23
Ott
2013

L’ombrello di Maradona: qualche osservazione — di Antonio De Rinaldis

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Antonio De Rinaldis.

Il debito di Diego Armando Maradona con il Fisco italiano – circa 40 milioni di euro – non è affatto estinto. È vero. Si è estinto quello di Alemão, Careca e del Napoli e non quello di Maradona.

Maradona, Careca e Alemão erano tutti e tre dipendenti del Napoli che erano stati citati in giudizio in campo penale e poi in campo tributario per evasione. La vicenda penale ha escluso che si tratti di evasione. La vicenda tributaria ha invece seguito due diversi filoni, il primo riguardante il Napoli, Alemão e Careca e il secondo Maradona. Ecco come è andata.

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23
Ott
2013

Save the date: conferenze ISFIL

La realtà ci offre oggi un panorama talmente concatenato da far apparire lampanti l’arretratezza e l’inadeguatezza delle istituzioni che agiscono sul nostro territorio e nel quadro globale. È nostro dovere come individui volgere lo sguardo al futuro per permettere alle presenti e prossime generazioni di vivere, agire e dirigere un mondo in cui la libertà è il valore indiscusso e fondante.

È questo il motto dell’ISFIL (Italian Students For Individual Liberty), associazione che -prendendo le mosse dall’americana Students For Liberty- promuove e diffonde idee e coordina movimenti studenteschi e universitari di stampo liberale.

L’ISFIL ha organizzato due conferenze che si terranno prossimamente a Roma e a Milano, in cui interverranno, tra gli altri,  Serena Sileoni, Kishore Jayabalan, Carlo Stagnaro e Micheal Severance. Questi i dettagli delle conferenze:

 

ROMA (qui il programma completo)

Quando : Sabato, 26 Ottobre 2013, ore 10h-18h. Seguirà aperitivo.

Dove: Università LUISS Guido Carli – Viale Romania 32, Roma

Sponsor: Acton Institute – Istituto Bruno Leoni – Montalbera S.p.a

Costo d’iscrizione : GRATIS

Dress code : Business casual

Facebook: https://www.facebook.com/events/404859339619079/

Iscrizione:  https://www.eventbrite.com/event/7903608907

 

MILANO

Quando : Mercoledì, 13 Novembre 2013, , ore 10h-18h. Seguirà aperitivo.

Dove: Università Luigi Bocconi, Via Roberto Sarfatti, 25

Sponsor: Acton Institute – Istituto Bruno Leoni – Montalbera S.p.a

Costo d’iscrizione: GRATIS

Dress code: Business casual

Facebook: https://www.facebook.com/events/229445187202717/

Iscrizione: eventbrite.com/event/7903679117

23
Ott
2013

Dal decreto istruzione un contributo alla concorrenza postale?

Il decreto istruzione, attualmente all’esame della Camera, pare destinato a estendere i propri effetti ben oltre l’ordinamento scolastico. In ossequio della consueta caccia al tesoro per le coperture, il provvedimento disponeva dapprima un insaprimento delle imposte ipotecaria, catastale e di registro e un aumento delle aliquote di accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e alcol etilico. Un emendamento introdotto da Giancarlo Galan, relatore in Commissione Cultura, risparmierebbe il primo provvedimento, supererando il secondo tramite un intervento sull’esenzione IVA riconosciuta ai servizi postali rientranti nel servizio universale.

La disciplina comunitaria richiede agli stati membri di applicare tale privilegio alle prestazioni di recapito effettuate dagli operatori del servizio universale nell’ambito di quest’ultimo (direttiva 2006/112/CE, art. 132, co. 1); e la normativa italiana in materia di imposta sul valore aggiunto recepisce il medesimo orientamento (d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, co. 16). Alla luce di tali elementi, potrebbero apparire giustificate le perplessità di chi paventa il rischio di una procedura d’infrazione da Bruxelles.

Tuttavia, la storia non finisce qui. In primo luogo, i paesi dell’Unione godono di una considerevole elasticità nel determinare il perimetro del servizio universale. Inoltre, come ha riconosciuto la Corte di giustizia, e come ha confermato nel marzo scorso – proprio sulla scorta di quel pronunciamento – l’Antitrust, i requisiti per l’esenzione vanno interpretati in modo alquanto restrittivo, escludendone la configurabilità nel caso in cui le condizioni del servizio siano il frutto di contrattazione individuale tra l’operatore del servizio pubblico e l’acquirente,

Su questa linea si situa anche l’emendamento Galan, il quale precisa che esulerebbero dal campo di applicazione dell’IVA unicamente quelle prestazioni fornite a consumatori non professionali alla tariffa massima regolata; rientrerebbero, pertanto, nell’ambito del tributo i soli servizi business. Sembra del tutto azzardato ipotizzare ingerenze comunitarie in risposta a scelte legislative che non solo non collidono con la normativa europea, ma anzi si conformano all’interpretazione sposata dalla CGUE.

Invero, l’emendamento presta il fianco ad alcune critiche: il secondo comma dell’art. 25, con formulazione ambigua e demagogica, vieta all’operatore postale «di traslare l’onere della maggiorazione d’imposta sui prezzi al consumo»; infine, l’inserimento di una simile previsione in un provvedimento dedicato a tutt’altra materia perpetuerebbe il deprecabile e ormai tradizionale ricorso a strategie legislative improvvisate.

Occorre, però, osservare che l’incremento delle accise sugli alcolici sarebbe almeno altrettanto fuori posto; che un’impresa che riesce a scialacquare 75 milioni nell’ennesima operazione di sistema potrà altrettanto agevolmente sopportare un lieve incremento fiscale; che tale inasprimento tributario, infine, contribuirebbe a rafforzare la concorrenza nel mercato postale e forse a promuovere una discussione sul corretto perimetro del servizio universale. Ogni occasione è buona per una piccola iniezione di mercato.

@masstrovato

22
Ott
2013

L’unione bancaria europea, il protezionismo e le solite foglie di fico

Dum Romae (anzi, in questo caso Bruxelles) consulitur
Un commento sull’unione bancaria europea, il nuovo mantra recitato in pompa magna dai numerosi esponenti nostrani del Partito del senno di poi, non potrebbe che esordire così. Che questi anni abbiano fatto emergere tutti i limiti del “protezionismo bancario” non è una novità; che questo sia stato uno dei più grandi fallimenti del progetto europeo, nemmeno (ne ha parlato qualche mese fa con inusitata chiarezza Nicolas Véron, Senior Fellow del Bruegel Institute. Potete leggere il suo intervento qui).

La globalizzazione dei mercati bancari è stata spesso indicata come causa della recente crisi finanziaria da chi le contrappone più trasparenza e più controllo da parte dei singoli Stati sulle attività di erogazione del credito. Le analogie con la crisi del ’29, in questo senso, non mancano, e sembra proprio che la storia non abbia insegnato nulla: il vento protezionista torna a spirare. È il caso di BNP Paribas, che ha fatto rimpatriare capitali per 150 miliardi di euro negli ultimi 2 anni, o di Commerzbank, che rifiuta dichiaratamente i prestiti che non vanno a sostegno di Germania e Polonia. Per non parlare della scalata ad Antonveneta.

Quello che ci si poteva auspicare era una pronta risposta delle istituzioni, ma le stanze dei bottoni di Bruxelles non sono poi tanto diverse da quelle romane. Un mese fa Parlamento Europeo e BCE hanno trovato l’accordo per istituire il Sistema unico di sorveglianza, con cui la BCE acquisirà poteri di supervisione diretti sulle banche ‘sistemiche’ dell’eurozona e indiretti su tutte le altre. Ma l’avvio trionfale nel nuovo sistema bancario europeo si è inceppato poco più tardi, durante l’ultima riunione dell’ECOFIN che doveva stabilire i dettagli del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Quello, cioè, che dovrebbe essere il naturale complemento del sistema di sorveglianza. Secondo il progetto presentato quest’estate dalla Commissione Europea con tale Meccanismo, in caso di crisi bancarie che possano riversare i propri effetti sull’economia reale, la BCE avrebbe il potere di costituire un Comitato unico di risoluzione (composto da rappresentanti della stessa BCE, della Commissione europea e delle autorità nazionali) dotato di ampi poteri per risolverle. I problemi sorti, tuttavia, sono molteplici, e le cose vanno per le lunghe, come ha ammesso poche ore fa anche lo stesso premier Letta. Ed è inevitabile il nervosismo di Mario Draghi, che sa bene come, senza un meccanismo di risoluzione strutturato e un’autorità indipendente forte alla sua guida, l’unione bancaria valga ben poco.

Nel frattempo, dall’altro lato della Manica, David Cameron continua a rafforzare la partnership finanziaria tra Regno Unito e Cina. Londra è diventata il maggiore centro offshore di scambio dello yuan, superando Hong Kong, ha aumentato gli investimenti diretti sul mercato cinese e fatto in modo che la sterlina diventi la quarta valuta (dopo dollaro americano, dollaro australiano e yen giapponese) a poter essere scambiata direttamente con lo yuan a Shanghai. Ma la novità più significativa è l’apertura del governo britannico ai circuiti bancari cinesi, che potranno aprire nella City filiali dirette, senza dover creare enti sussidiari giuridicamente separati, “consentendo così un aumento significativo delle loro attività nel Regno Unito”, come ha spiegato ieri il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne. In questo modo le filiali non saranno più soggette alla sorveglianza del Regno Unito e ai vincoli di trasparenza, capitale e liquidità previsti dalle norme europee, ma potranno operare secondo la normativa cinese.

Come intuibile, le critiche non sono mancate e la mancata sottoposizione delle banche estere alla Vigilanza nazionale non è vista di buon occhio. Il fallimento di Icesave, nel 2008, fu un vero e proprio disastro per i risparmiatori inglesi, che affidarono i propri soldi alla banca islandese proprio in virtù di un accordo analogo a quello stipulato con la Cina. D’altra parte, negare libertà di scelta ai consumatori in nome della tutela del Leviatano è una strategia discutibile. La tutela offerta, infatti, è tutt’altro che garantita (Lehman Brothers era sottoposta alla vigilanza della FED, tanto per dirne una). I vantaggi di un’operazione del genere, invece, sono molti e visibili. E una completa apertura del mercato bancario potrebbe segmentare i rischi tra i diversi operatori, minimizzando i pericoli per il singolo correntista (o, quanto meno, riducendolo al pericolo comunque assunto dalle banche sottoposte alla vigilanza nazionale).

In Italia sono presenti solamente tre filiali -tre- della ICBC, la più grande banca cinese (considerata la banca più affidabile del mondo dall’autorevole rivista The Banker).
Come mai? La risposta è ovvia: siamo vittime del protezionismo bancario. Barclays denuncia da anni le difficoltà di fare banca nel nostro paese. I problemi li conosciamo: burocrazia farraginosa, giustizia lenta e incerta, regolamentazione asfissiante. Se non siamo capaci di risolverli, affidiamoci a chi all’estero lo fa meglio di noi. La (finta) tutela dei risparmiatori è soltanto l’ennesima foglia di fico.

Giacomo Lev Mannheimer

 

 

 

22
Ott
2013

Il ritorno britannico al nucleare: bomba atomica sul mercato elettrico?

Il nucleare parla inglese. Il governo britannico, dopo una lunga negoziazione, ha approvato la realizzazione di due nuovi reattori atomici presso il sito di Hinkley Point C. La centrale verrà costruita da un consorzio franco-cinese guidato da Edf, e godrà di un prezzo minimo garantito (“strike price“) circa doppio rispetto al valore di borsa dell’elettricità. Chi vince è difficile dirlo. Perde sicuramente il mercato.

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22
Ott
2013

Accettare i soprusi non è combattere l’evasione

Leggendo questo pezzo di Luca Telese mi sono indignato

Il pezzo riguarda il gesto dell’ombrello di Maradona in merito all’importo evaso e quindi secondo la brachi(IL)logica italica nel criticarlo verrò immediatamente bollato come difensore degli evasori, poco importa, io me ne frego e rimango tra quegli illusi che la Logica e l’Etica (entro certi limiti) stiano da una parte sola.

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21
Ott
2013

Un occhio alle finanziarie di Spagna, Portogallo e Irlanda. E al 6% di Pil di maggior spesa pubblica italiana rispetto alla Germania

Fino a Natale, la legge di stabilità andrà incontro a tumultuosa navigazione. Cominciando dall’esame preventivo a cui è sottoposto dalla Commissione Europea. E’ il primo anno che scatta la nuova regola europea, per la quale le leggi fondamentali di finanza pubblica sono sottoposte a un filtro comunitario prima ancora dell’approvazione parlamentare (la Francia, tradizionalmente sovranista, ha tirato dritto per la sua strada malgrado il bonus riconosciutogli da Bruxelles di più tempo per rientrare sotto il 3% di deficit,e il Parlamento ha già approvato la finanziaria).

Non è un caso che sabato Bruxelles abbia chiesto a Letta di saperne di più. Perché in Europa ne sanno quanto noi, e in definitiva un testo articolato delle misure praticamente ancora non si è visto. Bisogna accontentarsi di successive descrizioni generali, dei diversi interventi interventi di minor spesa e maggior gettito. Dalla tassazione sugli immobili alle minori detrazioni, in 6 giorni si è letto di ogni.  Mentre aspettiamo di capire meglio e Fassina resta al governo dicendo che insieme al Pd combatterà “il rigore imposto dalla Ue”, il Pdl alza muri contro gli aggravi fiscali che pure nei testi sin qui circolati ci sono eccome, il sindacato proclama il primo scioperino generale di 4 ore, e Squinzi di Confindustria dichiara che se solo gli avessero detto quanto era incasinata la situazione col cavolo che faceva il presidente, è forse utile dare un’occhiata anche in casa d’altri, soprattutto ai membri dell’euroarea che sono malandati come noi. E  che sono stati sottoposti al monitoraggio obbliogato della Trojika. C’è un ampio dibattito, economico e politico, sugli effetti che le politiche di austerità hanno scatenato nelle economie del Sud Europa. Ma è ancora da vedere se non sia stato meglio per i Paesi “obbligati” a manovre dure, alla fin fine, perché il morso del controllo trimestrale ha obbligato le loro classi dirigenti a riforme energiche. Noi abbiamo sperimentato invece soprattutto aggravi fiscali.

Spagna

A Madrid il premier Mariano Rajoy, del partito popolare, è quasi a metà del suo mandato quadriennale. E’ indebolito da scandali sul finanziamento illecito al suo partito, ma spera che in economia il peggio sia alle spalle. Il budget 2014 presentato a fine settembre è il più “leggero” dal 2011, ma la differenza è che da allora i governi, prima socialista e poi di Rajoy, son già dovuti intervenire con quattro manovre straordinarie in corso d’anno oltre alle finanziarie regolari. Avendo la Spagna un bonus biennale per rientrare sotto il 35 di deficit, il budget propone tagli e incrementi di entrate questa volta per soli 8 miliardi, per far scendere il deficit al 5,8% del Pil rispetto al 6,5% e probabilmente un po’ di più a cui dovrebbe chiudere a fine 2013. Ma già dal secondo trimestre dell’anno in corso l’economia spagnola ha ripreso ad andar leggerissimamente meglio, la disoccupazione raggiunto il 26.7% ha cessato di salire e mostra primi segni di decrescita, diversamente da noi, e le previsioni del Pil nel 2014 sono state ritoccate al rialzo, verso più 0,7-0,8%. Per la prima volta è insomma una finanziaria di “manutenzione” dei conti, con una diminuzione prevista soprattutto dai minori interessi sul debito per lo spread molto più basso di quello del 2012 e inizio 2013 (erano 100 punti base più del nostro, prima che l’instabilità italiana ce lo facesse riagganciare nel corso dell’estate). Ma alle spalle ci sono state misure da lacrime e sangue. Tra la finanziarie dell’anno scorso e l’intervento straordinario del marzo 2012, appena vinte le elezioni, Rajoy ha dovuto migliorare i saldi pubblici spagnoli per circa 30 miliardi di euro, le misure più pesanti da quando la Spagna democratica è succeduta al regime di Franco. Se prima di lui il socialista Zapatero aveva alzato l’IVA di 2 punti e tagliato del 5% il salario dei dipendenti pubblici, Rajoy ha alzato l’aliquota più elevata Irpef e ha dovuto tagliare con durezza i fondi alle Regioni autonome in dissesto. Anche in Spagna i contratti pubblici sono bloccati da 5 anni senza indicizzazione, ma le riforme del lavoro sotto Zapatero come Rajoy – a favore anche dei contratti a tempo, a differenza delle nostre, come dagli aggravi fiscali sono state tutelate le piccole imprese a differenza che da noi – hanno di molto abbassato il costo del lavoro per unità di prodotto. Infatti, export e competitività vanno meglio del previsto. Restano tre problemi gravi, oltre la disoccupazione: 700 mila case vuote,il relitto della bolla immobiliare; il dissesto bancario – la Spagna ha usato 42 dei 100 miliardi messi a disposizione dalla Ue – lungi dall’esser risolto;e la riforma delle pensioni da rivedere, visto che il sistema continua a perdere l’1,5% del Pil l’anno e gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni – deliberato da Zapatero – ha troppi anni davanti a sé per riequilibrare i conti. La Spagna aveva una spesa pubblica pari al 46% del Pil nel 2009, a fine 2012 era salita al 47,8%, con entrate pubbliche totali salite solo dal 35% del Pil al 37,1%.

 

Portogallo

Anche il premier portoghese, Pedro Passos Coelho (socialdemocratico, a Lisbona il partito appartiene al centrodestra) è entrato nel terzo anno di mandato, e con la finanziaria appena presentata ha annunciato l’uscita dalla più pesante recessione in 40 anni. Nel secondo trimestre 2013, l’economia portoghese è cresciuta dell’1,1% sullo stesso trimestre 2012. L’Italia ci metterebbe la firma. La finanziaria 2014 presenta un miglioramento del saldo pubblico di circa 4,7 miliardi, rispetto al 6,3% sul Pil a cui dovrebbe chiudere il deficit 2013. Ma sulla finanziaria 2014 pesa ancora la crisi istituzionale apertasi in primavera, quando la Corte costituzionale – facendo sobbalzare la trojka Ue, Bce e Fondo Monetario che monitora il Paese – dichiarò illegittime 4 delle 9 principali misure assunte nella finanziaria 2013, per circa 1,3 miliardi così sfumati di miglioramento del deficit. Il Portogallo negli anni alle nostre spalle ha tra l’altro tagliato, oltre alle indicizzazioni e alle pensioni, 13esime e 14esime, le prime a privati e pubblici dipendenti, le seconde solo ai pubblici, e la Corte su quest’ultimo punto ha detto no. Come ha respinto i tagli ulteriori – era il terzo round, dal 2011 – alle indennità di malattia e a quelle di disoccupazione. Tutte cose impensabili, per l’Italia. Il Capo dello Stato, Cavaco Silva, si vide costretto costretto a chiedere un patto di larghe intese tra il centrodestra e l’opposizione di sinistra socialista, per una maggioranza dell’80% in grado di cambiare la Costituzione e rispondere così ai no della Corte. I socialisti hanno rifiutato. E su Passos Coelho resta così l’impedimento di procedere a drastici tagli dei 600 mila dipendenti pubblici, il 16,5% del totale degli occupati, difesi strenuamente dalla sinistra. Se le tensioni nell’euroarea riprendono, oltre al terzo pacchetto di aiuti alla Grecia potrebbe esserne necessario un secondo anche per Lisbona. La spesa pubblica era pari al 49,8% del Pil nel 2009, arrivò al 51,5% nel 2010, è scesa al 47,4% a fine 2012. Con totale delle entrate pubbliche inchiodato al 40% del Pil, rispetto al 39,6% del 2009.

 

Irlanda

Dublino ha oggi il peggior deficit nell’euroarea,ancora all’8% del Pil. L’Irlanda ha cumulato con la Spagna il peggio: nella crisi è esplosa sia la bolla bancaria sia quella immobiliare. Per questo, il budget 2014 irlandese è ormai l’ottavo consecutivo di austerità. Le sette finanziarie precedenti, tra tagli di spesa brutali e innalzamenti fiscali assai meno tosti dei nostri – l’Irlanda si è opposta ad alzare l’aliquota IRES sulle imprese, al 12,5%, un sogno per le aziende italiane e per di più non esiste l’IRAP – hanno migliorato i saldi pubblici per l’equivalente del 17% del Pil. E’ sicuramente l’esempio di maggior successo in campo europeo, a fronte dei 67,5 miliardi di aiuti ottenuti dalla trojka nel 2010, e infatti l’Irlanda è tornata sui mercati a piazzare titoli e a dicembre il monitoraggio della trojka cessa. E il budget 2014 contiene una manovra pari a soli 2,5 miliardi. L’economia è attesa in crescita del 2% nel 2014, e la disoccupazione dai massimi del 15% nel 1012 è scesa al 13%. Il governo guidato da Enda Kenny del partito Fine Gael (moderato, appartiene alla famiglia dei Popolari europei) voleva abolire il Senato per risparmiare, ma pochi irlandesi son andati alle urne e ha vinto il no. I laburisti, alleati al partito di maggioranza relativa moderato al governo, sono oggi a un terzo dei voti ottenuti nel 2011. Pagano il prezzo di aver difeso le imprese, ma il Paese è al rilancio. Quante cose avremmo da imparare, da Dublino.  La spesa pubblica era il 48% del Pil nel 2009, esplose al 65,5% nell’anno successivo, e già l’anno scorso era stata tagliata al 4,6,2%. Il totale delle entrate pubbliche è rimasto pari al 34,5% del Pil, perché la volontà resta di tagliare la spesa.

 

Ricordo a tutti che a fine 2012 l’Italia aveva una spesa pubblica pari al 50,6% del Pil, ed entrate pubbliche totali pari al 47.8%. La Germania, tanto per capire il gap, aveva una spesa pubblica del 44,7%: 6 punti di pil meno di noi, il che fa 100 miliardi tondi tondi. Anche se levate gli oneri da debito pubblico dovuti al maggior spread italiano su quello tedesco, restano 50 miliardi di maggior spesa italiana. E la Germania non è certo un Paese senza Stato e senza welfare… I contenimenti di spesa energici qui da noi ancora non si vedono neanche col governo Letta, ergo continueremo ad avere pressione fiscale elevatissima. Non lo so proprio se non era meglio la trojika, ognuno pesi questi numeri.

 

 

 

20
Ott
2013

Grounding airlines. Quando gli aerei restano a terra.

Cosa avviene quando un’aviolinea non è più in grado di effettuare i suoi voli, quando il dissesto finanziario è tale che non è più in grado di pagare il carburante e gli aerei restano a terra? Chi ha fiducia nel funzionamento dei meccanismi di mercato è portato a ritenere che se vi sono viaggiatori disponibili a pagare prezzi ragionevoli e vettori capaci di produrre il servizio a costi unitari non superiori a quei prezzi ragionevoli, vi sarà presto al posto del produttore fallito una nuova offerta in grado di soddisfare in maniera più efficiente la domanda. E’ evidente la necessità che il mercato sia libero, senza barriere legali o di altro tipo all’accesso, e che in tal modo sia possibile la concorrenza. Read More

19
Ott
2013

SI TAV = Decrescita (infelice)

E’ stato pubblicato ieri un appello promosso dal senatore del Pd Stefano Esposito e firmato da 30 personalità della comunicazione dell’imprenditoria per sostenere la Torino-Lione.

La premessa da cui trae spunto il documento è del tutto condivisibile: la “cultura del no” è diventata in Italia uno degli ostacoli principali allo sviluppo, alla crescita economica ed alla modernizzazione.

Ma è completamente fuori bersaglio il caso assunto come esemplificazione della tesi generale. Read More