7
Feb
2014

Multe ai giornalisti per l’uso improprio delle parole?—di Gianfilippo Cuneo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Gianfilippo Cuneo.

Che l’Italia sia in una situazione disastrosa è evidente; i colpevoli sono molti, ma c’è una categoria che è particolarmente colpevole ed è quella dei giornalisti. La colpevolezza è aggravata dal fatto che per obbligo professionale i giornalisti dovrebbero informare, ed invece disinformano, magari inconsciamente, con un diffuso uso sbagliato delle parole da loro scelte per descrivere le situazioni. I cittadini disinformati poi hanno attese irragionevoli, fanno scelte politiche errate ecc.: quindi il danno è grave e bisogna intervenire, magari con multe salate a chi usa le parole sbagliate. Read More

7
Feb
2014

Il modello svedese? Un falso storico, ecco perché.

Lo scrittore e giornalista Johan Norberg dice di essersi interessato alle teorie sullo sviluppo economico dopo aver studiato la storia di un Paese che, meno di 150 anni fa, era più povero del Congo, con un’aspettativa di vita media della metà e un tasso di mortalità infantile tre volte più alto della media dei paesi in via di sviluppo. Quel Paese era il suo Paese: la Svezia.

Ah, la Svezia! Fiore all’occhiello del socialismo europeo, modello di equità e redistribuzione, miracolo di interventismo economico e tassazione elevata (ma giusta, “perché lì in cambio c’hanno i servizi, mica come da noi!”). Ma siamo sicuri che la storia economica della Svezia sia una sorta di trionfale marcia politica della socialdemocrazia scandinava? A giudicare da un paper dello stesso Norberg, non sembrerebbe proprio.  Read More

6
Feb
2014

Tra tela di Penelope e rattoppo: gli incarichi di vertice negli enti pubblici.

Il legislatore nazionale emula Penelope, mentre fa e disfa norme che perseguono i medesimi intenti alla stregua della ben nota tela, ma senza troppa coerenza. A ogni nuova tessitura egli ribadisce l’interesse per il fine perseguito, ancorché in precedenza variamente vanificato, forse a causa di elementi contingenti che variano al variare dei Governi. Così l’ordito già tessuto viene successivamente sfilato da coloro il cui operato segue un’altra trama. La dinamica suddetta è della massima evidenza in materia di incompatibilità e conflitto di interessi nell’esercizio di cariche in ambito pubblico o ad esso connesso, temi oltremodo delicati nel nostro ordinamento.

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4
Feb
2014

Roma, le alluvioni, lo Stato che fa tutto tranne l’essenziale. Modesta proposta di un’Agenzia per il Ripristino Territoriale

Gli immensi danni prodotti dalle piogge battenti di questi giorni sono sotto i nostri occhi. Roma, Toscana, Sicilia, Liguria, Veneto. Settimane prima l’Emilia, già messa in ginocchio dal sisma di due anni fa. Dovunque danni immensi a persone e cose, imprese e lavoro, strade e ponti, edifici e ferrovie, monumenti e beni archeologici. Roma, da Prima Porta a Fiumicino, per larghi tratti del Tevere, prima e dopo gli alti argini umbertini, ridotta a una risaia del Mekong. Centinaia di famiglie che hanno perso tutto, il prefetto che invita a non recarsi nella Capitale.

Di fronte a tutto ciò, questo editoriale intende lanciare una semplice proposta. Una proposta avanzata da un liberista diffidente dello Stato, convinto però che lo Stato debba svolgere bene le sue poche funzioni essenziali, invece di occuparsi – come fa in Italia – di una miriade di cose improprie. Senza perdersi in giri di parole sull’incuria patologica per decenni degli assetti idrogeologici dell’intero paese, e sul contributo negativo apportato dall’abusivismo. Senza nascondersi dietro pareri diversi sul global warming e il suo impatto. Senza aggiungere altre osservazioni vane sulla moltiplicazione di competenze burocratiche che fa sì che il drenaggio del letto di un fiume, la manutenzione dei suoi argini, e il drenaggio e la tenuta dei terreni circostanti, appartengano nel nostro ordinamento a una miriade di autorità diverse, e distinte per diversi ambiti.

Le calamità in questo inizio secolo si ripetono ormai con frequenza annuale. Ed è evidente a tutti che la politica e le istituzioni non ne manifestano, sinora, la consapevolezza che dovrebbero assumerne: di risorse adeguate agli interventi necessari, di una nuova definizione istituzionale delle competenze, sia per la prevenzione, sia per gli interventi d’emergenza.

Diciamolo chiaro: a Roma in questi giorni è stato evidente, che di fronte alla gravità di quanto avveniva occorreva ricorrere all’Esercito, perché le istituzioni locali non erano in grado di misurarsi con gli eventi. E, sia detto per inciso, non sono certo i 10 milioni stanziati ieri dal sindaco Marino e dalla giunta capitolina per i primi interventi d’emergenza, a poter rappresentare una risposta adeguata, o a manifestare che la consapevolezza del ritardo pluridecennale finalmente convince la politica a cambiare passo.

Si dirà che emergenze e calamità, come in questo caso, sono già previste dalle leggi nazionali vigenti come evenienza per sbloccare i fondi negati alle Autonomie Locali per il Patto di Stabilità Interno. Vero, ma anche azionando questa leva, come puntualmente immaginiamo verrà disposto per Roma e non solo per Roma, comunque non ci siamo. Resteremmo lontani per multipli, dalle cifre che sono necessarie.

Riconsideriamo per un momento le dotazioni finanziarie appena stanziate con la recente legge di stabilità. Al fondo della Protezione Civile, 50 milioni di euro. Complessivamente 180 milioni per la tutela del suolo, di cui 30 per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016, affinché si giunga a opere cantierabili entro fine 2014 e autorizzate dal CIPE. Per la tutela e gestione delle risorse idriche, una dotazione di 10 milioni per il 2014, 30 per il 2015 e 50 per il 2016. Un Fondo di 30 milioni per il 2014 e altri 30 nel 2015 per un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive. A fronte di 400 milioni entro il 2017 al MOSE di Venezia, 1,3 miliardi a L’Aquila entro il 2015. E’ evidente dal confronto tra queste cifre, che la politica si limita a inseguire i disastri già avvenuti anni fa, e sfociati in mille polemiche. Ma, di risorse ordinarie adeguate allo sforzo gigantesco necessario per la messa in sicurezza dei fiumi e dei suoli, la politica non riesce a reperirne nella gestione ordinaria di bilancio. Né possiamo immaginare che davvero la risposta possa venire dalla gestione ordinaria dei pur oltre 110 miliardi di fondi europei a diverso titolo riservati all’Italia nei prossimi 7 anni, di cui 54,8 cofinanziati nazionalmente: anche se su una parte non secondaria di questa ricca posta potrebbe essere indirizzata, al fine di opere infrastrutturali utili non solo di completamento degli assi di trasporto, ma alla tutela del territorio.

In realtà al governo Letta si offre un’occasione, nel disastro di questi giorni. Perché non mettere rapidamente mano a una quantificazione d’emergenza delle molte decine di miliardi necessarie a un piano nazionale pluriennale di interventi idrogeologici di assoluta emergenza, e troppo a lungo rinviati? Perché non pensare a un’Agenzia incaricata di recuperare in pochi anni i più gravi ritardi, coordinando con procedure spedite le troppo frazionate competenze amministrative e le risorse private e delle imrpese, ma con una dotazione finanziaria propria e aggiuntiva, rispetto a quella dei risicati bilanci delle Autonomie e Agenzie Regionali all’Ambiente, Autorità di bacino e consorzi di bonifica?

Certo, lo sappiamo benissimo: serve un ok europeo. Ma non sarebbe questa, l’idea cioè di un’Agenzia Nazionale per il Ripristino Territoriale, qualcosa di equivalente a quella Tennessee Valley Authority di Roosevelt, di cui da sempre si riempiono la bocca i nostalgici keynesiani, che in realtà vogliono non solo quella ma lo Stato dovunque? Ecco, in Italia abbiamo lo Stato dovunque, ma NON dovrebbe dovrebbe essere.

Chi qui scrive è notoriamente diffidente delle pesanti intromissioni pubbliche nel mercato. Ma non si tratta di ottenere l’ok europeo a fondi pubblici aggiuntivi perché lo Stato decida lui in quale settore industriale investire o a chi discrezionalmente dare sussidi e a chi negarli. Qui si tratta di un compito essenziale di ogni Stato, anche di quello minimo come a me piacerebbe: argini e corsi dei fiumi, sicurezza dei declivi e delle aree urbanizzate, bonifiche e drenaggi, sicurezza di abitati e strade, ponti e ferrovie. Facciamo allora tornare lo Stato ai suoi compiti veri che trascura, mentre su tutti gli altri non cambierò mai idea e resterò in minoranza a criticare l’iperstatalismo italiano.

Mi si potrà dire: figuriamoci, è un compito troppo vasto, l’Europa non ci permetterà mai di poter contare su 1 o 2 punti di Pil di risorse pubbliche aggiuntive a questo fine. Ma non è così, se il progetto è serio e se le procedure fossero attentamente invigilate anche direttamente dall’Europa, tenendo alla larga i mille scandali italiani su gare e forniture, corruzione e bustarelle. Il rischio dell’ennesimo carrozzone pubblico è molto alto: ma se siamo rassegnati a questo, allora smontiamolo questo mostro di Stato sant’Iddio, invece di tenercelo com’è, pesantissimo dove ci rapina e tragicamente inefficiente dove serve. Bisogna crederci, nella necessità di non ritrovarci in ginocchio, ogni inverno, a piangere morti e crolli, alluvioni e disastri. Dipende solo da noi, fare ciò che per tanti anni non è stato fatto. E non fermarci alle mille polemiche del giorno dopo, dimenticate dopo un mese, per ritrovarci ogni anno punto e daccapo.

 

4
Feb
2014

Quando l’anticorruzione moltiplica la burocrazia—di Lorenzo Castellani

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Castellani.

La legge 190/2012 ha introdotto l’obbligo per gli enti locali di adottare entro il 31 Gennaio 2014 un piano triennale anti-corruzione con l’obiettivo di prevenire il verificarsi dei fenomeni corruttivi. All’interno dei piani triennali anticorruzione dovranno essere individuate le aree a rischio e per ciascuna di essa gli interventi per ridurre i rischi, programmare le iniziative di formazione, individuati i referenti e i soggetti tenuti a relazionare al responsabile della prevenzione. Per ciascuna delle misure previste nel Piano, dovrà essere individuato il responsabile ed il termine dell’attuazione, prevedendo le modalità e i tempi d’attuazione delle altre misure a carattere generale contenute nella l. 190/2012 e introdotto un sistema disciplinare che includa le sanzioni per i casi d’illecito. Dovranno, inoltre, essere definite misure per l’aggiornamento e monitoraggio del Piano adeguando i sistemi informativi per gestire i corrispondenti flussi d’informazione.

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1
Feb
2014

L’incredibile qualità di Poste Italiane

Gli italiani sono purtroppo inconsapevoli dell’eccezionale livello qualitativo del recapito di Poste Italiane. Una performance in grado di far impallidire la neo quotata Royal Mail assieme alla gigantesca Deutsche Post oltre che di lasciare al palo La Poste francese, il servizio postale del paese a più antica tradizione di capacità organizzativa del settore pubblico.

La qualità del recapito italiano risulta infatti ai vertici tra tutti i paesi europei di grande superficie geografica, questo dicono le fonti ufficiali, ed è superata solo in paesi di medie o piccole dimensioni. Ad esempio in Lussemburgo e in Svizzera il 98% delle lettere viene consegnato il giorno dopo la spedizione, ma portare le lettere da Aosta al Salento o da Bolzano a Trapani è un po’ più complesso che farlo nel Granducato o tra Zurigo a Ginevra.

Non solo la qualità del recapito italiano è migliore rispetto a tutti i paesi di dimensione comparabile ma essa batte con facilità anche paesi di più modeste dimensioni come il Belgio, la Danimarca e persino l’Olanda della privatizzata TNT che l’Indice delle Liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni classifica da molti anni ai vertici dei paesi europei liberalizzati. E questo nonostante sia molto più facile portare la posta da Amsterdam all’Aia e da Bruxelles ad Anversa che da Trieste in giù…

Vediamo allora questi dati così favorevoli al nostro paese che purtroppo i consumatori si ostinano a ignorare, tratti dallo studio “Main Developments in the Postal Sector (2010-2013)”, redatto da Wik-Consult per la Commissione dell’Unione Europea e pubblicato ad agosto 2013.

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Come si può vedere, dopo il già citato Lussemburgo che non è tuttavia comparabile con gli altri paesi, la qualità postale più elevata risulta garantita nell’Unione Europea dalle poste austriache le quale recapitano il 96% delle corrispondenze il giorno successivo alla spedizione.  Subito dopo le poste austriache si collocano con performance praticamente identica tre imprese tra cui Poste Italiane.

Le nostre poste consegnano il 95% delle missive che inviamo o che ci vengono spedite entro il giorno successivo alla spedizione! E’ la stessa performance delle poste svedesi. Lo avreste mai sospettato? Inoltre, poiché l’azienda postale che serve la Svezia copre anche la Danimarca e in Danimarca il livello qualitativo è lievemente inferiore, se valutiamo la performance a livello di azienda anziché a livello di paese Poste Italiane risulta battere persino PostNord AB. Per non parlare dell’azienda olandese, che è un punto al di sotto pur servendo un paese piatto, densamente popolato e grande solo una frazione dell’Italia; o di Deutsche Post e Royal Mail che sono due punti al di sotto e La Poste, ben sette punti percentuali sotto di noi. Correos spagnola, infine, non l’abbiamo neppure riportata nel grafico dato che registra un misero 70,5% contro il nostro 95%!

Purtroppo i consumatori italiani non credono in questa altissima performance di Poste Italiane, giornali diffidenti ritengono che non sia vera  mentre altri continuano a riempire le pagine con notizie di disguidi e disservizi, taluni anche molto gravi. E Poste Italiane non fa cenno alcuno a questi risultati straordinari sul suo sito web, neppure nella pagina relativa al prodotto al quale la rilevazione della qualità si riferisce.

Possibile che abbiamo a disposizione in Italia una Ferrari del recapito e che l’azienda, in procinto di essere collocata in Borsa, lasci che i suoi consumatori continuino a credere che sia una Trabant della defunta DDR? Eppure si tratta di dati certificati dal regolatore del mercato postale, da un paio d’anni l’AGCOM-Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che è competente per la definizione degli standard di qualità e il relativo controllo. Sono dati per la cui raccolta sembra che le casse pubbliche spendano 1,2 milioni di euro…