliardi per le misure urgenti entro fine anno e per la legge di stablità, la conclusione da trarne dovrebbe essere quella di sperare assolutamente in un governo di scopo, invece di elezioni subito. Un governo con voti raccolti in Parlamento, al solo doppo fine di modificare la legge elettorale, e di varare la legge di stabilità entro i parametri europei, senza sfidare l’avvento della troika commissariale -Ue, Bce e Fondo Monetario – la cui morsa sin qui l’Italia era riuscita ad evitare. E che a me personalmente inizia a sembrare quasi preferibile all’incapacità italiana di avviare riforme serie, viosto che aismao a due anni esatti dalla’arcifamosa lettera della BCE che travolse Tremonti-Berlusconi.
In ogni caso, prima delle urne, la legge di stabilità dovrebbe essere considerata una priorità essenziale per chiunque abbia a cuore l’Italia. Non si tratta infatti meramente di varare per il 2014 una finanziaria che ci faccia restare sotto il 3% di deficit, tanto per tener buona l’Europa. Occorre invece almeno un piccolo ma chiaro passo per invertire il segno della politica sin qui seguita. Ieri il professor Ugo Arrigo sul blog dell’Istituto Bruno Leoni ha rifatto i conti dell’ultimo biennio, dimostrando come lo sfondamento del deficit pubblico si deve al mix tutto-tasse sin qui seguito. Anche di fronte a una spesa primaria che scende – sia pur di un soffio- a quota 724 miliardi nel 2013, le entrate totali si fermano a 759 miliardi invece degli 806 previsti, e i 47 miliardi che mancano dipendono dai 70 miliardi di PIL andati in fumo nella recessione, con il 4,1% di crescita perduta tra 2012 e 2013
E’ per questo che servono tagli veri, a copertura di 8, 10 o meglio ancora 12 miliardi di meno IRAP e più detrazioni all’IRPEF dei redditi più bassi da lavoro. Una priorità che dovrebbe lasciare indietro ogni altra considerazione, di decadenza, leadership e aleatorie vittorie alle urne. Se solo prevalesse un minimo di ragionevolezza, invece di farci considerare dei paria agli occhi del mondo.
Un’ultima considerazione, questa volta tutta politica e da puro osservatore. L’occasione per la nascita di una forza liberaldemocratica non berlusconiana c’è tutta, questa volta. Non è più una rottura personale, come quella del 2010 tra Fini e Berlusconi. E’ sulla pretesa di esser sopra le leggi e sull’estremismo della cerchia a cui berlusconi dà retta, la rottura. un estremismo che taglia fuori Gianni Letta come l’intera cerchia delle ragionanti figure storiche alla testa delle aziende del Cavaliere, da Confalonieri e Doris. Tutte personalità che a Berlusconi hanno detto di evitare show down come quello in corso. Per evitare la nascita di un governicchio compra-transfughi al Senato, spetterebbe a Monti una scelta rapida: aprire le porte a tutti coloro che non si riconoscono più nella linea Berlusconi, mettersi alle spalle polemiche e rigidità personali, e negoziare con Pd e Quirinale un governo politico basato su legge di stabilità con intervento di svolta sul cuneo fiscale, riforma elettorale, e intestazione dei referendum radicali sulla giustizia. Certo, Berlusconi e i suoi sparerebbero a palla incatenate. Ma senza regalar troppo tempo al rodeo ammazza-dissidenti che inevitabilmente si scatenerebbe, si aprirebbe una partita per una forza post-berlusconiana capace di sfidare davvero il condannato nel suo campo. Fantasie, forse. Ma vent’anni dovrebbero pur aver insegnato qualcosa.

30
Set
2013

“Europa: sovranità dimezzata”, di Antonio Pilati

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Giacomo Lev Mannheimer.

Scovare il “sick man of Europe” è, da 5 anni, un obiettivo che – più o meno dichiaratamente – tormenta la classe politica del vecchio continente, persa nell’affannosa ricerca di un capro espiatorio a cui addebitare la profonda crisi politico-economica che l’ha colpito.
Questa ricerca, e più in generale l’atteggiamento dei Paesi membri dell’UE nei confronti delle enormi difficoltà che hanno dovuto affrontare in questi ultimi anni, è emblematica sotto due aspetti.
Il primo è, per così dire, sociologico: si tratta infatti di un atteggiamento che riflette perfettamente il comportamento medio di gruppi sociali non coesi e sfiduciati, così impegnati dall’addebitarsi colpe e responsabilità da rinunciare a collaborare per uscirne. Una sorta di antropomorfismo, questo, che ci ricorda ancora una volta come dietro agli oscuri meccanismi della politica ci siano pur sempre esseri umani, nel bene e nel male. Read More