Renzi alla Fiera del Levante: 4 idee sul Sud, cominciando da chiusura dell’Ente Fiera
Sabato prossimo il premier Matteo Renzi inaugurerà la 78esima fiera del Levante. Da un po’ di anni a questa parte, i presidenti del Consiglio italiani intervengono a Bari ma non parlano di Mezzogiorno. Monti ebbe a dichiarare esplicitamente, come premier, che per il Sud il suo governo non aveva una politica specifica: il problema era salvare l’Italia, e al Sud innanzitutto partiti e politica dovevano cambiare testa, e occupare meno la macchina pubblica. Un anno fa, quando toccava a Letta, rileggendo il suo discorso si vedevano in filigrana già tutte le debolezze di un governo esausto. Disse che la legge di stabilità l’avrebbe scritta Roma e non Bruxelles, e che sbagliava chi incalzava il governo scambiano per meri annunci la pluralità di riforme in cantiere. Il consiglio non richiesto che diamo a Renzi è di rileggere Letta, e di non commettere lo stesso errore del suo predecessore, visto che sembrano rubrasi le parole. E neppure quello di Monti.
Non è vero, che non bisogna avere una politica per il Sud. E mettiamo subito le mani avanti. Diamo atto al governo Renzi di arrivare a Bari avendo continuato nella battaglia per recuperare buona parte dei fondi europei 2007-2013 non spesi nel Mezzoggiorno per colpa innanzitutto delle Regioni meridionali e di chi le amministra (con percentuali di inefficienza diverse, non esiste da tempo un Sud indifferenziato, il disastro di Calabria e Sicilia non è il ritardo della Campania, e la Puglia fa storia a sé). E di aver instradato con la Commissione Europea un percorso – richiestoci duramente da Bruxelles con circa 250 puntuali osservazioni, e instradato dal governo Letta e da Moavero Milanesi con Monti – per “blindare” con nuovi criteri responsabilità amministrative, priorità e controlli l’uso dei fondi europei 2014-2021, a oggi il più del volano degli investimenti immaginabili nel Mezzogiorno per gli anni a venire. In più, il governo ha inserito nello sblocca-Italia opere come l’Alta Velocità ferroviaria tra Napoli e Bari (semrope senza una seria analisi costi-benefici, ma questo è un altro paio di maniche). E dei 24 contratti di programma annunciato a luglio, per 1,4 miliardi di cui 700 milioni di fondi nazionai, l’80% riguarda il Mezzogiono.
Detto questo, a Renzi che afferma con energia l’importanza dello storytelling e di una narrativa ottimistica delle possibilità italiane, in questi mesi è sin qui mancata l’occasione e la voglia per un discorso sul Sud. Vi ha dedicato tappe del suo viaggio in Italia al Sud, alle scuole come a insediamenti industriali. Ma altra cosa è capire che cosa il Sud debba aspettarsi, dai mille giorni del programma di Renzi sino alle prossime elezioni. Perché, nel sito dedicato al programma, il Sud è una spezia per condire il tutto. Ma un piatto proprio non ce l’ha, nel menu del governo.
Quando, nel giugno scorso, il ministro dell’Economia Padoan rispose a una puntuta intervista del Mattino che gli poneva questa questione, fece un accorato appello a una miglior efficienza e qualità delle Autonomie, Regioni e Comuni. Giusto ed essenziale. Ma anche se i toni non erano duri e “settentrionalisti” come quelli di Monti, la sostanza era la stessa.
Il problema è quel che manca, oltre all’appello a cambiare la qualità della politica e dell’amministrazione meridionale. Sin dai tempi delle chiacchiere Berlusconi non c’è, una strategia per il recupero dei tremendi gap accumulati dal Sud nella crisi: di bassissima partecipazione al mercato del lavoro di giovani, donne e over 55enni, di desertificazione d’impresa, di restrizione di credito. L’ultimo a parlarne fu Prodi, e c’era da discutere sulle sue idee, ma comunque il suo governo non ebbe fortuna. Ora occorre una scelta strategica che veda il governo, le Regioni e le maggiori città del Sud stilare una serie ristretta di priorità per i fondi 2015-2021, con un meccanismo che di anno in anno faccia scattare allocazioni sussidiarie e prioritarie per evitare di restare indietro. Noi non possiamo offrire al Sud il cambio alla pari che la Repubblica Federale Tedesca con il lungimirante Kohl garantì alla Germania Est all’atto dell’unificazione, zittendo la Bundesbank che era contraria. Ma al Mezzogiorno e alla sua gente dobbiamo costruire non la possibilità, ma la necessità di potersi battere alla pari, per il miglior utilizzo di risorse scarse.
Per far questo, facciamo quattro esempi concreti. Nella spending review – che il governo ha sin qui tenuto nel cassetto – occorrerebbe prevedere un capitolo a sé che riguardi il Sud. Perché l’accentrarsi “storico” di spesa e trasferimenti procapite, dipendenti pubblici a parità di perimetri o trattamenti d’invalidità, dovrebbe conoscere logiche di ridimensionamento “diverse” dal resto del Paese, cioè capaci di tener conto dell’impatto sociale. Altrimenti, con le nuove assunzioni di precari nella scuola, torniamo a un Sud con un insegnante per ogni 10 alunni, come comprovano le prime proiezioni elaborate la settimana scorsa. Ed è una cosa che semplicemente non ci possiamo permettere. Tanto per cominciare, allora, sarebbe bello che Renzi dalla stessa tribuna della Fiera del levante dicesse che l’Ente omonimo di diritto pubblico deve chiudere o essere ceduto a privati, visto che perde cumulativamente da 5 anni come abbiamo qui documentato.
Secondo esempio. Nel Sud più che altrove serve un’agenzia pubblica ma indipendente, composta da professionalità economiche e d’impresa elevate, capace di valutare ex ante in autonomia rispetto ai governi e alle Regioni i costi-benefici delle agevolazioni e degli investimenti pubblici, capace di monitorare nel tempo l’attuazione dei piani industriali agevolati (facendo anche scomparire i contributi a fondo perduto, che ancora restano anche nei programmi di sviluppo attuali, e che non aiutano la serietà dei progetti), e capace di fare un serio bilancio ex post degli interventi, in modo da spingere i successivi impieghi di capitale pubblico verso sempre migliori pratiche. La politica non ama le valutazioni di efficienza indipendenti. Ma dalla fine dell’epoca gloriosa della primissima Cassa del mezzogiorno, la serietà delle valutazioni tecniche a corredo degli investimenti e delle agevolazioni troppe volte ha piegato il capo a criteri clientelari e di consenso. E’ per questo che nel Sud in passato troppe volte gli aiuti pubblici si traducevano in “prendi i soldi e scappa”, desertificando vieppiù l’impresa sana. Ed è per questo che un’eguale unità di capitale pubblico investita in Germania ha un rendimento superiore dui quasi il 40% a un eguale impiego in Italia, stando all’ultimo outlook del Fondo Monetario.
Il terzo esempio riguarda la ricerca e l’innovazione nelle imprese, che – tranne eccezioni che per fortuna esistono – nella media però ha un divario negativo tra il 40 e il 60% rispetto al CentroNord. Il quarto esempio investe il Jobs Act: pensare che la nuova Agenzia del lavoro sia fatta al Sud dalla somma dei vecchi uffici provinciali all’impiego, significa fallire con assoluta certezza.
Bari è l’occasione per colmare questi vuoti. Renzi la sfrutti. Non parli dei gufi. Spieghi al Mezzogiorno che, del suo disastro attuale, non conta solo indicare i colpevoli. Ma anche coloro da cui sperare il riscatto con svolte concrete. Se ci sono.