Il bluff di Syriza è già caduto: rifletta su questi punti chi vuole riproporlo
La visita ieri in Italia del premier greco Alexis Tsipras e del neoministro dell’Economia Yanis Varoufakis ha già scoperto il bluff di Syriza. Forse è il caso che l’informazione italiana ed europea si diano una regolata. La vittoria di Syriza alle elezioni di due domeniche fa è stata salutata da un torrente di entusiastici commenti. S’inneggiava alla svolta salvifica. L’Europa non avrebbe potuto che acconsentire alla promessa più importante fatta da Syriza ai greci, l’abbattimento del 50-60% del debito pubblico che all’80% è detenuto dalla BCE, dall’Eurosistema delle banche centrali dell’euroarea, e dai paesi membri dell’euro tramite l’EFSF. Perché non si poteva chiedere ai greci, con il loro 26% di disoccupazione e un quarto del PIl 2008 finora evaporato, di addossarsi ancora il 175% di PIl di debito pubblico.
E invece no. Aveva ragione chi si è permesso di obiettare che quella promessa era impossibile. Aveva ragione – pradossalmente e diamogliene atto – l’attuale ministro Varoufakis, che due anni fa sul suo blog invitava chi sa far di conto a non credere alla lettera al programma di Syriza, “molte delle cui promesse sono irrealizzabili a cominciare dall’abbattimento del debito” (sue testuali parole).
Proprio così. Infatti, nelle parole di Renzi e di Padoan Schioppa ieri seguite agli incontri con la delegazione greca, troverete detto e scritto che con Tsipras e Varoufakuis il governo italiano non è entrato nel merito delle loro proposte, esattamente come Renzi aveva concordato domenica scorsa a telefono con la Merkel. E quanto alle proposte concrete di Syriza, Varoufakis e Tsipras nelle loro dichiarazioni hanno abbandonato anche solo l’idea di abbattere il debito. Chiedono per una parte di trasformarne le cedole, cioè i rendimenti, agganciandoli alla crescita del PIL (proposta non nuova: qui un paper – di econoministi tedeschi! – che la illustra, qui una valutazione tecnica del FMI, qui la stroncatura di operatori del mercato), e di allungarne ancora la durata (che già oggi, nella media del debito esistente, grazie alle due ristrutturazioni assistite dalla Ue e dalla BCE, è superiore ai 16 anni rispetto ai 6,5 del debito italiano attuale) attraverso la conversione da trentennale a perpetual dei titoli greci detenuti dalla BCE. L’idea di una conferenza europea sul debito, l’esca verso Italia Spagna Portogallo e Francia per verificare se tutti insieme avrebbero fatto fronte comune contro il resto dell’Unione europea, è sparita anch’essa.
Nella sostanza, Tsipras chiede invece tre cose. Lo scalpo da consegnare ai greci per mostrare che non si torna indietro è la rinuncia alla trattativa con il Fondo Monetario Internazionale, per regolare la faccenda all’interno degli organi europei. E in questo sarà accontentato, anche Juncker è già a favore. Al FMI si dovette ricorrere quando gli strumenti d’emergenza europea, l’EFSF e l’EMS, o non esistevano o esistevano solo sulla carta. La seconda cosa è rinunciare al 4,5% di Pil che la Grecia è impegnata a ottenere ogni anno come avanzo primario di bilancio, per farlo scendere all’1,5%. E dunque poter contare su 3 punti di Pil di spesa pubblica in larga parte in deficit (così sarebbe, visto che a oggi il 4,5% nopn è raggiunto.., anche se Varoufakis dice ora che la Grecia non farà mai più deficit, come non fosse conseguente alla richiesta avanzata!), per pagare almeno alcune delle promesse fatte ai greci: il ritorno alle assunzioni pubbliche, il riabbassamento dell’età pensionabile, l’elettricità gratis a 300mila famiglie, l’abbattimento delle imposte immobiliari e via continuando. Cioè il ritorno della Grecia allo statalismo assistito che l’ha rovinata, e che oggi viene rigiustificato per sostenerne la domanda attraverso la spesa pubblica. La terza cosa è un ulteriore spostamento in avanti degli oneri da pagare sul debito, per effetto dello swap verso i due nuovi tipi di rendimento – GDP-linked e perpetual – proposti sui titoli esistenti.
Vedremo come vanno le cose al primo incontro diretto del governo Syriza con il governo tedesco. Ma di fatto il bluff di Syriza è già finito. Perché Tsipras e Varoufakis parlano di un negoziato lungo sei mesi, ma in realtà le banche greche hanno munizioni solo entro fine febbraio. E questo lo sanno i mercati come lo sanno gli altri governo europei. Già a metà gennaio due rilevanti banche greche hanno dovuto ricorrere all’ELA, la linea di liquidità straordinaria provvista dalla BCE agli istituti di credito in difficoltà. A dicembre i greci hanno ritirato 3 miliardi di depositi, a gennaio non sappiamo ancora ma si ritiene molto di più. Lo Stato drena dal sistema bancario per le sue esigenze in media 3 miliardi di euro al mese, dando in garanzia titoli pubblici a breve. Entro fine febbraio, se i greci avanzassero richieste non componibili con l’assenso europeo, la BCE dovrebbe negare l’assistenza di liquidità straordinaria. Prima di uscire o meno dall’euro o di qualunque altro negoziato, il governo di Syriza si troverebbe a non poter più pagare stipendi e pensioni. Perché nel frattempo a dicembre il gettito fiscale greco è stato del 17,7% inferiore alle attese e il 2014 si è chiuso con 3,2mld mancanti rispetto ai 55 programmatici, e a gennaio le prime stime parlano addirittura di un meno 40%, contando sugli effetti miracolosi della vuittoria di Syriza. Questa è l’amara realtà dei fatti.
Ed è un’amara realtà che avrebbe dovuto indurre a qualche senso misura, invece di promettere ai greci la luna.
La soluzione europea non può riguardare solo la Grecia. Non può includere alcun condono del debito, mentre sui tassi e sulla durata dei titoli si può discutere. Ma i tassi applicati ai debiti non possono essere inferiori ai costi sopportati dai paesi euromembri tramite Efsf ed EMS – Italia per prima – altrimenti il principio che vale per uno vale per tutti. Un meccanismo di iniziale federalizzazione del debito tramite l’abbattimento degli interessi, se la quota del debito in questione è solo quella a carico del bilancio della Bce e non degli Stati membri – può essere ipotizzata solo a patto che chi è finito sotto FMI non sia trattato meglio di chi, come l’Italia, non ne ha avuto alcun bisogno. Altrimenti li chiedessero a Putin, i soldi e gli aiuti. Né le riforme per accrescere produttività e apertura dei mercati possono essere buttate a mare, altrimenti la debolezza dell’economia greca continuerà ad eternarsi fino a un nuovo default sotto un nuovo governo dalla spesa facile (e dalla pressione fiscale di 10 punti inferiore alla nostra).
E’ bene che ci riflettano, quelli che in Italia vogliono imitare Syriza, e che l’hanno dipinta come la grande svolta contro il cieco rigore. Il governo greco in soli 10 giorni ha dimostrato una sola cosa: che promettere l’impossibile può far vincere le elezioni, ma poi ottenerlo impossibile resta. E il conto, se si continua a fare i velleitari, si rischia di presentarlo proprio a quei cittadini economicamente in ginocchio che hanno creduto per disperazione a miracoli impossibili.