Ecotaxe, una tassa fine a se stessa
Paese che vai, forconi che trovi. Ha sollevato veementi proteste, in Francia, l’introduzione dell’ecotaxe, il provvedimento – patrocinato da Sarkozy e poi confermato da Hollande – che mira a combattere il problema delle emissioni inquinanti sottoponendo a prelievo i mezzi di stazza superiore alle 3,5 tonnellate che circolano sulla rete stradale e autostradale transalpina. Le proteste hanno avuto un discreto successo, se è vero che il ministro dell’Energia Philippe Martin ha, dapprima, prorogato al gennaio 2014 il debutto del tributo, adducendo ritardi nella predisposizione della piattaforma informatica e nella registrazione degli autotrasportatori interessati; e ha, in seguito, annunciato un’ulteriore sospensione fino al 2015.
Gli oppositori della tassa non si accontentano, rivendicandone la definitiva abrogazione, e hanno qualche buon argomento: si tratta, infatti, di una misura di non banale applicazione, in particolare nei confronti dei soggetti stranieri, dato che richiede l’installazione di un apposito apparecchio; la destinazione del gettito è alquanto fumosa e i benefici ambientali sono tutti da dimostrare; infine, l’incidenza del prelievo pare destinata a imporre un grave pregiudizio soprattutto agli operatori minori. Tuttavia, sarebbe riduttivo caratterizzare l’ostilità all’ecotaxe come un mero interesse di classe.
Al contrario, la popolarità della misura è crollata anche presso il grande pubblico dacché sono emersi maggiori particolari sulle procedure di riscossione. La messa in opera dell’infrastruttura per il pedaggiamento (4.000 terminali e 170 portali su 15.000 chilometri di strade) è stata affidata alla società Ecomouv – controllata al 70% da Autostrade per l’Italia – a fronte di un canone di 18 milioni di euro al mese per gli oltre tredici anni del contratto, così da giungere a un totale di oltre 2,8 miliardi. Il gettito atteso è di 1,14 miliardi l’anno; il costo della riscossione si attesta, pertanto, appena sotto il 20%: una quantificazione senz’altro generosa, ma in linea con le esigenze tecniche del progetto e con l’esperienza di altri paesi europei, come la Germania, in termini di costo per camion e per chilometro. Inoltre, l’Eliseo dovrà cominciare a remunerare la società non appena la rete dei terminali sarà completamente in funzione – il che dovrebbe avvenire nelle prossime settimane – indipendentemente dalla sospensione del tributo; o, in alternativa, recedere dal contratto corrispondendo una penale di circa 800 milioni.
Il governo francese potrebbe riconoscere l’errore di valutazione insito in una tassa che, nella migliore delle ipotesi, comincerà a intascare a sei anni e svariati rinvii dalla sua istituzione, ma preferisce titillare gli elettori con un argomento di sicura presa: quello sciovinista. Secondo il ministro dell’Economia Pierre Moscovici, «è stupefacente che si sia delegata l’esazione di una tassa nazionale a un fornitore di origine estera». Moscovici omette che i partner di Autostrade in questa faccenda sono le francesissime Thales, Sncf, Sfr e Steria; ma, soprattutto, sorvola sul fatto che la commessa sia stata assegnata, a valle di un regolare bando europeo, all’operatore che aveva presentato l’offerta più conveniente.
L’esecutivo cerca un capro espiatorio, ma si è infilato in questo vicolo cieco in perfetta autonomia, pur conoscendo la diffusa ostilità al tributo e le condizioni dell’accordo per la riscossione. Si trova ora nella situazione più grottesca: non solo non incamera il gettito sperato, ma dovrà reperire risorse ulteriori per adempiere ai propri doveri verso Ecomouv: e proprio questo potrebbe, infine, indurlo a recuperare il progetto non appena le acque si saranno calmate. Una volta dissipato il fumo ideologico, la vicenda dell’ecotaxe si rivela per quello che è: la storia di una tassa fine a se stessa.