28
Nov
2013

Imu prima casa 2013, o Letta rimedia o perde la faccia

La vicenda della tassazione sulla prima casa nel 2013 rischia di finire in una beffa atroce. Per diversi milioni di italiani, almeno 6, a Napoli come a Milano, a Verona come a Reggio Calabria, si pagherà per l’anno in corso una parte di quel che innumerevoli volte è stato detto che non si sarebbe pagato. Non pochi, e i più poveri, pagheranno più che nel 2012. Se il governo non smentisce subito e se non trova immediatamente la relativa copertura, la presa per i fondelli alle famiglie coinciderà con la più grave perdita di credibilità dell’esecutivo dacché ha giurato.

Cerchiamo di capire. E’ da fine aprile, che il governo Letta si confronta con l’annullamento dell’IMU. A maggio, viene congelata e fatta slittare la prima rata dovuta dai proprietari. Avverrà per due volte. Dopo aver garantito ad agosto che sarebbe stata cassato ogni prelievo sulla prima casa, ma aver coperto solo finanziariamente la prima rata il cui versamento era stato prorogato, l’annullamento della seconda rata veniva di volta in volta ribadito a parole – e tra qualche dissenso, nel governo come nella maggioranza – ma mai formalmente deciso. Mancavano le coperture. E il governo si teneva aperta la posta, sperando così di premere sul Pdl. Partiva intanto una complessa serie di successive proposte sulla nuova tassazione generale immobiliare per il 2014, comprendendo la ex IMU trasformata, sulle seconde case e fabbricati d’impresa, e la ex TARES sui servizi divisibili e indivisibili gravanti sugli immobili. Lasciamo perdere le mille sigle susseguitesi, da Trise a Tasi fino a IUC. Una prima stesura, all’atto del varo della legge di stabilità, smentendo una prima volta la promessa del governo, era congegnata però in modo da rialzare il prelievo complessivo. Una seconda stesura, mentre l’esame della legge di stabilità di Senato era ormai avanzato, ribadiva a voce la settimana scorsa il totale annullamento dell’IMU sulle prime case per il 2013, e proponeva norme con un limite più basso alla tassazione complessiva nel 2014.

Ma restava aperto il problema delle coperture sulla seconda rata IMU prima casa nel 2013, dovuta dai proprietari il 16 dicembre – scadenza che con una decisione formale del governo sin qui non è mai stata annullata né posticipata. Il governo ha disposto questa copertura solo l’altroieri. Ed ecco la fregatura.

Il governo, come non ha annullato formalmente la scadenza del 16 dicembre della seconda rata sull’IMU prima casa, non ha mai nemmeno assunto la decisione formale di comunicare ai Comuni che non potevano, nel frattempo, alzare oltre il 4 per mille l’IMU per il 2013. Come invece era loro facoltà disporre, sino al 6 per mille. Il governo doveva farlo a maggio, allorché congelò la prima rata. Ma non avendo le idee chiare, se il governo l’avesse fatto si sarebbe trovato subito sul tavolo l’immediata richiesta dei Comuni di aumentare, per il corrispettivo negato, i trasferimenti da Roma. Altre risorse da recuperare, per il Tesoro.

I Comuni in questo avrebbero avuto ragione. Perché il governo ha proceduto alla definizione formale dei tagli ai Comuni sui trasferimenti 2013 solo a fine ottobre. Per questo è stato prorogato fino al 30 novembre il termine per i bilanci preventivi 2013 dei Comuni. Si commenta da sola, una finanza pubblica che per i suoi ritardi e le sue incertezze politiche fa chiudere i bilanci preventivi a tre settimane dalla fine d’anno. Ma non sono i Comuni ad averlo deciso, è il governo. Non sono i Comuni ad aver violato la legge, disponendo nel frattempo, per far tornare i conti, aumenti di addizionali nei limiti delle norme vigenti: è stato il governo, a non inibire tale facoltà. Di conseguenza, i Comuni continuano ad aver tempo fino al 30 sera di novembre per ritoccare l’aliquota Imu prima casa fino al 6 per mille, e fino al 9 dicembre per comunicarlo al Tesoro. Cioè solo 5 giorni prima di quando i cittadini dovrebbero poi pagare.

Solo che il governo, nel suo emendamento depositato al Senato prima del voto sulla legge di stabilità, ha scritto che le coperture per la seconda rata IMU prima casa, e dunque i trasferimenti ai Comuni per le mancate risorse, ci sono solo per l’aliquota standard al 4 per mille, pari a 2,15 miliardi. Iutti i Comuni in cui è stato o sarà intanto disposto – legittimamente ripetiamo – l’aumento oltre il 4 e fino al 6 per mille, lo Stato non rimborserà l’addizionale. Ergo i proprietari dovranno pagare la quota non coperta. Al massimo, lo Stato è disposto a farli pagare il 16 gennaio, invece del 16 dicembre.

Il governo si difende sostenendo che l’esenzione totale della seconda rata dell’IMU agricola l’avrebbe in parte evitata, ma non avendo potuto scontentare il ministro in carica alfaniano ecco che non è possibile accontentare tutti. Già non è detto che reggano le fantasiose coperture trovate accrescendo per un anno l’aliquota IRES alle banche dal 27,5% al 36%, accrescendo gli acconti IRES e IRAP al 102,5% alle imprese, e al 100% sul risparmio gestito… altri tre veri orrori, va detto. In parte ricompensato soprattutto ad alcune banche come Intesa e Unicredit con quellì’altra inusitata trovata della rivalutazione delle loro quote in Bankitalia, cedibili oltre il tetto del 5% per miliardi…cose da matti.

Ma la difesa del governo testimonia solo della sua indecisione su scelte coerenti. Poiché i Comuni in cui l’aliquota decisa sopra il 4 per mille sono a oggi più di 600 (tenendo conto delle approvazioni in corso in extremis come a Roma, potrebbero aumentare di un altro centinaio), ecco che gli italiani colpiti sarebbero fino a 6 milioni. Per molti di loro, il paradosso è che innanzitutto i meno abbienti pagherebbero nel 2013 per l’addizionale più di quanto avessero pagato in totale sulla prima casa nel 2012, visto che allora si applicavano le soglie di 200 euro di detrazione più quella di 50 euro per figlio a carico, mentre oggi la differenza decisa dai Comuni oltre il 4 per mille è al lordo, senza detrazioni di sorta. Dopo aver sentito dire dal governo per 7 mesi che non si doveva nulla, dover mettere mano al portafoglio tra i 40 euro in media a Napoli e fino a 100 a Milano sulla prima casa sarebbe un esito intollerabile.

E’ ovvio che Anci e Comuni siano insorti, attaccando duramente il governo. Che si fa il conto siano i sindaci, a rispondere davanti ai cittadini dell’indecoroso gioco delle tre carte. Ma sarà bene che il governo rimedi. Per favore, non con un’altra tassa. Se a fine novembre non trova più 500 milioni di tagli di spesa 2013 per far tornare i conti, si deve assumere la responsabilità dell’errore gravissimo, senza pretendere di addossarlo a cittadini e Comuni.

28
Nov
2013

Siamo tutti liberisti. Soprattutto loro

Ryanair sbarca a Fiumicino. Che dovrebbe voler dire più voli e più concorrenza sui prezzi. Che in Italia vuol dire spavento generale. Siamo tutti liberisti.

E, per tutti, Assaereo :«L’avvio dei nuovi collegamenti annunciati da Ryanair a Fiumicino è un fatto eccezionalmente grave che produrrà conseguenze pesantissime su tutti gli operatori e del quale se ne assumeranno tutta la responsabilità, anche nei confronti di migliaia di lavoratori, coloro che l’hanno resa possibile”.

L’incertezza grammaticale quasi supera quella politica. Quanto a quest’ultima, si segnala all’ignaro che Assaereo non è guidata da Landini e non è parte della FIOM.

Assaereo è affiliata a Confindustria.

28
Nov
2013

L’Unione che non c’è — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Lo statista francese di origine tedesca Robert Schumann (1886–1963), aveva un sogno: realizzare l’Unione Europea. Alla fine della seconda guerra mondiale propose la formazione di una comunità del carbone e dell’acciaio tra i due vecchi antagonisti, Francia e Germania con lo scopo di riconciliarli definitivamente. L’idea di sfruttare l’interesse comune per la produzione di due materie prime essenziali allo sviluppo economico era efficace perché sopprimeva le barriere doganali, poneva i due paesi su un piano di parità e, europeizzando irrevocabilmente i tedeschi scongiurava nuovi conflitti. Poiché l’iniziativa, che ebbe l’approvazione degli Stati Uniti, prevedeva l’adesione degli altri paesi europei dava, specialmente al’Italia l’occasione di ristabilire le proprie credenziali compromesse dal ruolo avuto nel conflitto mondiale. Il Trattato di Parigi del 1951, sancendo la CECA, l’autorità sopranazionale del carbone e acciaio, fu il primo passo verso la Comunità Europea diventata poi Unione.

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27
Nov
2013

Perché conviene a tutti dividere Alitalia in due

Nel breve tempo intercorso tra la prima scadenza per l’adesione all’aumento di capitale di Alitalia e quella prorogata, che è alla mezzanotte di oggi, il panorama del trasporto aereo italiano è profondamente mutato per effetto delle scelte di offerta di due importanti vettori low cost, la spagnola Vueling e la più nota Ryanair. Vueling, che fa parte di Iag, il gruppo nato dall’aggregazione di Iberia con British Airways, accresce la sua presenza a Fiumicino collocandovi otto nuovi A320 e moltiplica per tre la sua offerta attuale, affiancando per la prima volta alle abituali rotte europee anche sette rotte interne al nostro paese. Read More

22
Nov
2013

Carlo taglia ed Enrico dismette? Davvero davvero? Vediamo..

Ieri è stata una giornata semi-campale, per la politica economica del governo. Sul fronte negativo, lo slittamento ulteriore delle coperture sulla seconda rata IMU in Consiglio dei ministri. Nonché la giusta mazzata venuta dal garante della privacy al redditometro come da 2 anni lo concepiva l’Agenzia delle Entrate: non si dovranno usare medie standard Istat per i consumi familiari, né “fitti figurativi”, né alcun altro tipo di elemento presuntivo. Quando negli ultimi due anni lo dicevamo, che il redditometro veniva concepito come uno studio di settore per famiglie del tutto inaccettabile, i vertici del fisco pubblico se la ridevano. Ora il garante privacy fa ciò che non ha mai saputo fare il parlamento: tutelare i contribuenti. Ma a loro cioè a noi, toccherà pagare i software preparativi elaborati dal fisco, e che ora sono da buttare via per riscriverli…

Sul fronte positivo, invece, le interviste del commissario alla spending review Carlo Cottarelli e la conferenza stampa del premier Letta sulle privatizzazioni. Nel pomeriggio, Letta ha aggiunto che il Consiglio dei ministri era andato per le lunghe proprio per dare più munizioni a Saccomanni, all’Eurogruppo di oggi che parla di conti pubblici e dei rabbuffi venuti da Bruxelles anche alla nostra legge di stabilità. E, in effetti, i tagli di spesa e le dismissioni pubbliche sono il più di queste munizioni aggiuntive. Cerchiamo allora di capire. Perché, obbligatoriamente dopo quel che si è visto in questi anni, prima di credere a Cottarelli che taglia davvero e a Letta che dismette sul serio, prudenza è d’obbligo.

Partiamo dai tagli di spesa. L’osservazione da cui partire è che il governo doveva muoversi prima, appena nato, dopo gli ostacoli a cui era andato incontro l’operato di Piero Giarda prima e di Enrico Bondi poi. E ha ragione il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che ieri ha preannunciato al premier una lettera formale a nome di tutti i suoi associati, “inquieti” ha detto, perché su 800 miliardi di spesa pubblica sarebbe giusto aspettarsi una riduzione del 3, del 4 o del 5%, visto che migliaia di imprese in questi anni di dura crisi hanno dovuto fare efficienza per multipli di queste grandezze.

Ma nelle parole e nel programma annunciato da Cottarelli emergono tre punti, fermi e apprezzabili. Il primo è che il commissario ai tagli mostra una grande serietà, nell’approccio al problema. Evita per questo di sparare cifre a caso, non sposa per prudenza neanche le cifre di cui ha più volte parlato con disnvoltura e leggerezza  Saccomanni, che si è spinto a 32 miliardi di minori spese. Cottarelli sembra risolutamente preferire, dopo tante delusioni e annunci a vuoto, che parlino i fatti. E’ meglio così.Visto che la politica fa finta di non conoscere la spesa pubblica e chiama esperti esterni a farlo in sua vece, Cottarelli non vuole ricadere nelle trappole del passato.

Secondo. Cottarelli ha in pochi giorni messo a punto una metodologia che chiama decine e decine di vertici della Pubblica amministrazione ministeriale intorno a tavoli orizzontali e verticali, in ogni comparto della spesa. Anche questo deriva da una lezione amara del passato. I Giarda e i Bondi sono stati visti dalla PA come elementi esterni, con una condiscendenza venata di sospettosa superiorità. La stessa Ragioneria Generale dello Stato, non sembrava estranea a tale atteggiamento. Molto meglio, dunque, dare qualche settimana ai grand commis di Stato perché dicano esplicitamente la loro, su come intervenire al meglio senza tagli lineari ma scegliendo residui accantonati, doppioni e sovrapposizioni, e veri e propri “regali” a interessi costituiti. E’ questo che va fatto, per contenere il più possibile gli effetti recessivi della minor spesa pubblica.

Terzo. Una volta evitati gli annunci della politica e l’estraneità dai vertici della burocrazia, Cottarelli si riserva di fare proprie proposte al governo, in modo che ognuno si assuma le sue responsabilità. Se queste tre premesse verranno davvero mantenute, e i tempi saranno davvero rapidi, forse – ma forse – è davvero la volta buona. Dalle province alle auto blu, gli italiani non ne possono più di assistere a parole senza fatti.

Quanto alle privatizzazioni, sono altrettanto apprezzabili i 10-12 miliardi di incassi come obiettivo annunciato da Letta. Sinora, il governo aveva di fatto reso ancor più pubblica Ansaldo Energia e dato l’ok a Poste per entrare in Alitalia. Cambiare obiettivo è una buona cosa.

Letta ha parlato di cessioni allo studio fino al 60% di Sace e di Grandi stazioni, del 50% di Cdp Reti, del 40% di Enav e Fincantieri. Inoltre, Eni procederà a un buyback cioè a un riacquisto di azioni proprie, che farà salire la quota pubblica fino a circa il 33%, lasciando così un margine di cessione di un pacchetto pari al 3%. La prima cosa da rilevare è che il governo, con tali operazioni, mira a non cedere il controllo pubblico di nessuno di questi soggetti. E’ ovvio che al liberista che qui scrive la cosa non piaccia, ma realisticamente c’è poco da fare: la maggioranza di Letta – a destra come a sinistra – è purtroppo contraria alle cessioni del controllo. E nel mainstream popolare che segue – sia pur molto minoritariamente – i talk show serali fitti di “dagli all’euro”, “basta favori alle cricche”, “servi della Merkel” e via così, non è che gli animal spirits sembrino molto diversi

Secondo: quanto agli effetti, bisogna distinguere. L’ha già ben detto Carlo Stagnaro. Per le già quotate in Borsa, tirar su denaro senza renderle realmente contendibili passerà anche attraverso la costruzione di scatole cinesi, come accadrà per Cdp Reti, proprio quando gli analoghi artifici societari pluridecennali dei grandi privati, per restare al controllo con quote minoritarie, sembrano finalmente cedere il passo. Una vera contraddizione. Diverso è invece per la parziale privatizzazione di soggetti fin qui solo pubblici come Fincantieri, Sace, Grandi Stazioni ed Enav. In questo caso, auspicabilmente con la quotazione, l’ingresso di soci privati porterà a una maggior disciplina economico-finanziaria e a più efficienza. E diventerà meno difficile sfuggire alla necessità di aprire al mercato la piena concorrenza anche dei servizi che quelle società talora offrono.

La terza osservazione è sull’Eni. Il riacquisto di azioni proprie alimentato dal cash flow aziendale potrà far alzare il valore del titolo diminuendo il flottante. Ma solo alla fine si capirà se, tra costo del debito e rendimento del titolo risultanti, l’Eni non avrà trasferito risorse proprie – anche degli azionisti privati, che sono in maggioranza – allo Stato. Peccato, cedendo un 4% senza buy back lo Stato poteva rendere l’Eni una vera grande public company, senza alleggerirla di risorse e dando al titolo un ben diverso impulso verso l’alto.

Quarto: la destinazione dei proventi. Metà ad abbattere il debito pubblico, ha detto Letta. E sin qui ci siamo. L’altra metà a ricapitalizzare Cassa Depositi, come più volte chiesto ance da Bankitalia. E qui viene il sospetto che possa poi servire a far rientrare lo Stato sulla rete di Telecom Italia, o per costituire quel maxi polo tra Ansaldo Breda, Ansaldo Trasporti, Sts e magari Fincantieri, che non avrebbe logica guardando ai mercati mondiali ma che molto piace a manager pubblici e tifosi dello Stato.

Quinto: non si capisce proprio perché escludere dalla lista Poste e Ferrovie. Per entrambe, separazione  e quotazione delle attività di mercato farebbe bene non solo come preliminare all’abbassamento della quotata pubblica, ma aprirebbe un mercato molto compresso e fitto di contraddizioni (vedi la non-licenza bancaria a poste malgrado la sua colossale rete di raccolta, e il contrasto irrisolto tra AV e TPL in Fs)

I rischi sono dunque tanti, profonde ambiguità restano. Ma in ogni caso è un bene che lo Stato riprenda una sua graduale ritirata, pressato dal debito pubblico. E che Letta si sia deciso. Tra spending review e dismissioni, è in gioco il guadagno di un po’ di credibilità aggiuntiva all’Italia. Ce n’è bisogno. Eccome.

22
Nov
2013

Non si rafforza l’Euro indebolendo la Germania — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Napoleone sosteneva che esiste un’unica figura retorica seria: la ripetizione. Le convinzioni si affermano grazie alla ripetizione e finiscono per penetrare nelle menti come verità dimostrate. L’«Europa dei popoli» è stata imposta in questo modo. Con la ripetizione si è ora accreditata l’idea che la Germania rubi posti lavoro all’eurozona. Al coro si sono uniti: il tesoro americano nel suo rapporto semestrale, la commissione europea e infine due famosi economisti, Paul Krugman e Martin Woolf.

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