25
Feb
2015

DDL Concorrenza: Professioni

Fra le misure contenute nel pacchetto di liberalizzazioni varato dal Governo, ve ne sono alcune relative ai servizi professionali.

Nel settore della professione forense, innanzitutto, il Ddl elimina il vincolo di appartenenza a una sola associazione professionale: se la norma verrà confermata durante l’iter parlamentare che la attende, gli avvocati potranno pertanto partecipare a più associazioni. Di conseguenza, il Ddl ha anche eliminato l’obbligo di avere il domicilio professionale nella sede dell’associazione di cui si è parte. Read More

25
Feb
2015

DDL Concorrenza: Servizi postali

Il processo di progressiva liberalizzazione che ha interessato i servizi postali dalla fine degli anni ’90 a oggi ha reso possibile, anche in Italia, l’emergere di nuovi operatori in concorrenza fra loro e con l’ex monopolista. Ciononostante, quest’ultimo ha mantenuto un quasi-monopolio de facto su moltissime attività teoricamente liberalizzate grazie al cosiddetto ‘servizio universale’, oltre ad aver usufruito di politiche “generose” che, in questi anni, l’hanno avvantaggiato non poco.

Tra le sacche di monopolio rimaste in capo a Poste Italiane S.p.A., qualche settimana fa l’Istituto Bruno Leoni si era occupato, con un Briefing Paper, dell’esclusiva sulle notifiche degli atti giudiziari e delle violazioni al Codice della strada a mezzo postale, chiedendosi che ragioni diverse dalla consuetudine avesse il permanere della riserva in capo all’ex monopolista e auspicando la prossima rimozione della riserva.

Ebbene, il Ddl concorrenza abroga, a partire dal 10 giugno 2016, l’articolo 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, liberalizzando il servizio di notifica a mezzo postale degli atti giudiziari e delle violazioni al Codice della strada. In questo senso, pertanto, la novità è da accogliere certamente con favore: un privilegio – piccolo, ma non insignificante – è stato rimosso e nuovi operatori potranno prestare un servizio con modalità innovative, economie di scala, costi inferiori per i cittadini e per il sistema-giustizia.

Gli interventi del Ddl concorrenza nel settore postale, tuttavia, si fermano qui. Rispetto alla bozza iniziale, pertanto, non può certo ritenersi che si sia fatto abbastanza. Soprattutto, l’impressione che può trarsi dal testo uscito dal Consiglio dei ministri è quella di un esecutivo che, per quanto riguarda il settore postale, non ha avuto il coraggio di affrontare il nodo centrale della mancanza di concorrenza del nostro Paese: l’uso (e l’abuso) del concetto di ‘servizio universale’.

Sarebbe opportuno, in questo senso, escludere tutte le prestazioni di servizi e le cessioni di beni negoziate individualmente dal perimetro del servizio universale (perché, non trattandosi di condizioni standard, non presentano alcun carattere di universalità), così come i servizi di posta massiva e le raccomandate non retail. Come aveva già sottolineato l’Agcom, infatti, tali servizi appaiono non più compatibili con gli obiettivi di inclusione sociale e sostegno alle fasce più deboli dei consumatori cui è sotteso il regime di servizio universale (così come gli invii di posta assicurata, la corrispondenza ordinaria e quella registrata). Mantenere l’esenzione IVA in favore di Poste Italiane per questi servizi, al contrario, continua a limitare fortemente un’equa competizione fra i diversi operatori presenti sul mercato, tanto piu’ che l’esenzione IVA é stata già eliminata in un provvedimento dell’estate scorsa per i servizi negoziati individualmente. Si tratta solo, quindi, di dare piena coerenza all’intervento.

Più in generale, la bozza precedente prevedeva che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni verificasse con cadenza triennale l’adeguatezza alle condizioni del mercato postale dei contenuti e dei requisiti previsti per il servizio universale, individuando – se del caso – limiti di contenuti e obblighi di qualità da rispettare per il fornitore di tale servizio. Mantenere nel Ddl tale previsione avrebbe costituito un primo passo in una sempre più necessaria riflessione critica sul ruolo e sull’estensione che il servizio universale postale deve assumere in un Paese in cui un mercato concorrenziale appare sempre più idoneo a raggiungerne le finalità, generando solamente benefici per l’utenza finale.

25
Feb
2015

DDL Concorrenza: Assicurazioni e Fondi pensione—di Andrea Varsori

La proposta di legge annuale sulla concorrenza varata dal Consiglio dei Ministri venerdì scorso ha finalmente posto fine a un’inadempienza che dura dal 2009. La versione ufficiale del decreto legge, però, è decisamente più snella rispetto alle bozze che erano circolate nelle ultime settimane. In alcuni settori, ci si attendeva un intervento a favore della concorrenza che è poi stato notevolmente edulcorato: la mancata apertura della vendita dei farmaci di fascia C è solo l’esempio più noto. Altri settori, d’altro canto, quali le attività portuali, il noleggio con conducente e i servizi pubblici locali, non vengono nemmeno menzionati. A fronte di queste esclusioni, l’importanza delle misure riguardanti le assicurazioni è notevolmente accresciuta.  Occupando dieci pagine e quattordici articoli sulle diciotto pagine e trentatre articoli della legge nel suo complesso, il Capo I, “Assicurazioni e fondi pensione” ha un peso fondamentale in questo disegno di legge. Eppure, più che liberalizzare il settore, le misure contenute negli articoli dal 2 al 15 hanno l’effetto di aiutare il consumatore nei rapporti con le ditte assicurative, garantendo sconti e tutele dove necessario. Read More

24
Feb
2015

DDl Concorrenza: Servizi sanitari

E’ sparita dal disegno di legge sulla concorrenza la questione delle procedure di accreditamento delle strutture private sanitarie, che sembrava invece potesse essere inclusa.

Un intervento legislativo in tal senso avrebbe potuto consegnare agli investitori un sistema più affidabile e meno incerto, ma tant’è. Il tema è stato del tutto rimosso dal disegno di legge approvato, ed è un peccato. La spesa privata accreditata rappresenta circa il 22% della spesa complessiva del SSN (in Lombardia, dove si trova uno dei migliori sistemi sanitari italiani, siamo intorno al 30%), che diventa il 37% del totale se si guarda alla sola spesa ospedaliera. Read More

24
Feb
2015

DDL Concorrenza: Farmaci e farmacie

Il disegno di legge sulla concorrenza, come è noto, ha coinvolto anche il settore farmaceutico.

Finalmente anche le società di capitali potranno diventare titolari di farmacie private e quindi i soci non dovranno più essere obbligatoriamente farmacisti. Inoltre, non esisterà più il limite massimo di quattro licenze in capo allo stesso soggetto. In sostanza quindi, potranno crearsi catene farmaceutiche e ci sarà più margine per sfruttare le economie di scala, fino a oggi molto ristrette dal limite di quattro licenze. Questo è quanto è stato fatto a favore della concorrenza tra farmacie, e quindi di noi consumatori. Un punto a favore del Governo Renzi, che ci auguriamo possa produrre effetti tali da controbilanciare il punto a suo sfavore: la mancata liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C. Read More

24
Feb
2015

DDL Concorrenza: Energia – di Lorenzo Castellani

Il Capo IV del ddl concorrenza riguarda la piena liberalizzazione dei mercati retail dell’energia elettrica e del gas, e del mercato della distribuzione dei carburanti per autotrazione. Le misure di liberalizzazione presentate dal Governo in questo settore possono considerarsi positive in quanto tese a finalizzare un processo di piena liberalizzazione avviato quasi vent’anni fa e che allineerebbero l’Italia ai Paesi europei che garantiscono il maggior tasso di concorrenza nel settore come riportato recentemente da uno studio IBL (http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=15629). Read More

24
Feb
2015

DDL Concorrenza: Comunicazioni

Il crinale tra genuina pulsione procompetitiva e consumerismo maldestro è sovente più sottile di quanto si possa immaginare; accade, così, che a liberalizzazioni autentiche si accompagnino misure che con la rimozione dei vincoli alla concorrenza hanno poco a che vedere. Non fa eccezione il DDL Concorrenza licenziato dall’esecutivo venerdì scorso: iniziativa complessivamente meritoria per la sostanza di numerose disposizioni e, soprattutto, perché finalmente ottempera a un obbligo beatamente disatteso dal 2009, eppure segnata da alcune contraddizioni.

Ci riferiamo, in particolare, alle norme dettate in materia di comunicazioni dagli artt. 16 e 17. L’art. 17 demanda al Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l’adozione di un decreto che disciplini l’identificazione in via indiretta del cliente nell’ambito delle procedure di migrazione tra operatori di telefonia mobile, anche mediante ricorso al Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale – la cui messa in opera, a quasi dieci anni dalla sua originaria previsione, pare oggi in dirittura d’arrivo.

Si tratta di una misura di buon senso, caldeggiata anche dall’Antitrust nella propria Segnalazione annuale. È davvero grottesco che, nel 2015, l’attivazione di servizi di comunicazione mobili continui a richiedere la presentazione e la riproduzione di un documento d’identità. Occorre, semmai, rilevare una certa timidezza, da parte del governo, nel limitare l’applicazione del principio al suo ambito più ovvio: quello della portabilità del numero, cioè del trasferimento di un’utenza già attiva (e, pertanto, riferibile a un individuo già identificato) da un operatore a un altro.

La riduzione di questi vincoli può agevolare l’impiego di forme di commercializzazione a distanza, più convenienti per la clientela e meno onerose per le compagnie. È del tutto evidente che la necessità di munirsi di una rete capillare di punti vendita costituisce una significativa barriera all’ingresso di nuovi soggetti del mercato delle comunicazioni mobili – si pensi agli operatori virtuali. Ben venga, dunque, questo primo passo, ferma restando l’opportunità d’estendere il ricorso a metodi alternativi d’identificazione anche alle nuove attivazioni.

Ben diverso il giudizio sull’art. 16, che si pone in continuità ideologica e formale – intervenendo sull’articolato del secondo decreto Bersani – con la stagione delle famigerate lenzuolate. Le modifiche introducono una serie di misure relative alla conclusione e alla cessazione dei contratti aventi ad oggetto servizi di comunicazione e servizi audiovisivi. Nelle intenzioni del governo, tali disposizioni dovrebbero garantire un maggior grado di trasparenza ed equilibrio negoziale; in realtà, siamo di fonte a previsioni in alcuni casi ridondanti, alla luce della già intensa tutela garantita ai consumatori dalla normativa vigente, e comunque destinate a irrigidire gli scambi in un settore caratterizzato da continua innovazione e tariffe in calo.

Si osservi, per esempio, l’introducendo comma 3-ter, che limiterebbe a ventiquattro mesi la durata dei vincoli “comprensivi di offerte promozionali”; con ciò contravvenendo a prassi negoziali apprezzate dai consumatori, quali quelle che garantiscono l’utilizzo “sussidiato” dei dispositivi. Davvero non si coglie quale profilo di tutela debba qui prevalere sul beneficio dell’utente che desideri, ipotizziamo, spalmare il proibitivo costo di un iPhone su una relazione di trenta mesi con il proprio operatore, com’è oggi comune. L’unico effetto di norme simili è quello di mutilare la libertà negoziale tanto dei consumatori, quanto delle imprese, sterilizzando formule commerciali mutualmente vantaggiose.

È utile segnalare, incidentalmente, che, proprio in queste settimane, è in corso presso l’Agcom un procedimento sulla medesima materia. Un ulteriore elemento che avrebbe dovuto sconsigliare interventi frettolosi e demagogici.

23
Feb
2015

Ddl concorrenza: l’analisi dell’Istituto Bruno Leoni

Per la prima volta dal 2009, il Governo presenta al Parlamento un disegno di legge sulla concorrenza. Non una scelta, ma un preciso impegno che deriva da una legge finora inattuata. Nell’abitudine al calpestio della legge da parte dello Stato e dei suoi organi, stupisce positivamente che stavolta il governo abbia deciso di sottostare agli impegni presi.

L’Istituto Bruno Leoni coglie quindi l’occasione del primo disegno di legge annuale della concorrenza per analizzare, in una serie di articoli, il merito dell’articolato, già disponibile – altra buona novità rispetto alle ultime abitudini dei governi – all’indomani del Consiglio di ministri. Read More

23
Feb
2015

Lo scontro a sinistra sul Jobs Act, una questione marxiana

Il Jobs Act non è affatto perfetto. Ma le obiezioni ragionevoli – cioè quelle “non” ideologiche – riguardano per esempio l’opacità che ancora pesa sulle politiche attive del lavoro e sulla nuova Agenzia Nazionale per intermediare domanda e offerta di occupazione: perché finché non sarà chiaro come sarà e come funzionerà potrebbe rivelarsi un azzardo i 24 e poi 18 mesi del nuovo strumento di sostegno al reddito per i disoccupati involontari (anch’esso esteso per la prima volta, sia pur in forma ridotta, anche ai precari). Senza politiche attive di “svolta” – quelle per cui spendiamo 5 volte meno rispetto alle politiche passive nel bilancio pubblico, quasi solo per stipendiare chi vi è addetto e con risultati pessimi che testimoniano l’incapacità della PA di “capire” il mercato — la maggior flessibilità sui licenziamenti e il nuovo strumento di sostegno al reddito per i disoccupati involontari sono solo metà di quel che serve: NON affrontano infatti la rioccupabilità, che serve dannatamente per innalzare la partecipazione al mercato del lavoro in un paese a tre milioni e mezzo di disoccupati. Altre obiezioni fondamentali investono il limite delle nuove norme, che cambiano il lavoro privato ma non quello pubblico. E sarebbe stato decisamente meglio estendere la riforma a tutti i lavoratori privati di qualunque anzianità, invece di aprire un’asimmetria tra vecchie tutele e nuove che durerà decenni, e creerà inevitabilmente problemi rilevanti alle imprese. E ancora: troppo poco si fa ancora – per i diritti nel welfare– a favore del lavoro autonomo, dimenticato dal bonus 80 euro e graziato, dopo gravi errori  del governo, facendo retromarcia precipitosa sul massacro che era stato deliberato del regime dei minimi e con l’aumento di contribuzione alla Gestione Separata INPS.

Ma non è su questo – tranne che da pochissimi come ADAPT di Michele Tiraboschi – che viene attaccato il Jobs Act. Una beffa per la sinistra e per i gruppi parlamentari Pd. Un’opera di macelleria sociale. Un favore a Confindustria.  Un colossale furto di diritti. Così vengono bollati i primi decreti attuativi del Jobs Act non solo dalle forze dell’opposizione a cominciare dai pentastellati, ma dalla minoranza Pd e dai sindacati (la Cgil, ma pure Uil e Cisl).  La somma di un atto autocratico, e di una completa abiura alle idee fondanti della sinistra. C’è chi pensa per reazione a una legge di iniziativa popolare, chi già parla di referendum. Landini vuole farne motivo di impegno politico diretto. Si è aggiunta al coro anche la presidente della Camera Boldrini, che ha parlato di “un giorno non storico”, perché il parlamento è stato umiliato e in ogni caso il lavoro bisogna crearlo, non si fa riformandone le regole.

Com’è evidente, non sono critiche che si possano facilmente respingere con argomenti fattuali. Perché è l’ideologia a ispirarle. E usiamo questo termine senza alcuna sottovalutazione: l’ideologia è fondamentale in politica. Un liberale aggiunge: purtroppo. Ma si sa, qui non stiamo parlando di un campo che faccia riferimento al liberalismo.

Mettiamola nel modo storicamente più corretto. A ispirare la repulsione non è il Jobs Act in quanto tale, ma l’aver modificato uno dei totem della sinistra e del sindacato nel dopoguerra: l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, le tutele al licenziamento. E’ questo il motivo, per cui nessuno mai era riuscito a sfiorare l’argomento senza incorrere in roventi anatemi (per prima la Fornero, che diede la prima energica spinta e dovette parecchio rivederla in parlamento).

Un classico delle citazioni marxiste sul lavoro è tratto dai Manoscritti economico-filosofici del 1844: “ Il lavoro produce sicuramente meraviglie per i ricchi, ma spoglia l’operaio. Produce palazzi, ma antri per l’operaio.. respinge una parte dei lavoratori a occupazioni barbariche, e riduce a macchine l’altra parte”. Centosettant’anni di ideologie antagoniste del lavoro hanno continuato – nell’evoluzione dei tempi, dei modi di produrre, del welfare affermatosi e divenuto poi Stato dilapidatore – a ispirarsi a tale tesi. Sindacato e sinistra lottavano perciò per regole “rigide” a tutela del lavoro e dei lavoratori: servivano a ingabbiare la propensione all’incanaglimento considerata istintivamente connaturata agli imprenditori, all’economia di mercato. Senza rendersi conto di sommare due errori. Il primo è quello “antropologico”, per così dire, sulla disumanità di mercato e imprenditori. Il secondo è reso più grave dalla globalizzazione: in un mondo di capitali liberi, un lavoro “rigidamente vincolato” perde. Diventa obbligato – nei paesi avanzati ad alti costi – a deflazionare. La risposta illusoria della sinistra è: teniamo vincolato il lavoro e vincoliamo anche i capitali. La risposta giusta è: come son o liberi i capitali, deve essere libero anche il lavoro.

Un anno fa, nel suo commento alla riedizione di Destra e Sinistra di Norberto Bobbio, Matteo Renzi scrisse con chiarezza come la pensava. A quell’impostazione ne preferiva un’altra. Va bene considerare ancora fondamentale per la sinistra l’eguaglianza – “ma non l’egualitarismo”, chiosava – ma le categorie per descrivere sinistra e destra per lui erano altre: “innovazione/conservazione, movimento/stagnazione”.

Discutibile quanto volete ma, venendo al lavoro, che cosa deve rappresentare una priorità – in generale, ma innanzitutto per la sinistra – in un paese nelle condizioni dell’Italia? Con tre milioni e mezzo di disoccupati e uno sterminio di inoccupati giovani, difendere le tutele-rigidità di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l’ha, o aprire alla flessibilità che consentirà più facilmente un lavoro a chi non ce l’ha, e di miglioralo a chi – i giovani – finora dal dualismo delle tutele sono stati costretti al precariato di massa? E’ questa, la questione fondamentale a sinistra. I dissidenti di sinistra di Renzi e il sindacato ripetono quel che hanno sempre pensato: bisogna estendere a tutti la rigidità delle tutele del tempo indeterminato anche a chi non ce l’ha. Al costo di rendere sempre più onerosi e – alla lunga – illegali ogni altro tipo di contratto. Alla fine le imprese avrebbero dovuto capire: o tutele rigide e tempo indeterminato per tutti, o niente.

Come tutte le impostazioni rigide, non è una posizione che ammetta alternative. E’ fondata sul disconoscimento che, in un Paese ad alto cuneo fiscale e altissime tasse, e in un mondo in cui le imprese devono essere in condizione di riorganizzarsi continuativamente per rispondere ad andamenti della domanda interna e internazionale sempre più erratici, i contratti a tempo servano davvero e non siano figli della malvagità dell’imprenditore.

Per questo disconosce che i licenziamenti economici – quelli che servono alle ristrutturazioni – siano soggetti solo a indennizzi. Per questo ha tentato in parlamento di stoppare che la nuova disciplina valesse anche per il più dei licenziamenti economici, non quelli individuali ma quelli che passano per le contrattazioni e procedure collettive. Per questo s’inalbera al fatto che dei contratti a tempo cesseranno essenzialmente solo i co.co.pro, mentre tutti gli altri resteranno col vincolo dei 36 mesi entro il massimo dei rinnovi legittimi.  Né l’obiezione può placarsi di fronte ai nuovi diritti estesi su materie come il congedo di maternità quello parentale, la sua estensione anche a lavoratori autonomi e precari,  il part time aperto finalmente a chi ha patologie gravi.

Ripeto: il Jobs Act non è perfetto, e manca sinora della svolta per la rioccupabilità. Ma Renzi sapeva benissimo che, toccando in profondità l’articolo 18, accendeva le polveri di uno scontro all’ultimo sangue. Per i suoi oppositori di sinistra fuori e dentro il Pd e per il sindacato, perdere questa battaglia comporta un obbligo a cambiare dalle fondamenta impostazione. O a diventare ancor più nostalgici di un passato che ai loro occhi non passa. Sarà, questo, un pezzo fondamentale della sfida elettorale di Renzi, quando mai andremo alle urne: convincere l’elettorato tradizionale della sinistra a riconoscersi nella sua nuova impostazione, nel mentre adottandola prova a convincere fasce smarrite di elettorato moderato. I liberali, purtroppo, possono solo commentare sugli spalti.