24
Gen
2014

Casse previdenziali e INPS. Un caso: la cassa forense—di Francesco G. Capitani

Le pericolose convergenze tra Casse previdenziali dei professionisti e INPS

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco G. Capitani.

Entro il prossimo 4 febbraio verrà emanato il regolamento attuativo dell’art. 21 della l. professionale n. 247 del 2012, che prevede la contestuale iscrizione alla Cassa Forense di ogni avvocato iscritto all’albo, a prescindere dai valori reddituali individuali, bensì imponendo un contributo minimo soggettivo in misura fissa. La norma interessa ben sessantamila legali non ancora iscritti alla Cassa, ed insiste su quanti fra i già iscritti – di cui ben quarantamila i morosi – continueranno a pagare la già elevata contribuzione minima, nonostante la fotografia reddituale forense descriva redditi in picchiata ed una forbice reddituale in deciso incremento. La modifica del 2012 pare tracciare un solco fra vecchie e nuove generazioni forensi, sulle quali gravano pesi previdenziali iniqui e, forse, insostenibili. Ma, soprattutto, la modifica interviene sottilmente ad arginare il grado di apertura concorrenziale nel settore forense.

Read More

23
Gen
2014

La primavera incatenata—di Emmanuel Martin e Dalibor Rohac

Ai leader della Tunisia non interessa la libertà economica per il proprio popolo

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Atlas Network.

Agli occhi delle persone comuni del Medio Oriente e del Nord Africa, gli eventi della Primavera Araba sono stati l’effetto tanto della frustrazione conseguente la mancanza di opportunità economiche quanto del malcontento derivato dai regimi autoritari e repressivi della regione. Dopo tutto, le rivolte popolari sono state innescate dall’autoimmolazione di Mohammed Bouazizi, un fruttivendolo tunisino che aveva subito ripetute vessazioni da parte delle autorità locali. Quando i funzionari gli hanno proibito di vendere frutta e verdura, confiscandogli la merce, la sua vita — e quella di coloro che da lui dipendevano — è stata rovinata all’istante.

Read More

23
Gen
2014

Destinazione Italia: niente di nuovo sul fronte r.c. auto

Quella dei rincari delle polizze r.c. auto è una delle molte emergenze cicliche di questo paese, sovente alimentate da interventi normativi che privilegiano l’impatto estetico ma mancano il cuore dei problemi. Le disposizioni contenute nell’art. 8 del decreto “Destinazione Italia” non fanno eccezione. Si tratta di una serie di previsioni variegate: alcuni aggiustamenti di generico buon senso e rilevanza limitata; alcune previsioni volte a incidere direttamente e indirettamente su un’affidabile quantificazione dei risarcimenti; infine, una manciata d’innovazioni più caratterizzanti e definite da una ratio unitaria: il tentativo di stabilire una relazione automatica tra i minori costi previsti per le compagnie e i risparmi a beneficio dei consumatori.

Al primo gruppo appartengono l’elevazione dei massimali minimi obbligatori per l’assicurazione degli autobus contro i danni alle persone a 10 milioni di euro (comma 1, lett. a) e l’introduzione, accanto al termine prescrittivo di due anni, di un termine di decadenza di 90 giorni per la presentazione della richiesta di risarcimento, fatti salvi i casi di forza maggiore (comma 6).

Al secondo gruppo si possono ascrivere le previsioni in materia di testimoni (comma 1, lett. c): la loro identificazione deve risultare – salvo nei casi di oggettiva impossibilità – dalla denuncia di sinistro e dalla richiesta di risarcimento, pena l’inammissibilità della prova prodotta; inoltre, il giudice è tenuto a verificare la ricorrenza dei testimoni in altre cause per sinistri stradali, servendosi della banca dati istituita presso l’Ivass dal decreto “Crescita 2.0”: ove si riscontri la presenza di tali testimoni in almeno tre cause nel corso degli ultimi cinque anni, il giudice trasmette un’informativa alla Procura della Repubblica competente, affinché possano essere disposti ulteriori accertamenti.

All’analogo intento di assicurare una corrispondenza tra l’effettiva consistenza del danno e l’ammontare del relativo risarcimento risponde anche la richiesta che le lesioni di lieve entità vengano accertate strumentalmente, e non più con un mero riscontro “visivo” (comma 3); così come le previsioni che incidono sull’art. 148 del Codice delle assicurazioni private (Cap), intervenendo sui parametri di rischio frode che giustificano una sospensione della procedura di risarcimento, così da permettere gli accertamenti del caso, ed allungando da 5 a 10 giorni il termine minimo da concedersi alla compagnia per la perizia sulle cose danneggiate. Meno comprensibile è la soppressione del periodo che esplicitamente riconosceva la facoltà del danneggiato di non procedere alla riparazione senza che ciò pregiudicasse il suo diritto al risarcimento: tale disposizione presentava certo alcune difficoltà di convivenza con l’istituto del risarcimento in forma specifica (v. infra), ma la sua abrogazione solleva dubbi di costituzionalità.

Come detto, più rilevanti appaiono le rimanenti disposizioni, caratterizzate da uno schema comune, che assegna alle imprese assicurative la facoltà (o l’obbligo) di modulare in una determinata maniera la relazione contrattuale o la prestazione risarcitoria, prevedendo al contempo che sia riconosciuta all’assicurato una riduzione dei premi. Così, per esempio, s’introduce l’obbligo per la compagnia di proporre all’assicurando la sottoposizione del veicolo a ispezione preventiva, a fronte di una riduzione di premio che la norma non quantifica (comma 1, lett. b).

Similmente, si prevede la facoltà per l’impresa di ricorrere a procedure di risarcimento per equivalente, tanto verso i danneggiati assicurati quanto verso i terzi danneggiati, garantendo la riparazione del veicolo presso strutture controllate dalla compagnia o con essa convenzionate, a fronte di una riduzione del premio pari almeno al 5% del premio regionale medio incassato – o al 10%, nelle aree specificamente individuate dall’Ivass (comma 1, lett. d). L’opzione dell’impresa ha efficacia per tutto l’anno solare e per tutti i sinistri risarcibili, fuorché – per evidenti ragioni – quelli segnati da concorso di responsabilità: col rischio tangibile d’incappare nel paradosso per cui la tariffa “scontata” è invero l’unica esistente, e manca di un parametro rispetto al quale computare lo sconto. Quest’approccio manicheo risulta orientato alla costituzione di un sistema di liquidazione in tutto alternativo all’ordinario risarcimento per equivalente piuttosto che alla valorizzazione caso per caso delle libertà contrattuali di imprese e assicurati. Inoltre, il meccanismo presenta alcune evidenti criticità operative: prima fra queste, l’incongura vicinanza del termine per l’esercizio dell’opzione per l’anno 2014.

Ancora, si prevede l’obbligo per le imprese di proporre clausole contrattuali (facoltative per l’assicurato) che prevedono l’accesso a servizi sanitari forniti da professionisti scelti e remunerati dalle imprese stesse, a fronte di una decurtazione del premio pari al 7% del premio regionale medio incassato: tale previsione risulterebbe oltremodo penalizzante per le compagnie, ove si consideri che il suo ambito di applicazione è giocoforza limitato al contraente e non si estende ai terzi danneggiati. Parimenti limitato è l’ambito di un’altra previsione, quella che assicura alle imprese la facoltà di proporre all’assicurato, in sede di stipulazione del contratto, una clausola che escluda la cedibilità del diritto al risarcimento, a fronte di una riduzione del premio pari al 4% del premio regionale medio incassato.

Infine, viene parzialmente riformata la disciplina in materia di scatola nera, disponendo che i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione e portabilità rimangano a capo della compagnia, ma che i costi di funzionamento siano appannaggio dell’assicurato. La proposta di contratti di questo tipo è presentata come una facoltà per l’impresa: a essa corrisponde una riduzione del premio pari almeno al 7% del premio regionale medio incassato e, in ogni caso al 7% del premio pagato dal contraente già assicurato con la medesima impresa durante l’anno precedente. Particolarmente discutibile appare il previsto meccanismo di funzionamento delle scatole nere, che presuppone la creazione di un unico centro di raccolta dati gestito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che a propria volta li dispaccerebbe alle compagnie interessate. Sarebbe  molto più opportuno se il governo si limitasse a delineare, con regolamento, i necessari standard di interoperabilità senza arrogarsi l’esercizio di una funzione che non ha alcuna necessità di essere centralizzata.

Tutte le misure da ultimo segnalate paiono entrare in conflitto con il principio della libertà tariffaria, garantito dalla normativa comunitaria in materia; tale pregiudizio è, evidentemente, più intenso nei casi in cui la proposta contrattuale e la collegata riduzione del premio sono imposte come obbligatorie. In conclusione, si tratta di misure che destano più di un dubbio di legittimità e che – ove pure superassero tali perplessità – paiono dotate di efficacia marginale, vuoi per le difficoltà applicative, vuoi per la scarsa incisività rispetto alle sottostanti strutture di mercato.

22
Gen
2014

Davvero il debito pubblico è sceso nel 3° trimestre? No.

Oggi Eurostat ha comunicato dei dati a dir poco clamorosi sull’Italia, prontamente ripresi dalle testate on line (immagino domani anche dai giornali tradizionali) e ottimisticamente salutati da autorevoli commentatori. Il debito pubblico italiano è diminuito nel terzo trimestre 2013 sia in rapporto al Pil sia in valore assoluto:

  • Dal 133,3% al 132,9% (-0,4%)
  • Da 2.076,4 mld. di euro a 2.068,7 mld di euro. 

Siamo certi sia il caso di brindare alla notizia? Se il dato fosse vero vorrebbe dire che nel terzo trimestre il settore pubblico, quella che noi chiamiamo PA, ha registrato incassi superiori ai pagamenti per 7,7 mld., facendo ridurre lo stock del debito di un pari ammontare. Una miracolo: fabbisogno azzerato e bilancio in probabile attivo (seppur in termini di cassa), debito in riduzione. Siamo sicuri che sia così? E d’altra parte come potrebbe Eurostat pubblicare dati non veritieri?

Andiamo allora a vedere cosa è successo con precisione, utilizzando i dati su fabbisogno e debito pubblicati mensilmente dalla Banca d’Italia. In effetti i dati riportati sui bollettini mensili confermano i valori sopra indicati a fine giugno 2013 e fine settembre. Non dimentichiamoci tuttavia che Eurostat registra il debito pubblico lordo (perché lo richiede il trattato di Maastricht), non ridotto della liquidità del Tesoro, dei depositi presso la Banca d’Italia e dei prestiti ai meccanismi europei salvastati. Se togliamo queste voci, che rappresentano attività a fronte della passività del debito, otteniamo il debito pubblico netto, grandezza un po’ più importante di quello lordo per valutare le tendenze della finanza pubblica. Calcoliamo allora il debito pubblico netto a fine giugno e a fine settembre.

GIUGNO 2013                                                        SETTEMBRE 2013                 DIFFERENZA

2076,4      A-Debito pubblico lordo                               2068,7                                      -7,7

76,3         B-Disponibilità liquide del Tesoro (*)                40,8                                       -35,5

27,1         C-Depositi presso IFM                                 26,3                                        -0,8

50,8         D-Prestiti a Stati e meccanismi europ.              51,5                                        0,7

1922, 2     E-Debito pubblico netto (E=A-B-C-D)              1950,1                                      28,9

(*) Inclusi depositi presso Banca d’Italia

Ecco dunque svelato il mistero: tra giugno e settembre 2013 il debito pubblico netto dell’Italia non è diminuito ma è anzi aumentato di quasi 29 miliardi (e in solo trimestre bisogna dire che è un bel balzo). Tuttavia il Tesoro non ha pagato l’eccesso di spese sulle entrate del trimestre emettendo nuovi titoli netti, nel qual caso si sarebbe accresciuto in misura equivalente il debito pubblico lordo e l’Eurostat ce lo avrebbe prontamente segnalato, ma ha preferito utilizzare liquidità già disponibile e depositi presso la Banca d’Italia. Poiché tale disponibilità è stata ridotta di quasi 36 miliardi a fronte di un’esigenza di pagamenti non coperta da incassi per 29 miliardi, ecco che apparentemente il debito si è ridotto. Ma è solo apparenza e non vi è ovviamente nulla da festeggiare.

22
Gen
2014

Spesa e tasse: le 2 lezioni per cui Uk con Cameron cresce più di tutti in Ue

Sorpresa, il leone della crescita nell’Unione Europa non è affatto la Germania di Angela Merkel, che ha chiuso il 2013 con un deludente e modestissimo più 0,4% del suo Pil, ma il Regno Unito di David Cameron. Che ha vissuto un 2013 di continua progressione delle stime: a inizio anno tutti predicevano un modesto più 0,6 o 0,7%, ma di trimestre in trimestre le cose sono andate sempre meglio. Se ancora a dicembre i più immaginavano una chiusura d’anno a più 1,4%, la crescita fortissima dello 0,8% nel solo ultimo trimestre potrebbe aver fatto chiudere il 2013 a più 1,9%. Un punto e mezzo più della Germania.

La tendenza è stata confermata dalle prime stime di crescita 2014 del Fondo Monetario. Il Pil 2014 della Gran Bretagna è stimato a +2,4%, un punto più di quanto il Fondo valutasse a metà dell’anno scorso. La Germania non andrebbe oltre il +1,6%. L’Italia, per capirci, vede invece il FMI abbassare ulteriormente le sue previsioni, dallo 0,7% allo 0,6%: la metà di quanto il governo Letta abbia stimato nella sua legge di stabilità, l’1,1%. E siamo l’unico tra i Paesi “avanzati” corretti al ribasso, l'”unico a non tenere il passo”, dice il FMI. Un viatico, per Letta e il suo governo.

D’accordo,  le previsioni vanno prese con le molle. Per esempio a metà 2012 il FMI stimava per il 2013 al 5,6% la crescita del commercio mondiale – il motore dello sviluppo planetario – e poi nella realtà è stata a malapena del 2,7%, il che getta qualche ombra anche sulla correzione in rialzo al 3,7% per la crescita mondiale 2014, visto che nel frattempo la stima di aumento del commercio scende dal più 4,9 al più 4,5%. Quel che però è evidente è che il Regno Unito ha stupito tutti, la frenata tedesca è stata più forte di quel che ci si aspettasse, mentre noi purtroppo arranchiamo in fondo.

Su che cosa di fonda, il successo britannico? Su un mix che per noi non è né integralmente né largamente replicabile, visto che ci sono almeno tre caratteristiche dell’economia britannica molto diverse dalle nostre. Ma ci sono però anche un paio di lezioni secche e buone anche per noi italiani, e per tutto il Sud Europa piegato dalla crisi.

Vediamo innanzitutto che cosa non possiamo ambire di replicare. E’ ovvio innanzitutto che il Regno Unito si avvantaggi della scelta – saggia, alla prova dei fatti – di aver mantenuto la sovranità monetaria e la sterlina. Non solo ciò consente di poter compensare momenti bassi del ciclo con svalutazioni del cambio, ma ha evitato un impatto disastroso della crisi a un’economia che dagli anni Ottanta ha sempre più accentuato la seconda scelta che non possiamo seguire. Quella di diventare un leader mondiale come piattaforma dei servizi, innanzitutto quelli banco-finanziari. Le crisi a raffica di grandi istituti bancari britannici dopo il crac Lehman avrebbero avuto impatti devastanti, se fossero stati curati con i caotici criteri europei. La terza caratteristica che ci divide dal Regno Unito discende dalla seconda: loro realizzano una quota di valore aggiunto sul Pil da manifatturiero non troppo superiore alla metà del nostro, mentre noi siamo un paese che deve tentare di riportare la quota del manifatturiero oltre il 20%, per difendere l’unico vero motore attuale della crescita italiana, cioè l’export sui mercati mondiali.

Queste tre caratteristiche britanniche hanno determinato i motori della ripresa del Regno Unito. Innanzitutto il mercato domestico, la domanda interna dei consumi. Che è tornata a superare quella del precrisi, mentre da noi siamo ancora a una perdita a doppia cifra. Poi il settore immobiliare, sia delle compravendite e mutui – risaliti a quote analoghe a 9 anni fa – che nelle costruzioni, dove noi siamo a perdite del 50% rispetto al precrisi. Infine il settore finanziario, che è tornato a produrre ottimi utili e pingui bonus, e complessivamente dei servizi, a cominciare dal turismo e dall’attrattività degli investimenti diretti esteri, che per la verità è sempre rimasta altissima.

Tutto questo, per così dire, dipende dalla specificità britannica. Ma ci sono in aggiunta due fattori essenziali, sui quali dovremmo riflettere. Ad aver mantenuto un segno completamente diverso dal nostro sono state due scelte fondamentali di finanza pubblica, condivise dal premier Cameron e dal suo arcigno cancelliere dello scacchiere, George Osborne.

Fino all’inizio dell’anno scorso, le previsioni di crescita britanniche erano basse proprio per effetto di quelle due scelte. La prima: tagliare duramente la spesa pubblica. La seconda: tagliare anche le tasse, dove e nella misura del possibile, visto che nel frattempo bisognava abbassare energicamente il deficit. Una strategia che avrebbe soffocato la ripresa, dicevano non solo i laburisti di Ed Miliband, ma anche molti economisti keynesiani.

Ebbene, sono stati smentiti. E’ accaduto il contrario. Cameron e Osborne hanno ereditato nel 2010 dai laburisti un deficit pubblico superiore all’11% , nel 2010. A fine 2013 il deficit sarà intorno al 6,8%. Nel 2015, quando si rivoterà, per effetto dei nuovi tagli che il governo continua a proporre, dovrà scendere al 4% , e sotto il 3% nel 2016.

Quanto alle imposte, Osborne ha ridotto l’imposta sul reddito delle imprese dal 28% al 22%, ed entro fine mandato l’obiettivo è di scendere al 20%. L’aliquota marginale sul reddito delle persone fisiche è stata abbassata di 5 punti, dal 50% dove l’avevano riportata i laburisti. Sono state abbassate le imposte alle giovani coppie, è scesa l’accisa sulla benzina e sui consumi energetici.

E’ per tutto questo, che la domanda privata di consumi è tornata ruggente. Conclusione: per l’Italia che ha perso nove mesi sull’IMU senza ancora metterci un punto, che su ogni ipotesi di taglio alla spesa continua a delegare il commissario Cottarelli perché nessuno ha fegato e idee chiare su dove tagliare, e che ha visto aggravi d’imposta di ogni tipo, avercene sul ponte di comando, tipi come Cameron e Osborne.

22
Gen
2014

Hollande a due o quattro ruote?

La grandeur francese colpisce ancora (cit. Ugo Arrigo). Può sembrare incredibile ma in questi giorni è passata sottovoce un’operazione che farebbe impallidire anche l’Italia.

Nel nostro paese siamo abituati alle operazioni di Stato, ma anche l’ultima avventura con l’entrata di Poste Italiane in Alitalia in realtà è poca cosa rispetto a quanto successo in Francia.

L’operatore automotive PSA, che controlla Peugeot e Citroen, ha registrato nel 2012 una perdita storica pari a 5 miliardi (dovuto in parte ad operazioni straordinarie) e chiuderà il 2013 con circa 800 milioni di euro di rosso.

E cosa decide di fare lo Stato Francese? Entrare nel capitale con 750 milioni di euro (10 volte l’intervento di Poste in Alitalia) per prendere il 14 per cento dell’azienda. Read More

21
Gen
2014

Comitato privatizzazioni chi? Interrogazione Lanzillotta-Della Vedova su Poste

Il modo in cui sta muovendo i primi passi il processo di privatizzazione di Poste solleva seri dubbi sulla sua compatibilità con l’apertura del mercato. I senatori Linda Lanzillotta e Benedetto Della Vedova, in un’interrogazione al premier, al ministro dell’economia e al ministro dello sviluppo economico, pongono domande che speriamo abbiano una risposta rapida. A partire da questa: a quale titolo il comitato privatizzazioni si sta muovendo? Su LeoniBlog.it il testo integrale dell’interrogazione.

Read More