Mare Monstrum: proposte abrasive, non federaliste, alternative al quotidiano fallimento dello Stato
Per un mercatista liberale è doppiamente doveroso avanzare proposte su quanto avviene ogni giorno nel canale di Sicilia. Non solo perché si tratta di tragedia umanitaria. Ma innanzitutto perché è un conclamato, reiterato, abnorme fallimento dello Stato, dello Stato con la S maiuscola come piace scrivere agli statalisti: è il fallimento di tutti gli Stati europei oltre che del nostro, quando a garanzie di diritti primari essenziali come la vita, la sicurezza e e la libertà. Mare Monstrum bisogna chiamarla, altro che Mare Nostrum, la missione speciale quotidiana delle forze italiane militari, di sicurezza e protezione civile al fine di salvare più vite possibile tra le migliaia indirizzate verso le coste italiane dai trafficanti di disperazione umana. Una missione fallita, malgrado l’enorme e ammirevole energia di chi vi si adopera. Ieri una classica giornata di eccezionale ordinarietà, con altri 30 morti su un barcone che ne ospitava oltre 600, salvato dalla Marina al largo delle coste ragusane. E la tragedia nella tragedia, con il comune di Pozzallo nell’impossibilità di celle frigorifere in numero adeguato alle vittime.
Oggi è il giorno in cui inizia il semestre europeo di presidenza italiana, ed è il caso di indirizzare al presidente del Consiglio qualche considerazione costruttiva. Perché far bassa polemica su questi argomenti è cosa facile e insieme miserabile, e perché Renzi per primo toccherà questo argomento nel suo discorso di presentazione del semestre italiano. Ci sono almeno quattro aspetti diversi da considerare.
Il primo riguarda l’oggettivo disinteresse con il quale il più dell’Europa ha guardato a questa emergenza. Il bilancio dell’Agenzia Frontex, incaricata di coordinare pattugliamento dei confini europei e rimpatrio dei clandestini, è chiaro già dalle missioni svolte, da metà degli anni Duemila fino ad oggi. Riguardano all’80% l’Est Europa e il confine balcanico, oltre agli aeroporti. E’ evidente che le preoccupazioni dei paesi euroforti centro e nord europei hanno sempre avuto la meglio. Un primo esiguo segnale di coinvolgimento di mezzi europei sul confine mediterraneo, la scorsa estate, non ha avuto seguito quest’anno. La Francia il mese scorso si è unita alle richieste italiane di sostituire a Frontex una Frontex Plus, ma sinora si è visto nulla. A me gli strilli quotidiani e inani del ministro Alfano non piacciono: se non contiamo nulla e non ci ascoltano, temo sia innanzitutto per colpa nostra.
Secondo: le richieste italiane. E’ inutile negarlo, al Consiglio europeo di Ypres l’attenzione preminente è andata alla partita delle nomine e di Juncker, e al nodo di una maggior flessibilità nell’applicazione procrescita del patto di stabilità europeo. Anche Renzi, nella conferenza stampa conclusiva del vertice, ha sfiorato solo di sfuggita la questione Frontex. Indiscrezioni autorevoli vogliono che ora il governo italiano cambi marcia. E’ necessario, da subito, perché il prossimo eurovertice di metà luglio possa assumere decisioni nuove.
Il punto non è spostare la sede dell’Agenzia speciale europea, da Varsavia verso il Mediterraneo. Se tutto restasse com’è, sarebbe uno sciocco contentino privo di contenuto. La svolta non è nemmeno il commissario ad hoc europeo subito annunciato da Juncker. Quel che serve non è un eurocrate in più. Il nodo di fondo è finanziario e operativo. Gli 80 milioni di bilancio di Frontex fanno ridere, di fronte al fatto che l’Italia sostiene più di 10 milioni al mese per i soli interventi d’emergenza e salvataggio di Mare Nostrum, 10 milioni che naturalmente non bastano affatto visto che dei 65mila salvati in 6 mesi, 61mila sono entrati in Italia, e 5000 nello scorso solo fine settimana. Sono entrati in un’Italia in cui le strutture pubbliche residue di prima accoglienza previste dalle leggi sull’immigrazione sono al collasso, e in cui abbiamo preso sussidiariamente a chiedere ai Comuni di fare i miracoli, come se non fossero in molti casi al lumicino anch’essi. Tale quadro postula una moltiplicazione delle dotazioni finanziarie europee per quattro o per cinque, di cui per almeno metà destinate al limes mediterraneo. Con poteri reali a disporre missioni operative navali internazionali di tipo “stanziale”, cioè di lungo periodo.
Terzo: la minaccia italiana. Diciamolo qui in chiaro quel che un presidente di turno europeo non può dire, per ovvi doveri diplomatici. La posizione italiana è percepita come debole da anni in Europa, non solo per via delle debolezze accumulate sulle questioni di finanza pubblica. E’ inutile nasconderselo. Per questo, la radicalità della svolta europea può davvero avvenire solo se, nei colloqui riservati con i maggiori leader europei, l’Italia indica con una certa durezza misure alternative proprie, se l’Europa dovesse restare sorda. Gli strilletti e le dichiarazioni retoriche antieuropee a fini domestici non servono a nulla. Facciamo un esempio.
Per la natura della nostra frontiera marittima, non possiamo contare su soluzioni temporali extraterritoriali (in un passato lontanto e vicino avvenne, da parte del Regno Unito come della Francia e degli Usa). Ma attenti: il diritto internazionale marittimo potrebbe benissimo consentire alle autorità italiane di disporre alle navi battenti bandiera estera transitanti nel canale di Sicilia di prestarsi non al salvataggio, ma a ospitare i salvati fino al regolare porto di arrivo e NON su coste italiane. E’ una misura durissima, ma fattibile. L’extrema ratio, per far ragionare l’Europa visto che alzerebbe i noli per tutti i maggiori porti spagnoli e francesi, colpendo i traffici anche verso il nordeuropea..
Quarto: la reciproca convenienza. Per una nuova politica europea serve un ragionamento diverso, rispetto alla pura compartecipazione operativa, finanziaria e dei flussi finali di migranti. In realtà non ci sono queste tre misure comuni, perché non c’è una comune politica dell’immigrazione, considerandola come fattore essenziale della crescita e stabilità economica complessiva. Sin qui, i diversi paesi membri dell’Unione hanno adottato legislazioni diverse sulle procedure di ammissione temporanea, sui requisiti di lavoro, sul diritto al ricongiungimento delle famiglie e sulla cittadinanza. Sono le diverse vie nazionali per superare una frontiera comune, a non funzionare più. Erano figlie di un’era in cui ciascuno pensava alla propria crescita economica, ai diversi retaggi coloniali, a confliggenti teorie e prassi giuridiche della cittadinanza. E a fabbisogni di manodopera, contributi sociali e tasse, completamente slegati da paese a paese.
La drammatica crisi dell’Europa ha mostrato in questi anni che non è più così. La devastante curva demografica italiana e l’invecchiamento della popolazione tedesca sono due facce di una stessa medaglia. Non credo all’ipotesi federalista di unificare per tutti subuito le regiole di ammissione e cittadinanza. parlo di un’altra cosa: più l’Italia è lasciata sola nel salvataggio e nel filtro impossibile di centomila disperati l’anno, meno potrà concentrarsi su una politica di “scelta” di migranti per qualità dell’offerta, come invece da tempo hanno iniziato a fare i paesi nordeuropei. Ma meno lo faremo noi, più metteremo anche gli altri paesi europei nelle stesse condizioni. Perché nessuno di chi viene ripescato in mare, oggi, vuole restare nel nostro impoverito paese. Amaro dirlo, ma giusto riconoscerlo. E farlo presente a tutti, con la dovuta chiarezza.