21
Mag
2014

I pregi dell’Unione Europea

Alle prossime elezioni europee si confronteranno due visioni dell’Europa: quella di chi ne critica i pregi, difendendo politiche populiste, e quella di chi ne elogia i difetti, non pago della crisi prodotta dalle politiche di integrazione. Essendo diffidente sia verso il populismo dei “No Euro” sia verso l’idea di una maggiore integrazione, magari “politica”, che secondo molti è la “risposta alla crisi”, sento la mancanza di una terza via che sottolinei gli enormi vantaggi dell’Europa e cerchi di correggerne i numerosi difetti, evitando di aggiungerne di nuovi.

Cominciamo dai vantaggi dell’Europa.

Grazie all’Europa è possibile commerciare liberamente in tutto il territorio dell’UE, tramite due delle “Quattro Libertà”: il libero movimento delle merci e dei capitali (quello dei servizi non è pervenuto: l’UE ci aveva provato tramite la Direttiva Bolkenstein, ma la Francia si è opposta e purtroppo ha vinto).

Grazie all’Europa (i.e., a Schengen) è possibile viaggiare e lavorare ovunque senza permessi di soggiorno, passaporti, e file in aeroporto (fate la fila per Londra – che non è in Schengen – e capirete quanto è comodo invece farne parte).

Grazie all’Europa ci sono dei limiti legali (sulla carta, dato che non sono mai stati fatti seriamente rispettare) che impediscono ai governi di scaricare sui vostri figli il costo di un debito ancora maggiore.

Grazie all’Europa (i.e., all’euro) i governi non possono produrre inflazione per arricchirsi a danno dei risparmiatori e non possono manipolare i mercati finanziari per creare bolle tramite la politica monetaria. Sebbene l’inflazione sembri un problema risolto, la manipolazione dei mercati finanziari sembra ancora oggi lo strumento principale delle politiche monetarie: è stata la distorsione del costo dei titoli pubblici seguito all’introduzione dell’euro infatti ad aver prodotto l’Eurocrisi.

Grazie all’Europa gli italiani possono difendersi dai loro governanti e dai loro amministratori: la Google Tax e la ritenuta del 20% sui bonifici da estero sono state cassate, l’Italia è stata redarguita per vergogne quali i tempi dei processi e la carcerazione preventiva, molti mercati sono stati aperti grazie a pressioni e imposizioni provenienti dall’UE.

Questi punti hanno una cosa in comune: non richiedono che una minima euroburocrazia, e soprattutto non richiedono un’unione politica. Tutto ciò che serve dell’Unione Europea si può fare senza un’unione politica, con una possibile, ma improbabile, eccezione: la politica estera.

È da notare che i cosiddetti No-Euro critichino pressoché tutti i vantaggi dell’UE, e per questo motivo possono essere considerati la summa di tutte le opinioni illiberali del paese. L’UE è al contrario una gran cosa quando difende gli italiani dalle svalutazioni, il debito, il protezionismo, le regolamentazioni: tutti i suoi vantaggi derivano dal fatto che l’UE “limita la nostra sovranità”, cioè il potere della nostra classe politica.

[SEGUE: i difetti dell’UE]

20
Mag
2014

L’occasione mancata nelle nomine—di Gianfilippo Cuneo

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gianfilippo Cuneo.

La prima dichiarazione di Moretti come Amministratore Delegato di Finmeccanica è stata quella che ci sono dirigenti che guadagnano troppo. “Da che pulpito!” verrebbe da dire. Finmeccanica è un’azienda quotata, ed al mercato non interessa se qualche manager guadagna tanto o poco ma piuttosto se contribuisce ad aumentare il valore delle azioni o no; forse sarebbe stato meglio un silenzio fino a quando il nuovo amministratore delegato non sarà in grado di indicare delle credibili linee di sviluppo e far dimenticare come la sua nomina sia stata salutata con un tonfo del titolo.

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16
Mag
2014

Gli eBook tornano a essere libri (ma non del tutto)

Al pre-Consiglio dei ministri di ieri, il ministro dei beni culturali Dario Franceschini ha presentato una bozza di decreto legge avente ad oggetto varie misure per il rilancio del turismo e relative alla gestione e al trattamento fiscale dei beni culturali, di cui sul blog ha già parlato qui Filippo Cavazzoni. Tra queste ultime pare riscontrarsi, finalmente, la proposta di riduzione dell’IVA su eBook e riviste elettroniche. Read More

15
Mag
2014

Mercato delle donazioni e cultura

Al preconsiglio dei ministri di questo pomeriggio verrà portato un nuovo decreto legge sulla cultura. Sono passati solo pochi mesi dalla conversione in legge del decreto Valore Cultura, e già si sta per intervenire su alcune sue norme: il progetto Grande Pompei, le erogazioni liberali, le agevolazioni per il cinema, il fondo di rotazione per le fondazioni liriche, ecc. Il filo rosso che lega i nuovi interventi è rappresentato dal tentativo di far affluire maggiori risorse per il settore: nuovi stanziamenti pubblici e revisioni delle agevolazioni fiscali.

In merito a queste ultime, è previsto, come si legge oggi sul Sole 24 Ore, che “chi aiuterà la cultura (beni pubblici, ma anche istituzioni e attività) con erogazioni liberali potrà detrarre il 65% nel 2014 e 2015. Il bonus scenderà al 50% nel 2016. Le detrazioni dovranno essere ripartite in tre rate annuali uguali, saranno limitate al triennio e l’importo annuo della detrazione non potrà superare il 20% del reddito del reddito complessivo del mecenate”. Read More

14
Mag
2014

L’ottimismo di troppo sullo spread e quel che davvero serve al Sud

Renzi va a Napoli quando alla Camera dei Deputati è giunto al varo finale il decreto Poletti , che insieme al decreto sul bonus di 80 euro ai dipendenti fino a 25 mila euro lordi rappresenta al momento la produzione legislativa del governo Renzi. Per il resto del tambureggiante programma di riforme annunciato dal governo occorre aspettare le elezioni europee. Che rischiano di produrre conseguenze anche molto serie, sulla continuazione della collaborazione tra maggioranza di governo e Forza Italia in materia di riforme istituzionali e costituzionali. Forse anche sulla durata stessa della legislatura, visto che a quel punto i problemi interni al Pd si acuirebbero. Ma di tutto questo è il caso di occuparsi solo a voti europei contati, giudicando il distacco di Grillo da Renzi, e tra grillini e berlusconiani. Ora che il decreto sul lavoro diventa legge, è il caso invece di riflettere sulle condizioni generali dell’economia italiana. E del suo Mezzogiorno.

Aver attenuato l’eccesso di limiti posti nel 2012 a tempo determinato e apprendistato – attenuazione comunque frenata, proprio ad opera di una parte del Pd che sul mercato del lavoro non condivide affatto la via alla flessibilità indicata da Renzi e Poletti – ha sicuramente effetti positivi. Ma non è il caso di illudersi. La condizione italiana resta grave. La crescita italiana attesa nel 2014 è stata abbassata pochi giorni fa dall’Ocse a un modestissimo più 0,5%. In queste condizioni, occorrerebbero troppi anni per recuperare i 9 punti di Pil e i 24 punti di produzione industriale persi sin qui nella crisi, e per vedere la disoccupazione scendere sotto il 10%.

Purtroppo, è il caso di dire, la politica sembra credere che il barometro sia ormai stabilmente orientato verso il bel tempo, e sia quello espresso dal bassissimo spread sui titoli decennali tedeschi, ormai intorno a quota 150 punti rispetto agli oltre 550 del 2011. Ma non è affatto così. Ora che il rendimento sui titoli pubblici decennali italiani e spagnoli è praticamente pari a quello degli omologhi titoli pubblici statunitensi, bisogna ricordare che non è affatto detto che la cosa resti in questi termini. La crisi ucraina, la frenata di Cina, Giappone e Paesi emergenti, sono tutti fattori che contengono la crescita del commercio mondiale entro poco più del 2% nel 2014, e purtroppo allo stato attuale è questo l’unico treno a cui sono agganciate le 190 mila imprese italiane che esportano, e soprattutto le 70 mila che lo fanno strutturalmente. Non ci aiuta la bassissima inflazione europea attuale. A marzo, su base annuale, Grecia Portogallo e Spagna erano in deflazione, l’Irlanda ha un’inflazione allo 0,6%, l’Italia allo 0,9%. Al contrario avremmo tutti bisogno di una crescita nominale intorno al 2% che dovrebbe essere garantita dalla BCE: in assenza di essa, i debiti pubblici a questi risicati tassi di crescita reale non si stabilizzano, ma continuano a salire. Vedremo a giungo, che cosa Draghi potrà fare davvero. Ma ilo contesto internazionale dice che gli spread risaliranno.

Il vero problema – come sempre, checché dicano gli antieuro e i rinnovati sostenitori del “golpe”che sarebbe stato perpetrato contro Berlusconi nel 2011– sta a casa nostra. Sappiamo che in tempi brevi è infondato attendersi sostanziali sgravi fiscali alle imprese, visto che i tagli alle spese per il 2014 si sono fermati a 3 miliardi di euro devoluti al bonus Irpef. E per quanto una spinta a incrementare la domanda di lavoro possa venire dalla prossima riforma delle regole del lavoro – con il nuovo codice semplificato, il contratto triennale d’inserimento a tutele crescenti, l’estensione universale del sostegno al reddito di chi è disoccupati e la riforma dei centri per l’impego, tutte cose annunciate ma ancora di là da venire – anche questi saranno interventi utili a seconda di come davvero verranno scritti e approvati, ma di cornice più che di sostanza.

Nel semestre di presidenza italiana della Ue che comincia a luglio, c’è da sperare che Renzi faccia fare dei passi avanti veri al promesso Industrial Compact, visto che Europa si sono persi 3,8 milioni di posti di lavoro, l’11% dell’occupazione rispetto al 2008, e in Italia il numero di disoccupati è prossimo ai 2,6 milioni di unità, con un tasso di disoccupazione oltre il12% e oltre il 40% per i giovani. Ma in Italia abbiamo perso stabilmente a oggi circa il 15% del potenziale manifatturiero, con le 91 mila imprese scomparse al netto delle nuove create, e al Sud il declino di occupazione e imprese resta drammaticamente doppio e triplo che al Nord. Di conseguenza, molti ripetono che abbiamo e avremo bisogno di “politiche industriali” , un’espressione che è accettabile solo a patto che siano molto diverse da quelle nei decenni praticate – sbagliando – dalla politica, con la convinzione cioè di potere e volere indicare e pianificare i settori e concentrandovi risorse discrezionali.

Facciamo degli esempi. Rispetto ai principali paesi europei, la diffusione delle imprese innovative, valutata come la quota di imprese che hanno introdotto nel periodo 2008-2010 innovazioni di prodotto, di processo, organizzative o di marketing, vedeva una media italiana (56,3%) superiore a quella della UE a 27 (52,9%). Ma mentre le innovative del Nord Est italiano erano il 62% del totale, e quelle settentrionali il 60%, i valori del Sud e delle Isole erano di 15 punti inferiori. Considerando la spesa per innovazione, il Centro risulta simile alle regioni del Nord, mentre nel Mezzogiorno sia l’investimento per impresa che quello per addetto sono inferiori alla metà delle altre macroaree italiane. Se consideriamo i brevetti depositati nell’anno di inizio crisi, il 2008, il Nord superava i 110 brevetti per milione di abitanti, il Centro era a meno della metà, nel Sud erano meno di 15. I brevetti a maggiore contenuto innovativo, quelli high-tech e ICT, erano nel Nord Ovest il triplo che al Sud. La geografia della diffusione dei marchi è analoga a quella dei brevetti. Tra il 2003 e il 2011 sono stati depositati circa 11 marchi ogni mille addetti nel Nord Ovest e nel Nord Est, 7 nel Centro , solo 2 per mille addetti del Sud e Isole. Il ricorso al design industriale vedeva 21,5 marchi depositati per mille addetti nel Nord, 3,3 al Sud e isole.

Ecco, la politica di sviluppo del Sud ha bisogno di un aggancio strutturale tra università e imprese meridionali all’orizzonte europeo di ricerca 2020, incentrato sulla diffusione di brevetti, marchi e innovazione. Serve molto più questo che le vecchie anticaglie dei nostalgici della Cassa per il Mezzogiorno. E non servono affatto incentivi a fondo perduto, scissi dall’avanzamento verificato di piani d’impresa seri. Serve il riaccorpamento “centrale” delle risorse europee che le regioni del Sud continuano in percentuali elevatissime a non saper usare.

E servono infrastrutturazione digitale e cultura, servono anche al turismo e allo sfruttamento dei beni culturali. Al Sud è minore la diffusione e la familiarità con le nuove tecnologie: nel 2011 solo l’8% della popolazione meridionale usava Internet per acquistare beni e servizi, rispetto al 19% nazionale. Solo il 5% della popolazione meridionale tra i 25 e i 64 anni era impegnata in attività di formazione e riorientamento al lavoro, più del 20% in meno rispetto alla media nazionale. er attenuare disoccupazione e deserto d’impresa serve più tutto questo, insieme a meno tasse ed energia meno cara, che mille sia pur opportune riforme delle regole.