I sei punti critici della nuova imposta immobiliare, che da 20 bn può arrivare a 30 di gettito
La legge di stabilità è solo all’inizio del suo esame parlamentare. Ma a otto giorni dal suo varo abbiamo finalmente testi, e si è fatta così giustizia di alcuni proclami troppo roboanti, al suo varo mentre per altro il Consiglio dei ministri ancora era ben lungi dall’esser concluso. Sappiamo per esempio che il saldo della manovra per il 2014 vede la spesa pubblica aumentare di 2,6 miliardi, e che sul fronte fiscale la somma degli sgravi fiscali previsti e dei numerosi aggravi contestualmente disposti smentisce l’annuncio “niente più tasse”, visto che lo Stato incassa circa un miliardo di euro in più nel 2014 rispetto al 2013. Sappiamo che sul fronte delle pensioni la mancata indicizzazione vale 3,5 miliardi di euro in meno ai pensionati in un triennio, mentre il contributo di solidarietà sulle maxi rendite vale solo 21 milioni di euro l’anno. E via continuando.
Molte saranno le voci sulle quali il Parlamento cambierà in profondità il testo. Basta vedere le dichiarazioni di Pd e Pdl negli ultimi due giorni. Ma una cosa è sicura. La correzione dovrà per forza riguardare la nuova imposizione immobiliare che ingloba le “vecchie” IMU e Tares sostituendole con la Trise, composta dalla somma di Tasi e Tari. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, il nuovo tributo dovrebbe portare ai Comuni dalle abitazioni principali 3.764 milioni di euro, invece dei 3.331 milioni garantiti dalla vecchia IMU. Sempre in teoria, la nuova imposta non dovrebbe superare il gettito complessivo – compreso di seconde case e immobili strumentali – del 2013, cioè 20 miliardi visto che dai 24 dell’anno precedente andrebbe defalcata la seconda rata 2013 di 4 miliardi (ancora da coprire). Al contrario, stando al dispositivo varato, l’imposizione sulla prima casa sembra proprio poter passare come detto da 3,3 ad almeno 3,7 miliardi. E quella complessiva può sfiorare addirittura i 30 miliardi invece dei 20 previsti nel 2013. E’ ovvio che incertezze di questo genere, per milioni di italiani alle prese con un reddito disponibile a prezzi correnti tornato a quello di 25 anni fa e con rate di mutui per questo sempre più ardue da coprire, esercitino un pesante effetto-sfiducia. Che non si riverbera solo sull’immobiliare, già in crisi verticale di suo e con compravendite nei primi sei mesi scese a 200mila unità dai 400mila precrisi, ma che colpisce anche i consumi generali. Per difendere la casa, se non so quanto pagherò davvero fino a che i Comuni approveranno i bilanci l’anno prossimo, risparmierò anche più del giusto e comprimerò così ulteriormente la domanda interna. E’ veramente bizzarro, come si possa essere concepito un simile pasticcio proprio mentre si dichiara di voler dare fiducia agli italiani.
Vediamo quali sono, gli almeno sei aspetti sui quali i conti non tornano.
Primo: l’aliquota Tasi prima casa. La Tasi, ricordiamolo, è l’imposta sui servizi indivisibili, che ingloba dunque una componente patrimoniale. Il Tesoro ha fatto un conto medio del gettito tenendo per ferma l’aliquota base, dell’1 per mille. Ma in realtà il conto è fatto senza l’oste, perché l’aliquota Tasi può salire fino al 2,5 nello stesso 2014. E per gli anni successivi nulla si dice, aprendo la porta all’incertezza di ulteriori aumenti. A fare la differenza saranno i Comuni, pienamente titolari della decisione sull’aliquota a seconda delle condizioni del proprio conto economico. Inutile dire che, in una situazione di tensione generalizzata delle finanze locali, supporre che a tenersi al minimo dell’aliquota saranno in tanti sindaci non è un esercizio ragionevole, ma di fantascienza. Apparentemente, visto che l’aliquota IMU andava dal 4 per mille base al 6 maggiorabile dai Comuni, il vantaggio dovrebbe essere netto, ma…
Secondo: le detrazioni sulla prima casa. La vecchia Imu prevedeva una detrazione di 200 euro per tutti. In più, anche se la norma scadeva a dicembre 2013, a questa soglia si aggiungevano altri 50 euro per ogni figlio convivente nella prima abitazione e inferiore ai 26 anni di età. Il combinato disposto era tale che oltre 4 milioni di unità immobiliari registrate come “prime case”, un buon 20% dei potenziali soggetti d’imposta, risultavano “sotto la linea” ed erano così completamente esenti dal tributo. Le detrazioni non sono più previste con la nuova TASI. In realtà i 400 milioni di maggior gettito TRISE dalla prima casa, che si deducono dai testi varati dal Tesoro, vengono tutti di qui. Al ministero hanno ragionato che poiché la detrazione sui figli conviventi veniva meno a fine anno, la base impositiva andava reintegrata esattamente come se la detrazione non ci fosse stata. Ma c’era eccome, e una furbizia contabile non può giustificare che che chi non pagava ora pagherà, al contempo dicendogli che non è vero.
Terzo. L’aliquota complessiva. La vecchia aliquota massima IMU sulle altre abitazioni diverse dalla prima casa era fissata nel 10,6 per mille. Le nuove norme prevedono che quello resti come tetto, aggiungendovi però l’aliquota base della nuova Tasi, e così arriviamo all’11,6. Ragioniamo sempre nell’ipotesi realistica delle estese difficoltà finanziarie dei Comuni. Poiché sappiamo dai dati del gettito 2012 che l’aliquota media IMU sulle abitazioni diverse dalla prima casa è stata intorno al 9,3 per mille, fare i conti dell’aggravio possibile nel 2014 è agevole. La Tasi, se ha come tetto l’11,6 per mille della rendita immobiliare, può salire di 2,3 punti rispetto alla vecchia IMU. Cioè del 30% del gettito complessivo precedente. Ed ecco perché, se sommate gli aggravi su tantissime prime case prima esenti dall’IMU, la vasta applicazione possibile della Tasi al 2,5 per mille invece che all’1 per mille (che da solo secondo il Tesoro vale 3,7 miliardi), e l’aumento generalizzato fino a un terzo del prelievo sugli altri immobili, spannometricamente ma non sbagliando arrivate fino a oltre 9 miliardi di gettito potenziale aggiuntivo tra prime case e altre abitazioni (senza prima casa abrogata nel 2013, se si conferma anche l’abrogazione della seconda rata). In altre parole, si potrebbe passare da 20 a quasi 30 miliardi sul totale.
Quarto. Le facoltà dei Comuni. Il governo si difende da questo conto – ripetiamo deducibile dalle norme varate – affermando di aver dato un bonus ai Comuni di un miliardo, per “star sotto” al precedente gettito IMU. Capite bene che 30 miliardi di possibile gettito meno un miliardo fa sempre 29 miliardi rispetto a 20, e la stangata resta. Con un nuovo siluro al mercato immobiliare, sceso nel primo semestre 2013 a 200mila compravendite dalle oltre 400 mila del precrisi. Come è evidente, occorre porre delle “griglie” più penetranti alle facoltà concesse ai Comuni. E’ giusto che la nuova imposta sia pienamente “locale”. Ma nel cambio di passo e con l’acqua alla gola tanto diffusa nelle Autonomie, l’effetto può essere disastroso. In questi giorni, per fare un esempio, Roma e Milano sono ancora alle prese con l’approvazione del bilancio preventivo 2013, e tengono tutte le aliquote del prelievo fiscale al massimo loro possibile. Oltretutto, visti i tempi di approvazione dei bilanci preventivi comunali, che slittano sempre più verso fine anno, significa che quanto davvero si pagherà potremo apprenderlo solo in sede di conguaglio, poco prima dell’ultima rata: tra un anno, appunto.
Quinto. Dalle imprese, ditte individuali e società, nel 2012 venivano 16,7 miliardi di IMU pagato all’aliquota del 7,6 per mille su capannoni a immobili vari e diversi strumentali all’attività di lavoro. Da questa cifra, le deduzioni previste con la Tasi a fini Irpef – per i titolari di ditte individuali – e Ires – per le società, varranno in tutto 274 milioni, secondo la relazione tecnica della legge di stabilità. Stiamo parlando di uno sgravio alle imprese pari a meno di un sessantesimo del gettito totale precedente. In quanto la deducibilità Ires-Irpef del 20% dell’imposta sugli immobili strumentali, prevista dalla stessa legge di stabilità, crea uno sconto medio da 58 euro ogni 100mila di valore catastale, ma la Tasi produce un aggravio che può arrivare ai 100 euro. Ergo ancora una volta gli effetti tendono ad elidersi,e le imprese resteranno a portafoglio assai più vuoto di quanto sperassero all’annuncio della deduzione.
Sesto. L’Irpef sullo “sfitto”. In ogni caso, le deduzioni per le imprese sono collegate al ritorno in tassazione Irpef delle abitazioni sfitte, sia pur promettendo di non prevederlo nella generalità dei casi ma con attenzione a congiunti. Qui la questione è di principio: per molti proprietari tenere sfitte una seconda casa significa da una parte temere i mancati pagamenti di affittuari in difficoltà, dall’altra necessità se si sta tentando di venderla, dovendo scontare i tempi di molto allungatisi su un asfittico mercato immobiliare per la realizzazione del valore del bene. Significa, in altre parole, colpire chi è in difficoltà. Insieme ai titolari prima casa prima esenti, a coloro che hanno seconde abitazioni in Comuni dove l’aliquota era prima lontana da quella massima, mentre oggi magari i Comuni faranno una scelta diversa, e agli imprenditori che avranno solo una modestissima boccata d’ossigeno. Niente male, come bilancio di un’operazione presentata come “epocale”, e concepita invece dal Tesoro come strumento per liberarsi dalle pretese dei Comuni a spese del contribuente e con aliquote crescenti negli anni.