L’alluvione di Genova ed i cambiamenti climatici: proteggere il clima o proteggersi dal clima?
Come sempre accade in presenza di un “evento estremo”, anche nel caso dell’alluvione di Genova molti politici e commentatori non hanno resistito alla tentazione di tirare in causa l’effetto serra.
A sproposito: vediamo perché.
Prima domanda: una precipitazione intensa come quella che si è verificata nel capoluogo ligure la scorsa settimana sarebbe potuta accadere cinquanta o cento anni fa, prima che l’uomo iniziasse ad emettere anidride carbonica in atmosfera? Sì.
Come racconta Jacopo Giliberto, l’eventualità che potesse verificarsi una precipitazione d’intensità paragonabile a quella degli scorsi giorni era stata prevista nel lontano 1907 dall’ingegner Cannovale del Comune di Genova: se per costruire la copertura del Bisagno fossero stati seguiti i calcoli di Cannovale, il torrente sarebbe in sicurezza da un secolo e la città non ripetutamente sommersa da acqua e fango.
Seconda domanda: se una precipitazone intensa sarebbe potuta accadere già cento anni fa o nei secoli passati, non è però aumentata a causa del riscaldamento globale la frequenza dei fenomeni estremi?
In questo caso la risposta è, forse sorpendentemente per molti, negativa. Con riferimento alla situazione italiana, ad esempio, si legge in un recente documento a cura della Provincia di Torino e della Società Metereologica Subalpina (“Cambiamenti climatici e governo del territorio“) che: “le precipitazioni intense per ora non sono in aumento. Sebbene molti modelli climatici prevedano un futuro aumento dei casi di precipitazione intensa, potenzialmente responsabili di dissesti idrogeologici sul territorio, al momento in Provincia di Torino questa tendenza non sembra essere ancora evidente”.
Il caso piemontese non costituisce peraltro un’eccezione ma, semmai, la regola a livello mondiale. Di seguito riportiamo alcuni estratti dall’ultimo rapporto IPCC sullo stato del clima:
“Current datasets indicate no significant observed trends in global tropical cyclone frequency over the past century … No robust trends in annual numbers of tropical storms, hurricanes and major hurricanes counts have been identified over the past 100 years in the North Atlantic basin”
“In summary, there continues to be a lack of evidence and thus low confidence regarding the sign of trend in the magnitude and/or frequency of floods on a global scale”
“In summary, there is low confidence in observed trends in small-scale severe weather phenomena such as hail and thunderstorms because of historical data inhomogeneities and inadequacies in monitoring systems”
“In summary, confidence in large scale changes in the intensity of extreme extratropical cyclones since 1900 is low”.
Peraltro, se fino ad oggi non vi sono elementi sufficienti per affermare l’aumento della frequenza dei fenomeni estremi, vi è chiara evidenza di come, grazie al miglioramento della capacità di prevedere l’evoluzione delle condizioni meteorologiche nel breve termine, alla disponibilità di strutture maggiormente in grado di resistere a fenomeni particolarmente violenti ed alla possibilità di evacuare in tempi rapidi – abitualmente grazie alla propria auto – dalle zone che si prevede saranno colpite da calamità naturali, il numero complessivo di persone vittime di tali fenomeni si è ridotto radicalmente negli ultimi decenni e, considerata l’aumento della popolazione, ancor più è diminuito il rischio individuale: negli ultimi anni hanno perso la vita a causa di un evento climatico estremo all’incirca tre persone su un milione a fronte di più di cento nella prima metà del secolo.
Sono in aumento in valore assoluto i danni economici; tale evoluzione è però esclusivamente da addebitarsi al maggior valore delle proprietà di cui disponiamo oltre che ad una maggiore concentrazione della popolazione nelle aree costiere. Tra il 1990 ed il 2012 l’ammontare complessivo dei danni rapportato alla ricchezza prodotta ha mostrato comunque un trend in riduzione, assestandosi nell’ultimo anno analizzato a circa lo 0,2% del PIL mondiale.
Da non dimenticare poi il fatto che negli ultimi trent’anni, in presenza di una forte crescita delle emissioni e di un riscaldamento del pianeta di poco superiore a 0,5 °C, si è verificato un miglioramento delle condizioni di vita senza precedenti nella storia dell’umanità: la percentuale di persone che vivono in condizione di povertà assoluta dal 52% (1980) al 21% (2010).
Dovremmo quindi ignorare del tutto il problema del riscaldamento del pianeta? No, affatto. Sebbene fino ad oggi e verosimilmente ancora per molti decenni i benefici del riscaldamento saranno superiori ai costi, nel lungo periodo il bilancio verosimilmente cambierà di segno e gli impatti negativi saranno più rilevanti di quelli positivi.
Non dovremmo però porre in atto politiche con ricadute quasi irrilevanti in termini di riduzione delle emissioni ma che comportano costi significativi.
Ad esempio, nel caso italiano, ogni anno i sussidi alle rinnovabili ammontano a circa 12 miliardi di euro, all’incirca lo 0,8% del PIL. I benefici in termini di mitigazione delle emissioni di tali misure sono del tutto irrilevanti. Se, per ipotesi, la stessa cifra fosse destinata ad interventi di sistemazione del territorio, le ricadute in termini di riduzione dei danni di eventi estremi sarebbe senza dubbio maggiore.
Per tornare al caso di Genova: è molto più efficace realizzare opere che consentano alle acque di defluire regolarmente che non influire in misura del tutto marginale sulla frequenza delle precipitazioni più intense.
@ramella_f