2
Gen
2014

Il misterioso fascino della “busta arancione” – di Andrea Battista

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Andrea Battista.

Se ne parla da svariati anni. Almeno per i non addetti ai lavori – ma forse non solo – è uno dei tanti misteri del nostro paese.

Ancora pochi giorni fa il ministro Giovannini ricordava i complessi problemi tecnici e legali legati all’invio della c.d. busta arancione ossia – più esplicitamente – dell’estratto conto individuale relativo alla previdenza pubblica.

Svariate domande sul tema sono ispirate dal puro buon senso: “come si fa” ad essere contrari ad informare la popolazione su quello che prenderà di pensione? Cosa c’è di così intrigante in questo “mistero”? Come è possibile non riuscire ad inviare in qualche modo questa informazione, dopo diversi anni di buoni tecnici al lavoro?

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31
Dic
2013

Cinque riforme a sforzo zero per il 2014

Ci sono riforme che hanno un rilevante costo economico: per esempio, per ridurre le tasse bisogna prima tagliare la spesa almeno in egual misura. Altre riforme impongono costi politici e sociali: per esempio le liberalizzazioni e privatizzazioni impongono significativi costi di aggiustamento per i dipendenti delle aziende ex monopoliste, e comunque richiedono tempo per produrre effetti. Ci sono, infine, riforme che dipendono solo dalla volontà: qui si propongono cinque riforme, ma sarebbe meglio chiamarle fioretti, per il 2014.

Le riforme “a sforzo zero” non sono vere e proprie riforme: non richiedono di pensare in modo diverso il funzionamento della macchina statale (come la riforma tributaria) né di cambiare leggi o riorganizzare aziende (come le liberalizzazioni). Si tratta, piuttosto, di cambiamenti che investono non tanto l’ “ambiente” politico-normativo, quanto i comportamenti degli attori politici. Sono piccoli cambiamenti di atteggiamento che possono produrre grandi risultati in termini di trasparenza e qualità del dibattito pubblico. La ragione per cui faticano a essere messi in atto va cercata nello “status quo bias“: la resistenza che tutti opponiamo al fare in modo diverso cose che abbiamo sempre fatto allo stesso modo. Se Enrico Letta vuole dare un senso alla stabilità; se Matteo Renzi vuole cambiare verso; se una destra nuova e decente esiste e vuole battere un colpo: queste riforme si possono mettere in atto, da domani. Se lo si vuole, sempre che lo si voglia.

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30
Dic
2013

A sua insaputa, anche la ri-municipalizzazione tedesca insegna che a vincere è il mercato.

Dopo vent’anni di affidamento dei servizi ai privati, in Germania è in corso un’inversione di tendenza che vede tornare le autorità municipali responsabili della gestione di alcuni servizi pubblici, con particolare riferimento alle reti elettrica, del gas e del teleriscaldamento, attualmente nelle mani di alcune multinazionali, tra cui Vattenfall e Eon. Read More

28
Dic
2013

Mps oggi: 4 motivi per restare senza parole

Quel che oggi è avvenuto a Siena mostra purtroppo che l’Italia è assai restia a cambiare sul serio, quando vengono al pettine disastri figli di improprie commistioni tra politica e finanza. E’ amaro dirlo: gli effetti della decisione di ieri non si ripercuoteranno solo su Siena, che dall’esplosione del plurisecolare Monte dei Paschi ne ha già subiti tanti. Colpiscono la credibilità dell’intero sistema bancario italiano, e dei suoi regolatori pubblici, il Tesoro che vigila sulle Fondazioni bancarie, e la Banca d’Italia che vigila sugli istituti di credito.

In seconda convocazione dopo che il giorno prima gli investitori istituzionali e i fondi esteri non si erano presentati non fidandosi delle liti italiane, l’assemblea del Monte dei Paschi di Siena ha respinto la proposta del presidente Profumo, dell’amministratore delegato Viola e della maggioranza del cda della banca: un aumento di capitale di 3 miliardi da realizzare subito, essendo già stato richiesto e contrattato nei dettagli con l’Unione Europea grazie all’assistenza di Tesoro e Bankitalia, ed avendolo già annunciato i manager ai mercati mondiali, chiudendo anche un accordo internazionale con primarie banche per il consorzio di garanzia necessario al buon successo del collocamento.

E’ passata la linea sostenuta dalla Fondazione, che chiede un rinvio di almeno 6 mesi della ricapitalizzazione. Perché altrimenti in tempi rapidi non ha modo di trovare compratori per il 31% residuo della banca che le è restato in mano. Antonella Mansi, presidente della Fondazione, si è battuta come un leone per un rinvio che apparentemente sembra ragionevole. E invece non lo è affatto.

La Fondazione è indebitata con le banche per 339 milioni su un patrimonio residuo di poco superiore ai 500. Non solo non ha i denari per partecipare all’aumento di capitale e difendere il suo 31%. Se non trova acquirenti per un bel po’ delle sue attuali quote non è in grado di rimborsare le banche, e a quel punto le perdite sul patrimonio residuo salirebbero oltre la soglia di legge. In altre parole la fondazione senese finirebbe fallita. Proprio quella tra tutte le fondazioni che più ha sfidato nei decenni la legge istitutiva. Nella condiscendenza generale della politica e dei regolatori. Create all’inizio degli anni 90 per “accompagnare” le ex banche pubbliche al mercato, le fondazioni dovevano per la legge Ciampi dismettere nel tempo il controllo degli istituti di credito e concentrarsi sulla restituzione al sociale e ai territori (a cui dovevano il patrimonio, formatosi nei decenni delle banche pubbliche) di flussi crescenti di un capitale sobriamente impegnato in asset non speculativi.

La fondazione senese – espressione del Comune e Provincia di Siena, e della Regione Toscana, cioè del Pd – è rimasta invece ben oltre il 50% del capitale MPS, fino all’esplosione di quest’ultima. E quando fu necessario un primo aumento di capitale nel 2011, a fronte ormai dell’evidenza del prezzo folle pagato da Mps a fine 2007 per acquisire Banca Antonveneta – 10 miliardi al Santander, che se l’era aggiudicato per 3 in meno pochi mesi prima – pur di non scendere sotto il 50% la Fondazione si indebitò ulteriormente, concentrando una quota elevatissima del proprio patrimonio solo sulla scommessa del controllo dell’istituto, autorizzata allora dal Tesoro (che vigila sulle fondazioni) e dal governo di centrodestra. A riprova che se MPS era del Pd, a tutta la politica andava “l’attenzione” della banca. Oltre a “conti d’attenzione” per esponenti dei partiti, MPS comprava forsennatamente BtP.

L’aumento di capitale 2011 per altro non bastò a reggere patrimonialmente la banca, tanto che fu necessario l’intervento dello Stato con 4 miliardi di Tremonti bonds, su cui grava un interesse elevato, il 9% e in crescita di mezzo punto l’anno, e la clausola che in caso di mancata restituzione possano trasformarsi in capitale della banca, cioè in nazionalizzazione.

Quando, alla fine del 2012, sono esplose le indagini giudiziarie ed è venuto al pettine anche il nodo dei derivati per centinaia di milioni contratti da Mps per alleggerire le perdite e truccare i conti, non scrivendoli in bilancio per anni, la banca ha cambiato guida, con l’avvento di Profumo e Viola. Il sindaco di Siena ad aprile è cambiato anch’esso, dal dalemiano Ceccuzzi al renziano Valentini. E infine è cambiato il vertice della fondazione: il Pd era fuori causa, e ha affidato la guida all’imprenditrice Mansi, vicepresidente nazionale di Confindustria. Sembrava cambiato tutto, e la lezione “basta con la politica nelle banche” finalmente appresa. Invece, macché.

A Profumo e Viola sono toccati mesi durissimi: due successive versioni di piano industriale lacrime e sangue, alla base del recupero di credibilità necessario a poter lanciare un nuovo aumento di capitale. Quando a ottobre tutto era pronto, a fronte della presenza del sostegno pubblico coi Tremonti bonds l’Unione Europea ha chiesto che l’aumento di capitale passasse da 2,5 a 3 miliardi, e un indurimento ulteriore del piano industriale.

La montagna da scalare del recupero di efficienza di una banca disastrata da decenni di controllo politico è tutta in salita: tagli al personale per 8 mila unità, 3.400 in più dei 4.640 già previsti, chiusura di 550 filiali invece delle 400 del vecchio piano. Ritorno a 500 milioni di utile nel 2015, ma subito restituzione al Tesoro di buona parte dei Tremonti bonds oltre al pagamento degli ingenti interessi intanto dovuti, e di quelli sulla parte non restituita. Vincoli stretti sullo stipendio ai manager, per l’ad scende da 1,3 milioni a 500 mila euro al massimo. Discesa a non più di 17 miliardi dei BtP in pancia alla banca, che obbligano a tener fermo capitale che l’istituto non ha e che deve usare per gli impieghi, non per “tenersi buona” la politica (a metà 2012, MPS era arrivata a detenerne 32 miliardi).

Questo è il quadro. Profumo e Viola l’aumento di capitale l’hanno dovuto contrattare alla luce del sole con Bruxelles, con Tesoro e Bankitalia a fianco. Oltretutto l’Italia è la prima a dire che vuole più Unione Bancaria rispetto ai neghittosi tedeschi, e ora da Siena arriva il no. Il consorzio di garanzia internazionale per il collocamento era vincolato alla data, scade il 31 gennaio. Chi si fiderà a collocare l’inoptato, per un nuovo aumento dopo sei mesi? Profumo e Viola sono decapitati nella credibilità davanti ai mercati mondiali. Il titolo lunedì scenderà vedremo di quanto, rispetto alla già risibile soglia di 17-18 centesimi. E tutto questo per cosa? Perché l’Italia resta consociativa.

Primo. Perché la fondazione sostiene di non poter dissipare il proprio patrimonio. In realtà, anche se la Mansi prima non c’era, come primo azionista per anni ha determinato le scelte della banca, comprese quelle sciagurate, ha sfidato la legge restando oltre la soglia del 50%, e ha irresponsabilmente concentrato troppo patrimonio sulla banca. Chi sbaglia paga, dovrebbe essere la legge. Troppo comodo credere i mercati internazionali facciano da bancomat, mettano i soldi dopo i guai di Siena, ma in assemblea continui a comandare chi i guai li ha fatti.

Secondo. La fondazione non è sola a sostenere questo. C’è dietro l’intero mondo dell’Acri, l’associazione delle fondazioni bancarie italiane guidata da Guzzetti. Che ha spiegato alla politica che far pagare così duramente una fondazione è un errore verso l’intero sistema. Alcune delle primarie fondazioni sono pronte ad assumere parte delle quote della sorella senese, e ad aiutarla a reinvestire il ricavato in un quota che resti quella più elevata nell’azionariato futuro di Mps. Per questo serve tempo, un aumento di capitale a fine 2014. Per continuare a ripetere la storia che le fondazioni bancarie sono un presidio di italianità e stabilità delle banche, quando avrebbero dovuto dismetterne il controllo da anni e anni.

Terzo. Anche il Pd la pensa così. Se a luglio il nuovo sindaco Valentini parlava rassegnatamente di soci esteri per Mps, nelle ultime settimane a Saccomanni ha spiegato che occorre evitare “soci sgraditi”, e che Siena deve restare in sella. L’accordo con l’Europa l’hanno firmato Profumo e Viola, mica i senesi. Che vadano a casa loro due, e magari si nomini presidente Barucci, che è in scadenza all’Antitrust. Sarei curioso di sapere se davvero la pensa così Renzi, se è questa lòa svolta che stiamo attendendo.

Quarto. Che gli industriali si prestino a far da controfigura presentabile del Pd in questa partita, è purtroppo singolare solo per chi si stupisce del consociativismo italiano. La Mansi sarà in buona fede, ma il conflitto d’interesse tra la solidità patrimoniale della Fondazione e quello della banca è di un’evidenza oggettiva: doveva saperlo bene, visto che di bilanci non è sprovveduta, allorché poche settimane fa assunse la presidenza della fondazione. E che Tesoro e Bankitalia siano rimasti a guardare mentre l’accordo con l’Europa saltava, la dice lunga su quanto, di fronte al controllo bancario e al peso del Pd, non c’è Europa e rigore che tenga.

E’ ovvio che Fondazione e pd sappiano benissimo che a questo punto il rischio-nazionalizzazione, tramite conversione dei bonds pubblici, è fortissimo. Ma loro lo preferiscono al mercato: sia il “governo-amico” a sovrintendervi, in maniera da tutelare chi va tutelato. Cosa che aggiunge ragione a chi, un anno fa, come il sottoscritto, per diffidenza invocava una nazionalizzazione-pulizia subito, senza tutele per gli azionisti di conrrollo e con promessa contestuale di restituire al mercato una banca in sesto attraverso una privatizzazione a 2 anni, come avviene nel Regno Unito.

27
Dic
2013

Il metro di Roma a Natale e le logiche capovolte dell’Italia

Roma, orario dei trasporti urbani a Natale. Lo riporto come cartina al tornasole in grado di svelare non solo a cosa serve il trasporto pubblico (a Natale e nel resto dell’anno, a Roma e nel resto d’Italia) ma anche le logiche soggiacenti il funzionamento del nostro paese.

Martedì 24 dicembre
Per Metro A e Metro B, ultima corsa alle 21. Sulla B1, ultima partenza alle 20,56 da Laurentina per Conca d’Oro.Anche bus, filobus e tram si fermano alle 21. (…)

Mercoledì 25 dicembre
A Natale, metropolitane attive dalle 8 alle 13. Sulla metro B1, da Laurentina per Conca d’Oro l’ultima corsa sara’ alle 12,56. Bus, filobus e tram in servizio dalle 8,30 alle 13 e dalle 16,30 alle 21. Regolare il servizio dei bus notturni. Per la ferrovia Roma-Lido, da Piramide corse dalle 8 alle 13,30, da Colombo corse dalle 7,23 alle 12,23. (…)

Immaginiamo ora di essere dei marziani che sanno tuttavia come funzionano domanda e offerta sui mercati. Come interpretiamo il fatto che i trasporti pubblici non siano operativi la sera della vigilia di Natale e il pomeriggio della festività? Pensiamo che non sia prevista domanda e inoltre che non vi siano obblighi pubblici a offrire il servizio anche quando la domanda è scarsa. Da non marziani sappiamo invece che è l’esatto contrario: la domanda prevedibile a Roma a Natale è tutt’altro che scarsa e inoltre i trasporti pubblici sono (cospicuamente) sovvenzionati dal contribuente per funzionare anche dove e quando la domanda è debole.

Conseguenza: applicando la logica di ogni paese normale pensavamo ingenuamente che gli autisti e i mezzi pubblici fossero strumento per consentire ai viaggiatori di spostarsi. Niente di più sbagliato: in un paese come l’Italia che funziona con logiche rovesciate sono in realtà i viaggiatori strumento per consentire agli autisti di spostarsi sui mezzi pubblici. E il giorno di Natale e la vigilia gli autisti, impegnati presso le loro case con le loro famiglie, non avevano nessuna intenzione di spostarsi. Dunque i viaggiatori non servivano.

Questa storia mi ricorda quelle vecchia che vedeva importanti musei italiani (un tempo) stabilmente chiusi il giorno di ferragosto e in altre importanti festività. Anche in quel caso ci stupivamo perché da poveri ingenui pensavamo che i custodi dei musei fossero strumento essenziale per consentire ai turisti, soprattutto stranieri, di contemplare l’arte italiana. Ma non potevamo commettere errore più grande. In un paese a logiche capovolte come l’Italia erano infatti i turisti lo strumento per consentire ai custodi dei musei di farsi contemplare dalle opere d’arte. E il giorno di ferragosto essi non sentivano questa esigenza.

 

 

27
Dic
2013

#Liberalizzazioni – Il “Loop” del monopolista

Il cliente è al centro dell’attenzione di un’azienda, se questa è in un ambiente competitivo e liberalizzato.

Quando un mercato è in mano ad un monopolista, il consumatore soffre, ma quando due mercati sono in una situazione di bassa concorrenza, il rischio è che il consumatore possa entrare in un “circolo vizioso”: il loop del monopolista.

Il monopolio è una forma di fallimento di mercato ed è per questo che l’Istituto Bruno Leoni mostra l’andamento del mercato liberalizzato in Italia tramite il proprio Indice delle Liberalizzazioni ogni anno.

Dall’indice del 2013 si ricava che uno dei settori meno liberalizzati è quello postale, come giustamente ricorda nel suo capitolo il professore Ugo Arrigo, dato che il valore assegnato è pari al 2 per cento. Read More

27
Dic
2013

Alcuni chiarimenti sull’andamento dell’orologio del debito pubblico

Anche quest’anno il debito pubblico italiano è cresciuto considerevolmente, come testimoniato dagli aggiornamenti periodici della Banca d’Italia e come anticipato dall’“orologio” dell’Istituto Bruno Leoni. All’origine di questo aumento ci sono alcune operazioni straordinarie, ma soprattutto c’è l’incapacità di tenere sotto controllo la spesa pubblica. La “spending review”, fino a oggi, è stata più un annuncio che una realtà.

Nel mese di dicembre, i lettori potrebbero notare che le “lancette” dell’orologio girano all’indietro: il debito, durante questi 30 giorni, si riduce. Tipicamente, il Tesoro effettua delle operazioni di riacquisto dello stock di debito (“buy back”), riducendone l’ammontare di circa 30 miliardi di euro nell’arco del mese (anche se la nostra sensazione è che nel 2013 l’operazione sarà molto contenuta rispetto al passato). La nostra stima si basa – come l’intera architettura dell’orologio – sui comportamenti osservati negli anni scorsi. Non sappiamo se anche quest’anno il Tesoro effettuerà operazioni di buy back e in quale misura: possiamo solo supporre che si comporterà come in precedenza, pur avendo qualche perplessità data la situazione del bilancio pubblico. Quel che è certo e che a gennaio il debito riprenderà a crescere – l’Epifania tutte le feste si porta via, purtroppo.

27
Dic
2013

Caro Anno Nuovo, prometto di fare la brava. Forse. F.to Italia

Caro Anno nuovo

ho deciso che appena arriverai tu, sempre così carico di speranze e buoni propositi, diventerò più brava.

Non sono più una bambina ormai e devo imparare a comportarmi con responsabilità. Quest’anno ho festeggiato 65 anni. Per essere una Repubblica, sono ancora giovane ma non ho ormai scuse per fare i capricci o essere irragionevole.

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