17
Gen
2014

Le bugie sul fiscal compact del partito unico dei populisti spendaccioni—di Enrico Zanetti

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Enrico Zanetti.

Anche in occasione del dibattito sulle mozioni presentate alla Camera, i 5 Stelle (ma, seppur con toni mille volte più civili, anche Forza Italia, la Lega Nord, Fratelli d’Italia e SEL) hanno continuato a fare autentico terrorismo, affermando che, con il Fiscal Compact, l’Italia dovrà varare nei prossimi 20 anni manovre recessive da 50 miliardi l’anno in ossequio al piano di rientro del debito sino al 60% del PIL.

Prima di mettere a nudo l’infondatezza e la strumentalità di simili asserzioni, volutamente ripetute all’infinito, secondo i principi della propaganda più disinibita, tali per cui una falsità detta mille volte diventa per lo meno una mezza verità, mettiamo a fuoco le due cose chiedono le regole del fiscal compact.

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16
Gen
2014

Abbattere tutte le statue di Lenin—Di Zilvinas Silenas

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Atlas Network.

Gli eventi ucraini ci hanno ricordato quello che l’Occidente dà per scontato, e che l’Est invece ha lavorato duramente per ottenere. La libertà della persona, il principio di legalità e una società organizzata secondo la cooperazione su base volontaria non sono banali dati di fatto della vita quotidiana, ma ideali per i quali le persone sono disposte a scendere in strada.

La miriade di interpretazioni delle cause dei recenti eventi spazia da dettagliate ricerche storiche, a dibattiti sulla rivalità post Guerra Fredda fra Est ed Ovest, ad analisi di interessi economici concorrenti. È molto  probabile che ognuno di questi aspetti vi abbia giocato un ruolo. Ma nel concentrarsi su personalità ed eventi chiave, le analisi ignorano la forza fondamentale dell’Ucraina – la sua gente.

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16
Gen
2014

Pronostico sul dollaro — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Al terzo Plenum del Partito comunista cinese svoltosi il novembre scorso, il deputy governor della banca centrale, Yi Gang, ha affermato che la Cina non accumulerà più riserve valutarie (il cui importo di 3.6 trilioni di dollari è superiore al PIL della Germania) di cui la maggior parte è in dollari. Inoltre ha affermato che lo yuan sarà trasformato in valuta internazionale. Un de profundis per il dollar standard in vigore da oltre 40 anni. I cinesi hanno fatto questo ragionamento: a che scopo romperci la schiena producendo per gli USA in cambio di dollari creati senza limiti dal torchio della FED per doverglieli poi riprestare ed essere rimborsati con un altro surplus di titoli irredimibili denominati in dollari svalutati?

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15
Gen
2014

Liberismo e immigrazione: tutti statalisti col c**o degli altri

Quello appena iniziato è un anno storico per Romania e Bulgaria: dal primo di gennaio del 2014, infatti, i loro cittadini possono vivere e lavorare liberamente all’interno dei paesi della UE, senza alcuna restrizione. In Italia non se ne parla, ma in altri Paesi il dibattito sulla questione è accesissimo. Uno di questi è la Gran Bretagna, dove un fronte trasversale di Tories, Labour e Liberal ha lanciato l’allarme già da diverse settimane, temendo una vera e propria invasione.

«Zingari, nomadi e rom stanno venendo a approfittare del nostro welfare, rubare e mendicare», ha dichiarato Philippa Roe, un’importante leader Tory a Westminster. Molti britannici temevano che nei primi dieci giorni del nuovo anno le coste del Regno Unito sarebbero state invase: ebbene, non è successo. Ma l’elemento più sorprendente dell’intenso dibattito che ha interessato l’opinione pubblica d’oltremanica, come ha sottolineato Dalibor Rohac sul Wall Street Journal qualche giorno fa, è la posizione assunta da tanti sedicenti difensori del libero mercato. Scrive Rohac:

Douglas Carswell, un deputato conservatore noto per le sue posizioni fortemente libertarie, ha spiegato che «i migranti che lavorano dovrebbero essere accolti, ma aprire le porte a bulgari e rumeni potrebbe davvero creare problemi». Secondo Nigel Farage, parlamentare europeo e leader dello UK Independence Party, l’unico criterio che dovrebbe essere adottato per permettere o meno agli immigrati di entrare nel Regno Unito e in Europa è la loro capacità di pagare le imposte, contribuendo così all’economia della nazione in cui vivono. Da sedicenti libertari, non c’è niente di male a intraprendere un dibattito sulla generosità del welfare state britannico nei confronti degli immigrati. Ma si commette un grave errore suggerendo di sottoporre l’immigrazione a controlli più severi o a quote.

Molti economisti concordano sul fatto che garantire libertà di circolazione alle persone comporta enormi vantaggi economici, decisamente maggiori di quelli derivanti da un’ulteriore aumento della libertà di circolazione di merci e capitali. Secondo le stime più sobrie, la rimozione di tutte le barriere all’immigrazione potrebbe facilmente raddoppiare il PIL mondiale. La proposta non è aprire le frontiere del Regno Unito, ma rendere l’immigrazione (almeno/soprattutto quella qualificata) più libera di quanto lo sia oggi e, di conseguenza, rendere il mondo un posto migliore.

Ci sono ben poche prove per sostenere l’idea che l’afflusso di lavoratori nel Regno Unito, dal primo allargamento dell’Unione Europea nel 2004 ad oggi, abbia esercitato una significativa pressione al ribasso sui salari o un aumento della disoccupazione tra gli inglesi. Perfino l’economista Paul Collier, dell’Università di Oxford, che si era battuto per rendere le restrizioni in materia di immigrazione più severe di quanto fossero, ha riconosciuto nel suo libro Exodus, uscito l’anno scorso, che «gli effetti della migrazione sui salari dei lavoratori inglesi sono nulla rispetto al polverone che è stato fatto su di essi». L’effetto degli immigrati sul mercato del lavoro, infatti, non è solo quello di competere per i posti di lavoro già esistenti, ma è anche e soprattutto quello di crearne di nuovi, che non esisterebbero affatto senza il loro afflusso.

Né è convincente l’idea secondo cui gli immigrati comunitari metterebbero a dura prova le finanze pubbliche inglesi. Al contrario, studi recenti indicano che gli immigrati dell’Est europeo hanno avuto un impatto fiscale notevolmente positivo in Gran Bretagna. Lo scorso novembre, ad esempio, il Centro per la Ricerca e Analisi delle Migrazioni dell’University College di Londra ha pubblicato una ricerca secondo la quale gli immigrati in Gran Bretagna dall’Europa dell’Est hanno «contribuito a ridurre il carico fiscale dei lavoratori nativi».

Indubbiamente i grandi afflussi di migranti possono influenzare il mercato immobiliare. Una stima recente mostra che il mark up dovuto all’immigrazione, nel mercato immobiliare britannico, faccia aumentare i prezzi delle case del 10%, producendo effetti soprattutto nel sud-est del Paese e a Londra. Tuttavia, il vero colpevole non è l’immigrazione, ma i rigorosi controlli urbanistici che fanno dello stock abitativo della Gran Bretagna il più piccolo, costoso e densamente popolato d’Europa.

Sostenendo controlli sull’immigrazione più severi, i free marketers britannici rischiano di finire per difendere un insieme di politiche profondamente illiberali. Il mese scorso Sam Bowman, dell’Adam Smith Institute, ha paragonato le restrizioni migratorie alle Corn Laws (i dazi sull’importazione di derrate agricole del XIX secolo), sottolineando come il loro effetto sia «vietare alle imprese di assumere e ai proprietari di immobili di affittarli o venderli a persone che hanno avuto la sfortuna di nascere nel posto sbagliato». Il mese scorso il primo ministro David Cameron ha dichiarato che il Regno Unito manterrà le restrizioni migratorie «fino a quando la loro ricchezza non sarà al livello della nostra»: chiunque sostiene di comprendere che il libero scambio genera ricchezza dovrebbe sapere qualcosa di più sul suo funzionamento.

Come diceva Milton Friedman, ogni lavoratore immigrato ha due braccia e una bocca sola. Ma si sa, le sirene del nazionalismo e del protezionismo sono sempre dietro l’angolo, e sono tutti statalisti col c**o degli altri.

Twitter: @glmannheimer

 

 

14
Gen
2014

Energia: tutti i danni e le bufale di Destinazione Italia

Tutte le classifiche internazionali suggeriscono che gli elevati costi dell’energia rappresentano un grave ostacolo agli investimenti esteri nel nostro paese. Il decreto Destinazione Italia, all’articolo 1, contiene “Disposizioni per  la  riduzione  dei  costi  gravanti  sulle  tariffe elettriche”. Purtroppo, siamo in presenza di un clamoroso esempio di neolingua. Una memoria dell’Autorità per l’energia sul tema esprime con giusto tatto istituzionale una serie di osservazioni migliorative del decreto. L’obiettivo di questo post è commentare comma per comma le parti energetiche del decreto, però senza tatto.

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13
Gen
2014

Abolire le Province è necessario

Il briefing paper pubblicato per l’Istituto Bruno Leoni ha aperto un dibattito importante sul disegno di legge “Delrio”, Ministro degli Affari Regionali e per le Autonomie, circa l’eliminazione/svuotamento delle Province.

È chiaro, come giustamente Oliveri nell’articolo pubblicato su Leoni-Blog, non si tratta di una vera e propria eliminazione delle Province, come richiesto anni orsono (correva l’anno 2008) dal libro curato da Silvio Boccalatte, ma di uno svuotamento.

Per effettuare l’eliminazione delle Province, ci vuole una riforma Costituzionale, non facile da fare, ma necessaria.

Il disegno di legge “Del Rio” va nella direzione dello svuotamento, ma come giustamente ricorda Oliveri e come si ricorda nel paper, ci sono dei punti ai quali è necessario porre attenzione.

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